Un gruppo di giovani rastrellati dai
repubblichini in attesa di essere mandati al fronte. La fuga e la
libertà. Un passo da "Ultimo viene il corvo" di Italo Calvino.
Italo Calvino
Da “Angoscia in caserma”
Il mattino della partenza
del primo scaglione, tre o quattro mancavano all’appello, ragazzi
quieti, rassegnati, che non ci si sarebbe aspettato scappassero. I
rimasti, sorvegliati da qualche anziano armato che li avrebbe
accompagnati di scorta, sedevano a capo chino nella camerata
aspettando il camion, un velo di pianto in fondo agli occhi e alle
voci. Egli girava in mezzo a loro; sguernite dei teli le brande erano
presagi ansiosi ed inquieti. Fu allora che entrò il tenente con gli
occhiali, grassa faccia camusa, gli faceva cenno di avvicinarsi,
certo voleva mandarlo a spazzare le scale. Disse: - Su, presto,
prepara la tua roba, parti anche tu, è venuto l’ordine dal
comando.
Un velo di sangue agli
occhi, poi tutto fu spaventosamente lucido, come in un mondo di
specchi: il tenente, le parole che aveva dette, le inutili proteste
di lui, i compagni rassegnati, la camera squallida, il suo arraffare
la roba con mani tremanti e metterla nello zaino, la sua storia, la
sua debolezza, la tristezza del suo destino, ogni cosa era quella che
era; solo quella, spietatamente quella. Il male dei simboli lo
riprese nel viaggio in camion, ma senza sollievo. Il camion era il
mondo e la vita, con uomini diversi, spietati l’uno dell’altro,
borghesi che parlavano delle cose che avrebbero fatte finita la
guerra, avrebbero comprato la macchina e non più viaggiato in
camion, il tenente con gli occhiali che rideva dicendo: - Se adesso
scoppiasse la pace! - con un tono di timore nel suo accento ignorante
di terrone.
Il grasso ragazzotto di
Oneglia che a ogni fermata si guardava intorno fiutando il modo di
scappare era una parte di lui, del suo animo ancora cautamente desto,
il soldato veneto anziano che 51 gli stava sempre dietro col
moschetto imbracciato (Cecchetti si chiamava quella carogna) era pure
una parte di lui, la sua viltà dominante. Gli altri compagni di
sventura, carichi di rassegnazione desolata, erano il peso della sua
impotenza. E in mezzo a tutti, stupido e beato anche nel nome, la
bestia umana grassa ed incosciente, l’occhialuto tenente Coronati
che scherzava in terrone con gli autisti. Poi il guasto al camion
suonò come un avvertimento. L’ultimo simbolo fu l’alberghetto
dove si fermarono a far colazione, con linde stampe inglesi alle
pareti, una atmosfera cloroformizzata da sala operatoria, un limbo
dove le anime attendono il giudizio.
Quando furono condotti a
piedi al paese vicino e, poiché il camion tardava a venir riparato,
si sparpagliarono un poco a comprar da mangiare nelle botteghe,
l’incubo cessò a un tratto: la strada che portava nei campi fu una
strada che portava nei campi, il veneto voltato indietro ad aspettare
gli altri fu il veneto voltato indietro, il ragazzo grasso di Oneglia
cui lui chiese: «Scappiamo»? e che rispose «Alé,» fu il ragazzo
grasso di Oneglia, la terra che correva sotto i loro passi fu la
terra che correva sotto i loro passi, l’angolo di muro che li
separava dalla vista degli altri fu un angolo di muro, la corsa per
la collina fu una bella, radiosa, ansiosa corsa per la collina.
La prima frase che disse
all’altro, camminando ormai soltanto in fretta per un viottolo che
portava a monte, fu: - Adesso posso dirtelo, io sono un partigiano. -
Anch’io, - rispose l’altro. - Di che banda sei? Che nome hai? -
Si dissero i nomi di battaglia, le bande in cui erano stati, i
compagni conosciuti, le azioni cui avevano preso parte.
Egli andava adesso
assieme all’altro per la collina, col cappotto militare sbottonato;
contento, contento anche se potevano riprenderlo e fucilarlo da un
momento all’altro: e la caserma grigia non esisteva più per lui,
sommersa nel fondo della coscienza. Le erbe e il sole e loro che
camminavano coi cappotti sbottonati in mezzo alle erbe e al sole,
erano un simbolo nuovo, arioso ed enorme, erano quello che spesso,
senza capire, gli uomini dicono libertà.
(Italo Calvino, Ultimo viene il corvo,
Einaudi)
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