A proposito di “panem et circenses”
Siamo ad agosto e la domenica 21 è
ricominciato il torneo di calcio. Il primo pensiero che ho elaborato è stato un
pensiero da malpensante: il campionato di calcio è ricominciato così presto per
via del giro di denaro delle calcio-scommesse.
Osservando poi la dedizione e
l’abnegazione con le quali il popolo segue queste manifestazioni sportive
non poteva non venirmi in mente Giovenale e la sua decima satira dove si dice
che l’unica cosa che il popolo desidera ansiosamente sono panem et
circenses:
“...duas tantum res anxius optat
panem et circenses.”
Sono due celebri versi della decima
satira scritta da Giovenale, un poeta vissuto dal 50 al 127 d.C.
Leggendo qua e là, noto che gli
studiosi all’unanimità intendono il soggetto della frase (cioè turba
Remi del verso 73 ossia populus del verso 74) come popolo
o plebe o ancora e più dispregiativamente plebaglia, riferendosi,
anacronisticamente a mio avviso, agli strati più bassi della popolazione,
operando a priori una distinzione classista tra patrizi e plebei e
perpetuandola alla contemporaneità, se non addirittura riportando all’antichità
la distinzione tutta moderna tra borghesia e proletariato e identificando i
patrizi romani nella classe borghese e i plebei nella classe proletaria.
Niente di più confusionario.
Il popolo/turba di cui parla
Giovenale non ha connotazioni classiste; almeno non nel senso odierno. La
parola “popolo” non indica una classe sociale di diseredati o di lavoratori o
di proletari, ma si riferisce, più probabilmente al popolo tutto, alla turba di
cives, di cittadini che si affollano negli stadi. Cittadini patrizi
e plebei, ricchi e poveri.
Procediamo con ordine:
Popolus, nonostante abbia la stessa
etimologia di plebs, a rimandi ad una sfera semantica che indica moltitudine,
folla, maggioranza ecc. non è presso gli antichi, il volgo, tanto è vero che
esiste proprio la parola vulgus per identificare quest’ultimo.
Gaio, un giurista morto nel 180
e.C.-quindi appena 50 anni dopo Giovenale- di cui un manoscritto è stato riscoperto
solo nell’800, scrive chiaramente a proposito della distinzione tra populus e
plebs:
Plebs autem a populo eo distat, quod
populi appellatione universi cives significantur, connumeratis et patriciis;
plebis autem appellatione sine patriciis ceteri cives significantur. Gaius, 1.3
La traduzione non necessita nemmeno
di commenti:
La plebe si differenzia dal popolo
in questo, cioè nel fatto che con la parola “popolo”sono indicati tutti quanto
i cittadini, inclusi anche i patrizi; invece con la parola “plebe” sono
indicati gli altri cittadini esclusi i patrizi.
Risulta chiaro dalle parole del
giurista Gaio che il popolo a cui si riferisce Giovenale non è la plebe, intesa
come la classe sociale più infima del popolo, ma il popolo tutto dei cittadini,
la comunità di patrizi e plebei che in una sorta di “riflusso” ante
litteram non si occupano delle cose dello Stato, ma semplicemente del panem
et circenses in maniera non tanto diversa dalla nostra.
Ma cos’erano durante il periodo
imperiale il panem et circenses?
Con la parola panis Giovenale
si riferisce alle elargizioni di frumento, le cosiddette frumentationes, volute
dalla lex Clodia frumentaria, varata dal tribuno della plebe Clodio,
tribuno della plebe per adozione, patrizio di nascita. La Lex Clodia frumentaria
prevedeva già in periodo repubblicano le elargizioni agli strati più poveri
di frumento e ti rivelò ben presto, come è normale che fosse, uno strumento
demagogico di notevole efficacia: un po’ come gli LSU, i forestali, il 118, il
Servizio Civile Nazionale e tutta quella forma di assistenzialismo interessato
che non fanno altro che perpetuare lo status quo;
i circenses invece erano
i grandi spettacoli pubblici, le lotte tra gladiatori un po’ come le varie
coppe Uefe, campionati, scudetti ecc.
La contemporaneità inoltre ha
aggiunto un altro strumento di potere al panem et circenses, che non so
come definire in una parola, ma che si chiama saldi nei centri commerciali,
offerte telefoniche, gratta e vinci.
DOMENICO PASSANTINO
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