Sicilia 1968
Di nuovo l'Italia devastata dal terremoto, di nuovo scuole “antisismiche” appena inaugurate che si sgretolano. Come la Casa dello Studente de L'Aquila, come la scuola elementare di San Giuliano di Puglia. Il terremoto è una tragica fatalità, ma questi sono crimini.
Norma Rangeri
Sotto le macerie
Le parole di cordoglio –
«l’Italia piange», «il cuore grande dei volontari», «con il
cuore in mano voglio dire che non lasceremo da solo nessuno» –
pronunciate dal presidente del consiglio ieri mattina in televisione
a poche ore dalla tragedia, avrebbero dovuto suscitare condivisione
se non le avessimo già sentite ripetere troppe volte per non
provare, invece, insofferenza, rabbia, indignazione. Forse perché
non c’è altro evento più del terremoto capace di mettere a nudo
losgoverno del nostro paese, l’incapacità delle classi
dirigenti di mettere in campo l’unica grande opera necessaria alla
salvaguardia di un territorio nazionale abbandonato all’incuria,
alla speculazione, alle ruberie (come i processi del post-terremoto
dell’Aquila hanno purtroppo mostrato a tutti noi).
Nessun paese industriale,
con un elevatissimo rischio sismico come il nostro, viene
polverizzato ogni volta che la terra trema. Le cifre imbarazzanti
stanziate un anno dopo l’altro per la sicurezza ambientale nelle
leggi finanziarie danno la misura dell’inconsistenza delle
politiche di intervento. Dal 2009 a oggi è stato messo in bilancio,
ma solo perché in quel momento eravamo stati colpiti dallo
spappolamento dell’Aquila, meno dell’1 per cento del fabbisogno
necessario alla prevenzione. E’ la cifra di un fallimento storico,
morale, politico.
Chiunque capisce che
prima di abbassare le tasse alle imprese, prima di distribuire 10
miliardi divisi per 80 euro, bisognerebbe investire per costruire
l’unica grande impresa che i vivi reclamano anche a nome dei morti.
Chi ci amministra ha
costantemente lavorato alla dissipazione delle nostre risorse comuni.
Il paese è allo stremo ma nessuno, nemmeno questo governo, cambia
direzione. Con investimenti tecnologici, ripopolamento delle terre
interne, salvaguardia del patrimonio culturale, paesistico. E
finalmente lavoro per gli italiani, per gli immigrati. Finalmente
progetti ambiziosi per uno sviluppo economico di qualità legato ai
territori e alle loro istituzioni. Non ci sono soldi? E quanti ne
spendiamo per il rattoppo delle voragini materiali e morali?
Purtroppo oltre a temere
e piangere ogni volta le vittime della mancata prevenzione (andiamo
verso l’autunno, pioverà, saremo esposti al pericolo di frane e
alluvioni), dobbiamo aver paura anche della ricostruzione. Nelle
pagine dedicate al terremoto pubblichiamo un pro-memoria dei
cittadini dell’Aquila che riassume come meglio non si potrebbe i
danni, i pericoli aggiunti con gli interventi edilizi post-terremoto.
Perché accanto al simbolo della tragedia di sette anni fa, il
monumentale palazzo della Prefettura del capoluogo abruzzese, oggi
abbiamo l’ospedale di Amatrice colpito perché nemmeno questo
edificio era costruito con criteri antisismici. E nessuno dimentica
le macerie della scuola di San Giuliano di Puglia con i suoi piccoli
rimasti sepolti, come i bambini morti ieri sull’Appennino.
Il numero delle vittime
sale ogni ora, persone uccise dall’incuria di chi aveva il dovere
di provvedere e non lo ha fatto, nemmeno per salvaguardare scuole,
ospedali, edifici pubblici. Rivedremo le tendopoli, assisteremo allo
sradicamento degli abitanti, alla desolazione dell new-town. Speriamo
almeno di non dover riascoltare le risate fameliche di chi ora
aspetta l’appalto.
Il manifesto – 25
agosto 2016
Nessun commento:
Posta un commento