28 agosto 2016

S. VEGETTI FINZI, LE RADICI DEL BULLISMO



Il bullismo sta diventando un problema sociale. In genere è collegato alla scuola, ma, secondo la tesi che presentiamo di una autorevole psicologa italiana, probabilmente trova le sue cause in famiglia, Dinamiche, quelle descritte nell'articolo, che ogni insegnante verifica costantemente nel rapporto con i ragazzi e soprattutto con le famiglie.

Silvia Vegetti Finzi

I genitori e i super figli. Le radici del bullismo


Come sopraffazione frequente e ripetuta del più forte sul più debole, il bullismo è sempre esistito, ma le modalità con cui ultimamente si manifesta sono del tutto nuove. Nella famiglia patriarcale era l’esito di un’educazione autoritaria e punitiva, per cui i figli erano indotti, aggredendo i compagni, ad agire attivamente quanto avevano subito passivamente. Nell’attuale famiglia, permissiva e iperprotettiva, è difficile per i figli prendere le distanza dai genitori per diventare se stessi, magari diversi da come li avevano sognati.

Nell’era dell’agonismo i ragazzi sono sottoposti a una pressione fortissima da parte delle famiglie che spesso pretendono l’impossibile: che siano i primi nella scuola, nello sport, che esprimano talenti. Sognando per loro il premio Nobel per la scienza e la medaglia d’oro alle Olimpiadi.

L’eccesso di aspettative rischia di scatenare un senso di inadeguatezza che può trasformarsi in aggressività nei confronti di se stessi o dei coetanei. Per i figli è difficile contrapporsi a genitori iperprotettivi, amorevoli e accudenti, che agiscono solo per «amore». Per la loro incolumità non gli permettono di affrontare rischi e pericoli, per renderli felici non gli fanno mancare nulla, per garantirgli un futuro di successo scelgono per loro le scuole, lo sport, gli amici, le vacanze, la facoltà universitaria, la professione. Con il risultato di crescerli fragili e insicuri, privi di anticorpi contro le inevitabili frustrazioni della vita. Non riuscendo a sottrarsi alle aspettative dei genitori, finiscono spesso per sentirsi irrisolti e inadeguati. E l’aggressività, potenziata dallo sviluppo sessuale, anziché essere utilizzata per emanciparsi dalla dipendenza infantile, è rivolta contro sé o contro gli altri.

Nel primo caso i ragazzi, convinti di non potercela fare, si ritirano dalla competizione e, chiudendosi nella cameretta, s’immergono nel mondo virtuale, dove tutto sembra possibile. Nel secondo decidono di proiettare sugli altri le parti inaccettabili di sé. In questa prospettiva, ogni forma di diversità risulta persecutoria per cui si sentono autorizzati ad aggredire il compagno gay, oppure l’extracomunitario, l’handicappato, quello troppo grasso o troppo basso, il primo della classe o il «bravo bambino della sua mamma».

Il luogo privilegiato è la scuola, dove il bullo trova complici e spettatori pronti a partecipare e approvare i suoi comportamenti violenti. Poiché il bullismo finisce per coinvolgere tutta la classe, l’attenzione degli insegnanti deve estendersi alle relazioni che intercorrono tra gli alunni.

Così come non è possibile tracciare un identikit del bullo, anche la personalità della vittima non è facilmente individuabile. Si tratta per lo più di ragazze alle quali vengono sottratte immagini compromettenti da divulgare in Internet. Ma esiste anche un bullismo femminile che provoca lividi dell’anima ancor più dolorosi di quelli del corpo.

Di fronte a quella che si presenta come un’epidemia sociale, occorre affinare la sensibilità, promuovere l’ascolto, cogliere e decifrare i segnali di malessere che i ragazzi ci inviano, come un improvviso calo del rendimento scolastico, l’isolamento, il mutismo, disturbi psicosomatici, la dipendenza da Internet. Ma per aiutarli davvero è necessario che l’ansia dilagante sia contrastata da dosi massicce di fiducia e di speranza e che,all’individualismo narcisista dell’Io, si sostituisca il Noi generazionale della solidarietà e della collaborazione.


Il Corriere della sera – 27 agosto 2016

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