03 aprile 2018

LE FEMMINISTE FUTURISTE

Quadro di Benedetta Cappa

Wanda Vulz, Io + gatto
 
    In occasione dell'apertura di una interessante mostra a Nuoro, la storica dell'arte Fiorella Minervino ha tracciato per "La Stampa" un profilo, sintetico e sugoso, delle artiste del futurismo.

Le audaci muse del Futurismo. Un inno delle prime femministe 

Fiorella Minervino

Erano coraggiose, audaci, anticonformiste. Anche belle e cocciute. Non era facile essere donne e artiste all’alba del ’900 in un mondo tutto al maschile. Tanto più in un movimento misogino come il Futurismo che nel Primo Manifesto del 1909 dichiarava il disprezzo della donna, invocando forza, velocità, guerra. Almeno secondo il programma dell’autore F.T. Marinetti che tuttavia non ostacolò mai le tante giovani che sperimentavano, a partire da sua moglie Benedetta (Cappa).
Spesso cominciavano sulla scia del coniuge, amante o parente e sempre nel comune intento di velocità, dinamismo, simultaneità, ma l’impulso era di liberarsi dai vincoli, magari con nomi diversi per occultare l’identità e approdare a linguaggi originali.

Le più coraggiose
Talune sceglievano lo scandalo, come l’eccentrica parigina Valentine de Saintbon che nel 1912 rispose a Marinetti con Il Manifesto della donna futurista, seguito nel '13 da quello della lussuria; oppure l’audace Giannina Censi, aerodanzatrice, coreografa, fanatica di volo, che nel ’30 stupì Milano con pantomime futuriste al Castello Sforzesco e nel ’31 si esibì, al ritmo della sola parola, stretta nella guaina simil alluminio progettata da Prampolini. Alcune vissero sfruttate dai maschi come Elica e Luce, le figlie di Giacomo Balla, recluse nella Casa d’Arte a preparare arazzi, ricami, tappeti.
Altre erano irriverenti, coraggiose, usavano sarcasmo, ironia e autoironia, come Adriana Bisi Fabbri, lontana cugina di Boccioni, pittrice e vignettista pungente contro politici e Cubisti, in anticipo sulla Nuova Oggettività.
Invisibili quasi fino agli Anni 70, chi erano in realtà le amazzoni del Futurismo? A rispondere, recuperandole talvolta alla memoria, è la preziosa mostra L’elica e la luce. Le futuriste. 1912-1944, aperta al Museo Man di Nuoro (fino al 10 giugno 2018) , curata da Chiara Gatti e Raffaella Reich, che ne dilata il tempo agli Anni 40 con esiti astratto-geometrici di Carla Badiali e Bice Lazzari.
Sfilano 100 opere, con 9 deliziosi filmati e documenti, elaborate da menti eclettiche; scrivevano romanzi, poemi, articoli, parolibere, in parallelo davano vita a pittura, scultura, foto, grafica, scenografia, danza, cinema, teatro, arti decorative, studi di metapsichica e occultismo. 
Benedetta Cappa, Cime arse di solitudine.
Museo dell'aviazione L. Caproni, Trento
Convinte del loro ruolo, dopo che la Grande Guerra ne aveva sottolineato la portata, esponevano in mostre rilevanti, incluse le Biennali veneziane e Triennali; consapevoli del proprio corpo, ne facevano spesso un’opera d’arte, anticipando Body Art e performance.
Pochi hanno affrontato la nevrosi alla pari di Adriana Bisi Fabbri in Autoritratto (1913) o la follia come Leandra Angelucci Cominazzi (1932) nel turbinio di capelli rossi surreali, sia pure ricordando gli Stati d’animo di Boccioni.

Gatti, spilli, alluminio
La triestina Wanda Wulz parte dai Bragaglia e cattura straordinari fotomontaggi e fotodinamiche come Io+ Gatto (1932), fusione del suo volto col felino. Regina (Casoli Bracchi) introdotta da Fillia al Futurismo Anni 30, inventa sculture originali con lastre d’alluminio in rilievo, preparava prima la carta puntandola con spilli, ne risultano creazioni rare come l’Amante dell’Aviatore, mentre la boema Ruzena Za’tkova’ univa la Mitteleuropa agli incantevoli altorilievi tridimensionali con tecniche miste, metallo, cuoio, oggetti. Li racconta il noto Acqua corrente sotto ghiaccio e neve (1918).
Regina (Casoli Bracchi), La danzatrice, in alluminio (1930)
Della geniale Alma Fidora, artista totale, poco resta per i bombardamenti delle due guerre, ecco Ventaglio (1914) e un possente olio del 1919. L’intraprendente Marisa Mori aderisce all’aeropittura Anni 30, dipinge travolgenti battaglie aeree e spazi inediti; ma seduce Barbara (Olga Oglieri Scurto) aeropittrice, con la visione de La città che ruota (1930). Caso unico è Benedetta, ironica, arguta, sempre in viaggio col marito che l’adora; affronta poesie, libri, invettive sarcastiche contro il sessismo pure di Marinetti; è coreografa e pittrice di talento come nell’acquerello di Velocita d’un motoscafo (1918) e nell’olio Ritmi di rocce e mare (1929); è apprezzata tanto che il Guggenheim a New York, nella mostra sul Futurismo (2014) la celebra con la vasta sala dedicata ai pannelli delle Comunicazioni terrestri, marine, aeree, telegrafiche, telefoniche e radio (1934) per il Palazzo delle Poste di Palermo, dove figurano studi preparatori. Altre sono da riscoprire nella gustosa rassegna che vale il viaggio: Bruna, Tina Cordero, Adele Gloria, la Korompay, ecc. le loro vite scorrono nel bel catalogo (ed. Officina Libraria).

"La Stampa", 31 marzo 2018

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