03 aprile 2018

APRILE, IL MESE DI AFRODITE



Aprile, il mese del pieno risveglio della natura, è dedicato ad Afrodite, la dea dell'amore.

Guido Araldo

Il mese di Afrodite

Aprile dolce dormire. Il mese di aprile prese il nome dalla dea dell’amore etrusca Apru, simile al greco Aphròs (schiuma) da cui Afrodite, che nasce su una grande conchiglia tra la schiuma del mare. La bellezza che salverà il mondo.

A Roma nel primo giorno di aprile ricorreva una festa di grande successo: i Veneralia dedicati a Venere Verticordia (che “apre i cuori") e alla sua compagna Fortuna Virile (la misteriosa Fortuna vergine). Le donne, soprattutto nubili, si recavano al tempio di Venere dove rimuovevano le collane d'oro dalla statua della dea, per sottoporla a un lavaggio rituale e cospargerla con profumati petali di rosa. Seguiva una fantastica e poco chiara processione ai bagni pubblici maschili, in cui le donne andavano nude coprendosi pudicamente con fronde di mirto, poiché Venere aveva nascosto le sue nudità quando fu sorpresa dai satiri a bagnarsi nuda in un laghetto. In quei momenti i bagni pubblici traboccavano di maschietti. La processione approdava in ultimo davanti a un’altra statua di Venere, calva, dove si tenevano brindisi inebrianti con papavero, latte e miele: la bevanda sorseggiata dalla dea il giorno del suo sposalizio con il dio Vulcano. Si può supporre che le partecipanti a questa insolita processione fossero giovani donne in cerca di marito e, in tal modo, si palesavano…

L’Afrodite greca e, prima ancora, fenicia: dea della forza vitale, sotterranea, che induce le gemme a fiorire, il germoglio a dischiudersi e la “maschia virtù dell’uomo” a inturgidirsi, era molto diversa dalla Venere romana, intesa principalmente come mater familias, meno cosmica e più popolare, tesa a esaltare le virtù muliebri domestiche. Non a caso, la più antica statua della dea della bellezza romana era quella della “Venere calva”; in ricordo delle donne romane che si erano rasate i capelli per sopperire alla mancanza di corde durante l’assedio dei Galli al Campidoglio. Anzi, a Roma in origine la dea Venere non era affatto la dea della bellezza, ma la custode della primavera: dei campi e dei prati ordinati, rigogliosi, annuncianti ricchi raccolti. Cominciò a indentificarsi con Afrodite, la dea della bellezza, dopo la seconda guerra punica, quando l’ellenismo cominciò a dilagare nella cultura romana.

L’Afrodite ellenica, soprattutto ellenistica, è consequenziale a Marte e, non a caso, nella mitologia greca il più famoso dei tradimenti fu quello consumato tra Afrodite e Ares (Marte per i Romani): peccaminosi amanti catturati in flagranza amorosa dallo sgraziato Efesto (Vulcano), marito cornuto di Afrodite. Tese loro una trappola, utilizzando una grande rete d’oro, così sottile da sembrare invisibile. Quella volta tutti gli Dei dell’Olimpo corsero a godersi lo spettacolo dei due amanti penzolanti impotenti nella grande rete: esposti alla loro irrisione. Un’altra catena invisibile legava Ares ad Afrodite, rendendo il dio prigioniero del trono della dea: il legame che collega marzo ad aprile. La loro unione diventa il simbolo dell’esplodere della natura all’inizio della primavera, il momento in cui Persefone lascia il regno sotterraneo dell’Erebo e si affaccia sul mondo. Storicamente, dalla feconda unione tra Afrodite e Ares (Venere e Marte), allegoria della fusione tra civiltà ellenistica e latina che emerse dalle guerre puniche, nacque la Roma rinnovata dopo le devastazioni di Annibale.

L’Afrodite ellenistica, di remota derivazione fenicia, meglio ancora dall’Istar mesopotamica, è una dea dalle molte sfaccettature, riconducibili sostanzialmente agli appellativi attribuiti ad Afrodite: porne (carnale e sensuale), dea della prostituzione sacra, pulsante genitrice dell’umanità; urania, dea ispiratrice delle etere nell’antica Grecia, esaltante le qualità muliebri dell’intelligenza, fino a coniugarsi filosoficamente con la Sophia del platonismo; Anadiomene, dea che emerge sublime dal mare, sintesi tra porne e urania, la bellezza pura, idealizzata da pittori e poeti.

Per certi versi, più ancora di Cibele, Cerere, Artemide… Afrodite si configura come la vera “dea madre”, similmente alla babilonese Ishtar. Era infatti la prima dea olimpica, che precede tutti gli altri dèi poiché figlia di Urano, sorella di Kronos, zia o prozia degli dèi che abitavano sull’Olimpo, alla quale tutti dovevano rispetto. Quale triade celeste. Urano il grande architetto dell’universo, l’insondabile intelligenza che governa il mondo; Gea il pianeta terra palpitante di vita, la nostra vera madre, la grande madre, e la bellezza quale massima virtù connubio tra pneuma universale e Gaia.

L’Afrodite ellenistica può essere colta come sintesi e madre delle tre dee supreme del pantheon greco: Themis, Tyche e Ananke, non gradite sull’Olimpo, similmente a Dioniso, verso le quali anche gli Dei erano costretti a inchinarsi e rispettare le loro regole ineluttabili.
Afrodite, dea “dell’essenza della natura” e non soltanto della sensualità, racchiude in sé le prerogative di Themis (la legge naturale inalterabile), di Tyche (il divenire ineludibile della casualità, che mischia in un’insondabile alchimia uomini e donne) e Ananke (il fato imponderabile che condiziona il destino degli amanti). Come già evidenziato, Afrodite era la dea primordiale dell’Olimpo, poiché figlia di Gea (la terra) e di Urano (il cielo), generata dallo sperma di quest’ultimo quando Kronos lo evirò e gocciolò sul mare, di fronte a Paphos, nell’isola di Cipro: galleggiò, formò un cerchio e dal suo pullulare nacque la più bella tra le dee e le donne, emersa su una grande conchiglia. Sacro ad Afrodite era l’albero del melograno, com’era sacro a Cibele e Persefone, accomunate in questa simbologia come dee della fecondità; quasi una primordiale trinità femminile.

In tutte le antiche civiltà situate nel bacino del Mediterraneo nel mese di aprile si tenevano grandi processioni propiziatrici, dove le dee primeggiavano sugli dei e tra queste spiccava Afrodite che in Egitto s’identificava con Hathor (successivamente con Isi), in Mesopotamia con Ishtar, sulle coste del Levante con Astarte e in Anatolia con Cibele, nell’Etruria con Apru o Turan e a Roma con Venere. Tutte derivazioni dalla sumera Inanna.

In età cristiana queste processioni si trasformarono nelle “litanie”, previste dal calendario liturgico, per invocare la protezione sui raccolti. Ancora pochi decenni fa le “litanie maggiori” si tenevano nel giorno di san Marco, il 25 di aprile. C’erano poi le “litanie minori”, che ricorrevano nei giorni antecedenti la festa dell’Ascensione, quaranta giorni dopo la Pasqua. Rogazioni occasionali, ma non secondarie, si tenevano in onore di San Grato, il 7 settembre, protettore dalla grandine: processioni propiziatorie della vendemmia.
 
Da: Guido Araldo, Mesi Miti Mysteria

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