Domenica prossima, alle ore 18.30, al Castello di Marineo verrà presentato l'ultimo libro di poesie di Antonietta Zuccaro. Abbiamo avuto modo di apprezzare, anni fa, il suo primo libro di versi. Questo non l'abbiamo ancora letto ma ci fidiamo di quanto ne ha scritto Nuccio Benanti:
Antonietta Zuccaro pubblica il suo nuovo libro di poesie, ’Nta lu diariu di li mè ricordi, e ci regala un ritratto lucidissimo della variegata umanità che ha popolato Marineo nell’ultimo mezzo secolo. Quelle descritte sono le storie di vita e del lavoro degli uomini e delle donne marinesi, dei loro usi, dei loro costumi, delle loro vicende più o meno private, delle collettive battaglie per l’occupazione o la coltivazione delle terre, dei sentimenti più intimi, delle vittorie, ma anche delle sconfitte. E’ un susseguirsi ininterrotto di ritratti e quadri paesani, uniti dal comune e romantico legame alle radici, alla terra natia e ai suoi simboli.
Tra i sindaci del paese e i
sindacalisti, i professori e i contadini, la sarta e la panettiera il filo
conduttore rimane sempre lo stesso: la quotidiana lotta per guadagnarsi un
pezzo di pane (in Italia o in America) o un posto al sole (quest’ultimo è il
caso dei paesani che hanno rivestito un ruolo pubblico). Ne consegue che i
primi a salvarsi da un ipotetico giudizio universale saranno, innanzi tutto, i
grandi lavoratori (e lavoratrici) e coloro che hanno vissuto i loro giorni con
generosità, con umiltà e senza grosse pretese. Infine, c’è la consapevolezza
che la salvezza di Cristo è un dono offerto a tutti i cristiani!
La poetessa prova, però, un certo
dolore quando traccia alcuni ritratti minori, ossia quelli di quei marinesi un
tempo noti tra i contemporanei e poi caduti nell’oblio. Ma, per fortuna – come lei stessa spiega – c’è la musa poetica
che ha il potere di resuscitarne la memoria. E’ il caso di mastru Turidduzzu lu musumulisi, rimasto in mente all’autrice
perché saliva in paese a vendere «pettini,
itali e spinguli francisi». In mancanza di denaro contante (il bancomat non
era stato ancora inventato) si accontentava di una singolare forma di baratto:
capelli in cambio di pettini! La vita è così: qualche volta toglie, altre dà. La
vita è effimera, come quella dei capelli che rimangono sul pettine. Ma per
fortuna esiste anche chi li raccoglie e li conserva con parsimonia.
Antonietta Zuccaro ha sgrovigliato e
raccolto, dal pettine dei suoi personali ricordi, anche il profumo del pane di
casa di la Gnunidda, molto apprezzato
nel mondo accademico palermitano, e l’odore della farina di lu mulinu di li Spatara, che riforniva e inebriava un intero
paese. Sente ancora il chiacchiericcio e i motivetti musicali che
accompagnavano le allegre giornate del «taglio e cucito» a la Mastra, dove le giovani marinesi imparavano l’arte e
spiccavano il primo volo. Sorte diversa dalle coetanee ha avuto, invece,
Vincenza Benanti, vittima del lavoro nell’incendio della “Triangle Shirtwaist
Company” di New York, dove a soli venti anni cuciva camicette per pochi dollari
a settimana. Spazio all’impegno sociale e politico troviamo anche nella poesia Emancipazioni femminili. Mentre ai
sentimenti intimi e personali è dedicata L’ucchiuzzi
di me matri. Interessante anche il riferimento alle tradizioni locali, di
cui Marineo è particolarmente ricca.
Tra i versi della poetessa marinese
non solo le donne e gli uomini, ma anche
le pietre parlano: «Su tistimonii di un
tempu passatu ca li nostri nanni n’hannu cuntatu e basta n’anticchia di
fantasia, ca spunta ogni scena ca ccà si vidia». Parlano ai passanti le
pietre del lavatoio di lu Vurghiddu,
da sempre crocevia di cristiani e animali. Quella sorgente la conoscono bene i
marinesi: quelli che un tempo ci andavano per lavare i materassi, e quelli che
oggi fanno il percorso inverso per “depositarli” nell’isola ecologica. Se avete
voglia di visitare le particolarità di Marineo, fate un salto anche al
Gorghillo: troverete l’antico lavatoio, una sorgente d’acqua e le pietre intorno. E al centro questa bella
poesia di Antonietta Zuccaro che descrive, a futura memoria, la vita caduca
degli uomini, degli animali e delle cose.
La raccolta’Nta lu diariu di li mè ricordi è un ritratto paesano, ma
soprattutto un invito a riflettere e, perché no, a rispolverare quel potenziale
archivio della memoria (segno del passato, nel presente, che guarda verso il
futuro), quel diario che è nascosto in ognuno di noi, per diventarne attenti
custodi e bravi divulgatori.
Nuccio Benanti
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