Un film su Alexandra Wolff Stomersee, allieva di Freud e moglie di Tomasi di Lampedusa Laura Anello
Secondo la casa di
produzione, la tedesca Kick Film, questa storia farà impallidire
persino il Gattopardo, inteso sia come il romanzo best seller che
spaccò l’intelligenza di destra e di sinistra di cui a novembre
ricorrono i sessant’anni dalla pubblicazione, sia come il film di
Visconti che ne bissò il successo planetario. Premio Strega il libro
nel 1959, Palma d’oro la pellicola nel 1963.
Non poco ambizioso il
progetto incentrato sulla figura della moglie di Giuseppe Tomasi di
Lampedusa, la principessa lettone Alexandra Wolff Stomersee detta
Licy, allieva diretta di Freud, prima donna a guidare la Società
psicoanalitica italiana, sopravvissuta al marito per 25 anni,
testimone dello strepitoso successo che lui - rifiutato in prima
battuta da diverse case editrici, un caso letterario diventato
leggenda - non riuscì a vedere. Ebbene, sarà proprio la
principessa, finora oscurata dalla fama di Tomasi, la protagonista
del film-documentario di cui dopo l’estate cominceranno le riprese,
tra la Lettonia e la Sicilia. Lei e i suoi amori: quelli ufficiali,
cioè il primo marito André Pilar, noto omosessuale, e lo scrittore,
a lungo ritenuto rapporto freddo e intellettuale e poi rivelatosi -
alla luce di un carteggio recentemente studiato - denso di passione e
di tenerezza. Ma anche quelli non ufficiali, come il barone estone
Peter Herman von Wrangell, detto per la sua altezza Pike (il luccio),
e gli altri che emergono da un diario da poco venuto alla luce.
«Una donna libera, anche
sessualmente, un vero manifesto del femminismo», dice Gioacchino
Lanza Tomasi, il figlio adottivo dello scrittore, che pure non le fa
sconti. «Freud? L’ha visto a malapena - racconta -. E negli anni
della rovina, quando vivevano con un solo cameriere e potevano
permettersi di offrire un tè alla settimana, lei incitava il marito
a mantenere comportamenti da aristocratico».
Proprio Lanza Tomasi ha
accolto in quella dimora - tornata agli antichi splendori - la
delegazione arrivata per presentare a Palermo il progetto del film,
capitanata dall’ambasciatore lettone Artis Bertulis, con
l’Accademia d’arte di Riga, l’Università Sigmund Freud di
Vienna, l’Accademia di Belle Arti di Palermo, le tre istituzioni
che hanno collaborato al progetto, destinato alla tv e al cinema. Il
produttore è Jörg Bundschuh, direttore della Kick Film di Monaco di
Baviera, in collaborazione con le due reti televisive tedesche Ard e
la Zdf e il sostegno della Film Commission della Regione siciliana.
Certo è che la figura
della principessa, un donnone che nelle fotografie sovrasta il marito
mingherlino, è tutta da scoprire. Figlia del barone Boris von
Wolff-Stomersee, maestro di corte dello zar Nicola II di Russia, e
della cantante lirica modenese Alice Barbi. Intellettuale, libera, ma
anche sorprendentemente legata allo scrittore, nonostante Lanza
Tomasi la butti giù così: «Avevano trovato un equilibrio
nell’evitarsi, come tante coppie: lei andava a letto alle quattro
del mattino e si alzava a mezzogiorno».
Eppure il carteggio con
Tomasi di Lampedusa racconta un altro punto di vista. «Mio angelo»,
scrive lei. «Muri mia», risponde lui. Le lettere viaggiano tra
Palermo, Roma, Berlino, Riga. Raccontano un quarto di secolo,
dall’anno delle nozze, il 1932, fino al 27 maggio 1957, quando lo
scrittore avrebbe lasciato poche dolenti disposizioni testamentarie
tra cui il desiderio «che si faccia il possibile affinché sia
pubblicato Il Gattopardo», ma «non a spese dei miei eredi,
considererei ciò come un grossa umiliazione».
Un capolavoro che proprio
lei avrebbe ispirato, secondo quanto raccontò all’allieva Susy
Izzo: «Io e mio marito stavamo seduti sulla panchina a guardare la
luna, lui era triste, inquieto, non riusciva ad abituarsi al nuovo
palazzo, io volli avvicinarmi e parlargli come una moglie sa fare.
Gli dissi: la luna è uguale in ogni posto, è luce nella fantasia e
nell’immaginario, perché - gli chiesi - non ti eserciti a
immaginare la vita che ha vissuto il palazzo, com’era, cosa
succedeva? Scrivi e tutto vivrà come prima».
“La Stampa”, 31 marzo
2018
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