Il pensatore in
sospetto di eresia concluse la sua vita onorato alla corte di
Francia, ma aveva trascorso circa trent’anni in carcere. Non poteva
esprimersi apertamente, per questo le sue opere presentano spesso
passi di non facile comprensione.
Michela Valente
Campanella, la libertà
tra le righe
«Dunque a diveller l’ignoranza io vegno», così si presentava Tommaso Campanella, il filosofo noto soprattutto per la sua opera utopistica, La Città del Sole , che scrisse nel 1602, vagheggiando una società più equa. Nel Novecento si contano centinaia di edizioni e traduzioni della Città del Sole , anche negli Stati del blocco sovietico, mentre alti prelati hanno rivendicato anche recentemente l’ortodossia cattolica di Campanella: ispiratore di una società comunista o buon teologo domenicano? Con il libro Tommaso Campanella (Laterza), Luca Addante ci guida nel labirinto di fini ricostruzioni documentarie, laboriosi scavi filologici, tortuose riabilitazioni e interpretazioni, spesso interessate, del pensiero campanelliano.
Campanella, figlio di un ciabattino, era nato a Stilo, nell’entroterra jonico calabrese, nel 1568 e chi oggi arrivi lì, con lo sguardo che avvolge gli ulivi resistenti, la montagna arsa e il mare che appare infinito, si chiede come un figlio di quella terra possa essere finito a Parigi, osannato, alla corte di Luigi XIII, un traguardo luminoso raggiunto però dopo aver trascorso più di trent’anni in carcere tra Napoli e Roma.
Giovanissimo era entrato nell’ordine dei domenicani e, sin dai primi anni di formazione, aveva attirato su di sé sospetti per il suo entusiasmo nei confronti della filosofia di Bernardino Telesio e per le sue frequentazioni pericolose: si accompagnava infatti con un ebreo e con dotti, come Giambattista Della Porta, non propriamente ortodossi. Sin da subito si scontrò con le ostilità e le resistenze della Chiesa, finendo in carcere. A nulla valsero i viaggi perché anche a Padova fu perseguito e quindi finì nelle celle inquisitoriali romane, dove incontrò l’eretico Francesco Pucci e Giordano Bruno. Tornato a Stilo, nel 1599 Campanella provò a far «sollevar la Calabria»; fu infatti tra i promotori di una rivolta antispagnola, e ancora una volta fu arrestato e processato per ribellione politica ed eresia. In quell’occasione, per evitare la condanna capitale, Campanella si finse pazzo e il canone della pazzia ricorre nelle letture coeve e successive.
Tra alterne vicende, potendo godere di qualche minimo agio, rimase detenuto fino al 1626. Nonostante questa drammatica condizione, scrisse moltissimo e di tutto, dalla poesia, alla teologia, alla politica, alla filosofia naturale e le sue opere furono lette e tradotte in tutta Europa. Nella Repubblica delle lettere il nome di Campanella era noto, il più delle volte per le accuse di libertinismo e di eresia, e solo talvolta per gli elogi come filosofo audace. Campanella perorò la causa di Galileo Galilei e scrisse anche L’ateismo trionfato , un capolavoro nonostante l’autocensura e i cambiamenti imposti. Poi nel 1634, dopo aver trascorso altri anni di detenzione, fuggì in Francia, dove morì nel 1639.
Nella stagione
risorgimentale, l’immagine di Campanella si trasformò: per alcuni
interpreti, fu martire del libero pensiero e vittima della Chiesa di
Roma, mentre per altri fu protosocialista. Al contempo, si presentava
l’idea di un ravvedimento e quindi di una conversione di
Campanella, tornato nel grembo della Chiesa. Nel corso dell’Ottocento
Alessandro d’Ancona, Bertrando Spaventa e Luigi Amabile
inaugurarono una nuova stagione di studi campanelliani, proseguita da
Giovanni Gentile, da Luigi Firpo e infine da Germana Ernst: grazie a
loro, di Campanella possono leggersi edizioni e traduzioni
attendibili. Nel 1995 Germana Ernst ed Eugenio Canone hanno fondato
una rivista, «Bruniana & Campanelliana», a testimoniare il
grande interesse internazionale verso i due filosofi.
Ora per ricordare il filosofo a 450 anni dalla sua nascita, Luca Addante si cimenta con il mito, liberandolo da apologetica e polemica, senza indugiare e giudicare vincitori e vinti di una battaglia storiografica che si è combattuta e si combatte ancora. Nella penisola italiana schiacciata dalla Spagna, resistevano effervescenze di spirito e di ingegno: Campanella fu tra queste e in lui riaffiorano fiumi carsici della Riforma radicale declinati con lo spirito del tempo e con le nuove istanze filosofico-scientifiche. La libertà e l’anelito a conquistarla sono la cifra di questo pensatore. Per sopravvivere, Campanella, come molti altri, convinto che «il secolo futuro giudicarà noi, perché il presente sempre crucifige i suoi benefattori», usò la simulazione, la maschera con la quale creò le sue opere, sollecitando a leggere tra le righe, come avrebbe detto qualche secolo dopo Leo Strauss, un altro che si trovò a scrivere in tempi non liberi.
Il Corriere della sera –
1 aprile 2018
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