23 aprile 2018

ALDO CAPITINI, UN AUTENTICO ANTIFASCISTA









Alla vigilia della II Marcia della pace, nel 1978, “l'Unità”, con la cura di Mauro Montali, pubblicò il discorso che Aldo Capitini aveva tenuto in ricordo del partigiano comunista Primo Ciabatti nel febbraio del 1965. 

«Cammina», dissero a Primo, e lo coprirono di colpi

Aldo Capitini
Quando conobbi Primo Ciabatti svolgevo da anni un lavoro di collegamento tra antifascisti vecchi e nuovi, e .specialmente tra i giovani – molti tra i quali vidi passare a idee antofasciste — un lavoro che avevo cominciato a Pisa nel collegio universitario della Scuola normale superiore negli anni 1929-1932.
Ero segretario nella Normale e assistente volontario universitario e fui cacciato perché rifiutai la tessera del partito fascista (la rifiutò direttamente a Giovanni Gentile, n.d.r.) e il mio NO indicò a molti giovani che ci si poteva opporre al regime imperante.
Da allora comincia un collegamento che si allargò a molte città italiane e Perugia diventò un centro di antifascismo. Un «centro» perché molti venivano a Perugia ai nostri convegni clandestini: potrei fare un elenco lunghissimo di antifascisti che salirono anche più volte nella stanzetta che era il mio studio sotto la torre comunale: Antonio Banfi, Piero Calamandrei, Luigi Russo, Tommaso Fiore, Cesare Luporini, Delio Cantimori, Pietro Pancrazi, Giorgio Spini, Carlo Lodovico Ragghianti, Mario Alicata, Gerolamo Sotgiu, Carlo Salinari, Piero Mentasti, Mario Spinella, Norberto Bobbio, Guido Calogero, Umberto Morra, Antonio Ciuriolo, Edmondo Marcucci, Francesco Flora, la figlia del pittore Modigliani, Giame Pintor, Nina Ruffini, Ugo Stille, Giuseppe Dessì, Giovanni Guaita, Antonio Russo, Cesare Gnudi, Gianfranco Contini, Augusto Del Noce, Luigi Salvatorelli, Guido De Ruggero e tanti altri.
Ma Perugia era anche un “centro” nel senso che eravamo riusciti a collegare i giovani e giovanissimi di Perugia con i socialisti, comunisti, mazzimani e cattolici che si erano opposti fin dall’inizio al fascismo e resistevano alle persecuzioni.
Era una specie di società che comprendeva Aristide Rosini, Alfredo Cotani, Paolo Canenestrelli, Remo Roganti, Luigi Catanelli, Marzio Pascolini, Enea Tondini, Gino Spagnesi, Cesare Cardinali, Alfredo Abati, Sarlo Vischia, Gaetano Salciarini, Tommaso Ciarfuglia, Galassi, il bravissimo Don Angelo Migni Ragni parroco di Montebello, ex modernista e democraticissimo, Mariano Guardabassi, i fratelli Sorbello. Ottavio Prosciutti, Alberto Apponi pretore di Assisi, e i giovani Walter Binni, Bruno Enei, Giorgio Menghini, Noretta Benvenuti. Francesco Siciliano, Giorgio Graziosi, Agostino Bura, Arturo Massolo, Mario Frezza, Piera Brizzi, Franco Maestrini, e i miei scolari (davo lezioni private) come Ilvano Rapimelli, Enzo Comparozzi. Carlo Sarti, Maria Schippa. Ignazio Baldelli. Francesco Innamorati, Luisa Spagnoli ed altri.
Ci vedevamo spesso, ci tenevamo aggiornati, facevamo circolare scritti antifascisti, festeggiavamo il primo maggio, facevamo gite domenicali in campagna per parlare liberamente. Istituimmo anche una sezione dell'istituto di studi filosofici per avere occasione di far venire gente di fuori, di riunire giovani, di discutere.
La sezione era presieduta da Aveando Montesperelli: Giuseppe Granata tenace antifascista che aveva scelto Perugia perché la sapeva un “centro” e perfetto insegnante di filosofia dava il suo prezioso contributo. Come idee eravamo socialisti, comunisti, liberalsocialisti, mazziniani e quai che cattolico.
In questa Perugia inserirono Primo Ciabatti e Riccardo Tenerini, orfani, studenti dell'Istituto Magistrale, provenienti da un collegio di Gubbio. Mi misi subito ad aiutarli nei loro studi. I due giovanissimi erano diversi di animo e di mente, pur molto amici, per la comune situazione di serietà morale, di origine popolare, di orfanezza e bisogno dell'aiuto altrui e anche per una certa integrazione reciproca. Tenermi era impetuoso, caldo, eloquente, pronto al sacrificio, alla dedizione, capace di intuizioni felici; Ciabatti era più freddo, ragionatore limpido. esigente chiarezza e quadratura intellettuale (ricordo che riusciva bene in latino) di animo più circospetto, pochissimo eloquente. Entrarono perfettamente nel nostro collegamento antifascista, amati e aiutati da Tomassini. Cardinali, Pascolini e don Migni Ragni. Utilizzavano intelligentemente tutto ciò che mettevamo nella propaganda, stimolando alla lettura.
