28 agosto 2016

LA SCUOLA AL TEMPO DEL FASCIO


Da Dio al Duce, umili tracce nel solco della storia

 Giuseppe Caliceti

Uscito per Franco Angeli, per la cura di Giovanni Genovesi, Il quaderno umile segno di scuola (pagine 144, euro 15) è una interessante analisi di alcuni periodi della storia italiana - in particolare quello fascista - osservati attraverso quelle singolarissime lenti di ingrandimento che sono i quaderni degli alunni. Quaderni assurti in anni recenti al rango di vere e proprie fonti documentarie della storia dell'educazione. Essi testimoniano inoltre - come sottolineato dai saggi di Luciana Bellatalla, Angela Magnanini, Nicola Barbieri e Elena Marescotti raccolti nel volume curato da Genovesi - l'evoluzione del costume e delle «italiche mode», e documentano le egemonie culturali e le innumerevoli «stagioni didattiche» che si sono succedute attraverso le lente modifiche dei programmi scolastici. Ma ciò che i quaderni scolastici mettono in evidenza è soprattutto il drastico cambiamento della politica e dell'idea stessa di fare scuola in Italia, seppure in un contesto «difficile».

Tra giochi e parole d'ordine
I quaderni, in fondo, oltre a rappresentare quegli «umili segni» ai quali fa cenno il titolo del volume, sono una fonte complessa che necessita di nuove modalità esplorative e di nuovi metodi di indagine. In Italia, va detto, esistono istituzioni lungimiranti che li custodiscono - a ragione - come fossero piccoli tesori. A questo proposito, il libro curato da Giovanni Genovesi raccoglie un saggio di Nicola S. Barbieri dedicato a una serie di quaderni che vanno dal 1958 al 1963, quaderni scritti da un'alunna di Montagnana, cittadina in provincia di Padova. Un lavoro al quale si affianca un suggestivo studio di Elena Marescotti sulle copertine che ritraggono il mondo della natura e trasmettono una loro personale storia dell'educazione ambientale in Italia.
La maggior parte degli interventi ospitati nel volume, però, analizza testi di alunni della provincia di Pistoia, scritti tra il primo ottobre 1928 alla fine di giugno 1929. Genovesi, da parte sua, presenta un proprio contributo dedicato al problema della fascistizzazione letta attraverso i diari di classe, mentre a Luciana Bellatalla spetta il compito di confrontarsi con le parole d'ordine del regime in un contesto prettamente rurale. La scelta dei quaderni da sottoporre all'analisi è caduta su quelli conservati nella Biblioteca comunale Forteguerriana di Pistoia per l'anno scolastico 1928-1929 ed esposti alla «Mostra della scuola» tenutasi nell'estate dello stesso anno proprio a Pistoia.
Il 1929 è ovviamente un anno importante, se non addirittura un anno chiave per lo Stato fascista. Nel '29, il fascismo è legittimato dal Papa con la riconciliazione tra Chiesa e Stato, vengono siglati i Patti Lateranensi e il Duce assurge al ruolo di «uomo della Provvidenza» per milioni e milioni di italiani. La microstoria che i bambini raccontano è fatta di avvilenti pratiche didattiche quotidiane e di nessi inevitabili tra scuola, ideologia e politica. È la storia solo di una parte dell'Italia fascista, beninteso, ma è la storia di un campione attendibile e rappresentativo di tutta la provincia italiana. I testi sono chiaramente «ricopiati in bella» in classe dagli alunni delle seconde, terze e quarte elementari. Trascritti, manco a dirlo, sotto la stretta sorveglianza della maestra.

