10 aprile 2018

DA GLADIO A MORO



Già dal 1944 le autorità militari americane iniziarono a trattare con i repubblichini per una futura attività anticomunista a guerra finita. I fatti sono da tempo noti, ma uno studio aggiunge ora nuovi particolari. Nell'articolo si parla di Gladio (nella forma conosciuta nata effettivamente nel 1951), ma in realtà gli americani costruirono numerose reti clandestine, comprendenti anche partigiani democristiani o monarchici. Molti di questi personaggi li ritroveremo poi nella stagione delle stragi impunite.

Massimo Novelli

Così nacque “Stay Behind”


Quando nacque Gladio, l’organizzazione paramilitare anticomunista che, durante la guerra fredda, fu messa in piedi anche in Italia sotto la regia degli Stati Uniti, attraverso la Nato e la Cia? Secondo la relazione che Giulio Andreotti, allora presidente del Consiglio, inviò il 26 febbraio del 1991 alla Commissione Stragi del Parlamento, la costituzione risalirebbe al 1951.

In base ad altre più che credibili e pausibili indagini, e ora, soprattutto, alla ricerca di Giorgio Cavalleri, scrittore e storico comasco, in realtà Gladio sarebbe stata concepita addirittura nella tarda primavera del 1944. Fu partorita dal gruppo Vega, un reparto speciale del battaglione Nuotatori Paracadutisti della Decima Mas fascista del principe Junio Valerio Borghese, con il beneplacito attivo dell’O.s.s., il servizio segreto americano progenitore della Cia, e di settori della Regia Marina del Regno del Sud del maresciallo Pietro Badoglio.

Non ne sarebbero stati estanei neppure alcuni esponenti nazisti, che, come si sa, si stavano preparando alla fuga in Sud America grazie all’organizzazione Odessa delle Ss e al Vaticano, ma pure al riciclaggio in chiave anti-Urss nell’intelligence degli Usa e poi degli inglesi. Lo stesso principe Borghese, futuro golpista, venne salvato e fatto fuggire dall’O.s.s. a Milano, nei giorni della Liberazione, e sottratto pertanto alla prevedibile condanna a morte partigiana.

Cavalleri è autore di numerosi libri sul sindacalismo cattolico e su alcuni misteri della guerra e della Resistenza, dal’oro di Dongo all’uccisione dei partigiani “Gianna” e “Neri”. Nella nuova edizione de La Gladio del lago, edito da Unicopli (con una prefazione di Franco Giannantoni), rintraccia con abbondanza di documentazione il filo nero che dagli archivi di Washington conduce al piccolo lago di Montorfano, nella Brianza comasca, dove si era insediato il battaglione Vega.
La lettura dei dossier statunitensi catalogati sotto la dicitura “10 Flotilla MAS-Stay Behind Organization”, scrive Cavalleri, “permette di verificare la nascita e le prime fasi di crescita del ‘Gladio’ nostrano e spiega perché questa operazione – che la Cia replicò poi in altri paesi europei dove venne chiamata ‘Stay behind’ – in Italia fu definita semplicemente ‘Gladio’ e i suoi arruolati gladiatori’”.

Il gladio, infatti, era l’insegna della Decima Mas. E all’interno della formazione di Borghese, a Montorfano, venne creato un gruppo clandestino per aiutare i fascisti a reinserirsi nella vita italiana dopo la Liberazione, ma pure per “partecipare a eventuali azioni armate clandestine anticomuniste”. Il nemico, prima della fine del conflitto, per gli americani e per il blocco padronale-moderato italiano, e per alcuni gerarchi nazifascisti, erano ormai l’Unione Sovietica e il comunismo.

Così, “un anno prima della fine della guerra, all’insaputa di Mussolini”, e forse con il consenso di Karl Wolff, plenipotenziario in Italia della Wermacht e della polizia nazista, quel reparto, il Vega, “aveva liberi contatti radio (e di uomini) con esponenti della Marina del regno del Sud e con i servizi segreti statunitensi”. Non solo: il tenente di vascello Mario Rossi, nominato a capo del Vega, era con ogni probabilità una creatura dell’O.s.s.

Nel settembre del 1944, peraltro, un inviato della Marina badogliana aveva incontrato Borghese a Valdagno e a Verona. Doveva “sondare le intenzioni”, racconta Cavalleri, “del principe circa il problema della possibile difesa della Venezia Giulia, dell’Istria e del Quarnaro dalle truppe di Tito, in relazione all’eventuale sbarco del ‘San Marco’”.

Altre missioni del genere furono portate a compimento, con un passaggio incredibile, ma non troppo con il proverbiale senno di poi, di agenti fascisti e americani, tedeschi e badogliani, tra le linee del fronte, senza che niente accaddese a costoro, o almeno a chi non doveva essere toccato. Solo gli inglesi, all’epoca, si sottrassero a questo gioco sporco, messo in campo in nome di una sorta di “santa alleanza” anticomunista.

Il citato Mario Rossi, uno dei capi della rete anticomunista di Vega, o di Gladio, insomma, fu un figura centrale di quelle trame. Imposto da Junio Valerio Borghese al comandante dei Nuotatori Paracadutisti della Decima Mas, “senza una logica apparente”, dice Cavalleri, poiché “non poteva sbarcare dal ‘nulla’”, come effettivamente sbarcò, “quasi certamente veniva dal Sud, ed era un uomo dell’O.s.s.”. Quando il principe Borghese fu prelevato a Milano dal servizio segreto americano, d’altronde, James Jesus Angleton, numero due dell’O.s.s. in Italia, scrisse in un rapporto che “il soggetto è stato contattato a Milano tramite un agente di questa unità e tradotto a Roma per essere utilizzato”. Non processato per crimini fascisti, bensì “utilizzato”.

La Gladio italiana, in sostanza, decollò “subito dopo la fine del conflitto, per esclusivo volere dei servizi segreti statunitesi”. L’’talia nuova, nata dalla Resistenza, “o almeno una parte di essa” sostiene Cavalleri nel suo libro, sorgeva con la “cooptazione” di “una struttura creata a Montorfano, un paesino a pochi chilometri di distanza dal capoluogo lariano, negli ultimi mesi della seconda guerra mondiale, da un drappello di uomini che avevano combattuto, in un corpo particolare come quello della ‘Decima Mas’, nelle file della Rsi”, ovvero della repubblica fantoccio di Salò creata dai tedeschi.

Il Fatto – 9 aprile 2018

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