Ciabatti fu colpito particolarmente dalla lettura del Manifesto di Marx del 48, che lesse nella edizione laterziana di Labriola, curata da Croce. Conoscevano anche i libri del Croce. Venivano con me nelle gite domenicali. Ciabatti era impiegato da Catanelli: nel suo commercio di libri vecchi, un commercio inventato per avere una giustificazione per il nostro continuo incontrarci.
Una mattina vennero da me prima dell'ora solita e mi raccontarono ciò che avevano imparato nei giorni precedenti, come si erano procurati gli oggetti, e quella notte erano andati in giro per la città facendo scritte antifasciste a San Pietro, alla posta, in altri luoghi e perfino sotto i portici della Prefettura e vicino la Questura. Compiuto il giro avevano buttato via barattoli e pennelli in piazza Grimana ed erano andati a letto.
Eravamo nei terribili anni della guerra. La polizia infuriava sui popolani, registrati nei vecchi elenchi degli antifascisti, socialisti e comunisti irriducibili, li sbatteva in prigione, li torturava ma nulla veniva fuori circa le famose scritte.
Io fui arrestato nel '42 e stetti a Firenze alcuni mesi, poi, nei marzo del '43 fummo tutti arrestati. popolani, intellettuali e studenti antifascisti perugini perché il fascismo credeva che la sconfitta era causata non dai suoi gravi errori, ma dalla nostra avversione. II governo di Badoglio ci liberò ma la situazione era incerta e venne l'otto settembre. In molti uscivamo dalle porte della città mentre i tedeschi armatissimi entravano da un'altra porta.
Confluirono nella Resistenza tre ragioni. La prima, quella che era maturata lungo tutta l’opposizione al fascismo - questo aveva voluto chiudere l'Italia m un esasperato nazionalismo, ultratradizionalista, stupidamente romaneggiante (come se la situazione intemazionale fosse la stessa di quando l'antica repubblica romana costituì il suo impero contro Cartagine, la Grecia, la Macedonia. L'Italia aveva urgente bisogno di aggiornarsi alle grande democrazie anglooamericane da un lalo e alia rivoluzione sovietica dall'altro lato.
La seconda ragione fu che il regime fascista le sue crescenti imposizioni e costrizioni aveva creato un potente desiderio di libertà, l'ultima e insopportabile imposizione quella di andare militari al servizio del fascismo e del nazismo congiunti […].
La terza ragione è che si doveva combattere e morire era meglio che ciò si facesse per salvare l'onore dell'Italia e per dare il proprio contributo a liberare il popolo italiano.
Primo Ciabatti era già delicato di salute, pallido, magro con due occhi vivi, profondi. Gli sbattimenti e i disagi degli ultimi mesi, aggiunti a tutti quelli degli anni prececlenti e al logorio psichico che soffre un orfano negli anni più delicati della vita e più bisognosi del cerchio soave della famiglia, dai cinque ai quindici anni, lo avevano consumato. Anche lo studio, la lettura continua, che faceva per quel suo bisogno di vedere chiaro, aveva aggiunto impegno e fatica. Ma non ebbe un momento di esitazione e fu fedele alla sua anima democratica. S'accompagnò agli amici pronti al massimo sacrificio, primo fra tutti Riccardo Tenerini, che fino agli ultimi giorni si occupò di lui come un premuroso e generoso fratello, da lontano e da vicino, secondo le dure vicende della “macchia”.
Non era una vita che poteva assestare la salute scossa di Primo, sicché egli ebbe il disagio continuo, il pericolo della lotta, il tormento dei suoi polmoni malati. Se la guerra fosse finita, se la tragedia alleata fosse stata più propizia Primo si sarebbe a posto per le cure e insieme per la possibilità di esplicare nel clima democratico della liberazione la maturità che aveva raggiunto.
Resse per mesi e mesi, fin quasi verso l'ultimo, ma un giorno fu preso dai tedeschi Gli dissero “Cammina” - e lo coprirono di colpi. I giovani di oggi comprendano che non è un merito over riportato la vita attraverso quegli anni terribili, dagli accampamenti germanici, dalla «macchia», dai nascondigli in cui eravamo per la generosità dei contadini, dalle prigioni e dai confini.
Quando siamo rientrati nelle nostre case dove spesso erano venuti a mezzanotte i fascisti e la polizia a cercare di sorprenderci, abbiamo pensato a quelli che erano morti qua e là nelle insanguinate campagne, nelle prigioni o nei campi di concentramento, a Giame Pintor. a Antonio Guiriolo. a Leone Ginzburg, a Enzo Comparozzi, a Primo Ciabatti.
Vivere è molto meno che affermare un ideale che unisca tutta l'umanità liberandola ed elevandola.

Da “l'Unità”, 24 settembre 1978

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