Provveditori e Provvidenza
Dalla loro lettura gli autori del libro delineano una scuola italiana supinamente allineata col fascismo e, in particolare, col suo «Duce». Non a caso, nei diari dei bambini, «l'Uomo della Provvidenza» è sempre indicato come «il Duce Mussolini» quasi si trattasse di nome e cognome. E non siamo lontani dal vero a pensare che per loro il capo del governo si chiamasse proprio così, «Duce Mussolini», e non Benito.
I racconti degli alunni, di cui il libro riporta ampi stralci, sono asciutti, corretti formalmente, benché ripetitivi. La produzione è omogenea, mentre il tema di cui più si parla è quello della vita e dell'esistenza in genere. La vita vi appare nella forma «rurale» tipica della provincia, in quella monotona della vita scolastica, scandita dalle imprese del governo fascista, dalle festività (fasciste e) religiose, dal passare delle stagioni. Le religione è onnipresente. Se infatti il fascismo ha una presenza costante nella scuola, la religione ce l'ha a livello di contesto sociale. «Nella nostra scuola ci sono tante belle cose» - si legge - «c'è Gesù che gli si dice la preghiera, c'è la bandiera che le si fa il saluto quando si canta, c'è il Re e il Duce. Si fa il saluto anche a loro e si dice Eia! Eia! Alalà!».
Oggi in Italia abbiamo come ministro dell'istruzione una bella ragazza che risponde al nome di Mariastella Gelmini.. La Gelmini si è detta fiera di avere reintrodotto il sette in condotta per combattere il bullismo e, soprattutto, si è dichiarata favorevole a reintrodurre il grembiulino alle elementari. Fatti «minimi» solo all'apparenza. Bisognerebbe leggere attentamente Il quaderno come umile segni di scuola, soprattutto nelle parti in cui si racconta di come la scuola italiana sia solo un tassello di una costruzione ideologica ben più vasta. Stando a questa ideologia, il bambino non va mai lasciato solo con se stesso e con la propria coscienza, ma soprattutto non va lasciato solo nell'esercizio del proprio pensiero critico. La scuola, le organizzazioni del tempo libero o le associazioni giovanili lo accompagnano ovunque e gli ricordano sempre che egli è nato e vive per servire gli ideali del Paese che Mussolini incarna e tutela. «Il Sig. Duce Mussolini lavora anche di notte per l'Italia insieme a sua Maestà il Re Vittorio Emanuele III», si legge in un tema. La didattica risulta fortemente «bonificata» dal fascismo. che impone grembiuli, sette in condotta e tutto ciò che ne consegue. Impone, ma trascura i principi della «scuola serena» di matrice gentiliana a tutto vantaggio dell'asservimento all'ideologia politica corrente.
È la «bonifica» sistematica delle «giovani italiche menti». La Storia - con la «s» maiuscola - in questo tipo di scuola è presentata senza alcuna attenzione alla periodizzazione o all'approfondimento, appiattita sulla retorica della gloriosa contemporaneità fascista. «Il Governo Fascista è molto generoso perché ha fatto delle cose buone», si legge in un altro tema. Dai quaderni sembrerebbe che gli scolari andassero contenti e entusiasti a scuola e nonostante l'autocensura inevitabile, è possibile che ciò sia vero. A scuola imparavano infatti ciò che non avrebbero potuto imparare altrove. E, soprattutto, vi trovavano tutto ciò che a casa non potevano trovare. All'uscita della scuola o, addirittura, prima dell'orario d'inizio, spesso dovevano infatti andare a lavorare nei campi. Non importa se in tutte le famiglie c'è un caduto o un mutilato: i commenti su guerra, Patria e Governo sono inquietantemente univoci. La guerra era inevitabile, i morti sono visti come eroi e di essi, che si sono sacrificati per la «Patria» (anche qui, sempre con la maiuscola d'obbligo), bisogna essere orgogliosi, perché la «Patria» sta sopra tutto e tutti.

Da una provincia dell'Impero
Nonostante racconti solo di una fetta d'Italia, Il quaderno umile segno di scuola è ricco di importanti riflessioni sull'infanzia e la scuola. Leggendolo viene da immaginarsi quale potrebbe essere la storia parallela dell'Italia mai raccontata, ma certamente scritta, dalle migliaia di alunni che in oltre un secolo si sono passati il testimone sui suoi banchi. L'unica lacuna è forse la mancanza di una comparazione tra testi degli scolari e libri di testo, che sarebbe risultata certo piena di ulteriori sorprese. Per esempio, si potrebbe ricordare il bel libro I pampini bugiardi, curato da Marisa Bonazzi e Umberto Eco, che dimostrava come anche dopo la Liberazione, negli anni Cinquanta e Sessanta i libri di lettura alle elementari fossero ancora pieni di retorica di stampo fascista. Gli autori dei saggi raccolti nel volume di Genovesi sottolineano bene come, nella scuola fascista, l'adulto fosse un'autorità onnipresente. È lui che detta e guida i pensieri degli scolari, evitando loro di perdersi in fantasticherie e sogni.
La grande correttezza ortografica e sintattica di questi temi pistoiesi risulta la prova evidente che, oltre a essere più volte ricopiati e corretti, essi sono stati in buona parte anche largamente dettati dai docenti. D'altronde, proprio la soppressione e limitazione di ogni creatività e criticità sono la via regia per l'addestramento delle giovani menti a «credere, obbedire» e, manco a dirlo, «combattere». [...]


il manifesto 8 agosto 2008

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