22 aprile 2018

MARIO MINEO VISTO DA PIERO VIOLANTE

Swinging Palermo è un libro ricco e complesso. Ne è autore Piero Violante, uno degli intellettuali più colti, versatili, aperti e moderni che la Palermo del secondo Novecento abbia prodotto. Politologo e musicologo, docente universitario, giornalista, animatore di iniziative innovative, Violante ha raccontato in questo libro la vita culturale della sua città dalla fine degli anni Cinquanta agli anni Ottanta.

Ma Swinging Palermo è anche tante altre cose.
È un romanzo di formazione intellettuale, per esempio, in cui ha un ruolo centrale quello che per convenzione chiamiamo Sessantotto, ma che comincia qualche anno prima e si chiude qualche anno dopo.
Ed è anche la storia di una sconfitta: la sconfitta di quella che Piero Violante chiama la “classe dirigente d'opposizione”, e cioè di quei palermitani e siciliani, di nascita o anche d'elezione, maestri di libertà di pensiero e di cultura critica che - in vari campi, per varie vie e in vari modi - tentarono di cambiare i rapporti di potere, il volto, la vita culturale e la realtà quotidiana della capitale e di tutta l'isola.
Sono certo che il lettore intelligente, specie se informato dei fatti o di alcuni tra essi, troverà altre chiavi di interpretazione del libro, altri percorsi. Per invogliarlo “posterò” in questo blog qualche brano di Swinging PalermoQuello che segue è un profilo biografico di Mario Mineo, che ho avuto modo di conoscere e ammirare e di cui anch'io ho sentito il dovere di scrivere, su “micropolis” (S.L.L.)
 Mario Mineo: la coerenza e l'intransigenza

 Piero Violante

 Penso a Mario Mineo. Stroncato da un infarto a soli 67 anni, Mineo, figlio dell’illustre matematico Corradino, si accasciò dinanzi alla sua scrivania. Nel rullo della macchina da scrivere un foglio bloccato a metà riga sulla parola «mediazione». Era la sera del 3 giugno 1987.
Antifascista militante tra la fine del ’39 e il ’40, Mineo aveva fatto parte di un gruppo formato, tra gli altri, dai fratelli Chiara, da Nicola e Gino Cipolla, Nando e Michele Russo, Beppe Fazio, figlio del filosofo Fa-zio Allmayer. In una lettera inviata a Orazio Cancila il 16 maggio 1987, a poche settimane dalla scomparsa, scriveva: «Eravamo a sinistra ma senza precise posizioni... Diffondevamo il manifesto di Guido Calogero (sul liberal-socialismo) ed altra roba. Contestammo l’antifascismo siciliano...». Il gruppo fu scoperto dalla polizia e molti furono arrestati tra l’ottobre e il novembre del ’41. Nel frattempo Mineo era stato richiamato sotto le armi. Si rividero nel maggio-giugno ’43, fondarono il «Fronte del lavoro». Vi facevano parte socialisti e comunisti, Mineo fu eletto segretario. Scioltosi il Fronte, nel ’44 aderisce al Partito comunista. Viene nominato dagli alleati commissario per l’epurazione. E gli passano le carte che riguardano l’ex rettore, razzista e fascista, l’illustre penalista Giuseppe Maggiore. L’anno successivo passa al Partito socialista e viene nominato a far parte della commissione per lo Statuto della Regione Siciliana. Vi presenta una bozza che per «un colpo di mano» di Enrico La Loggia - come scriverà in una polemica lettera a Massimo Ganci il 10 ottobre 1966 - non è nemmeno discussa. Nella sua bozza di Statuto Mineo legava il tema dell’autonomia allo sviluppo e ad una forma di pianificazione economica; nella bozza vincente voluta da La Loggia e che passerà alla Consulta con l’avallo dei comunisti trionfa il punto di vista «riparazionista» che sgancia l’intervento dello Stato dallo sviluppo ma lo lega all’idea piagnona di un risarcimento dovuto alla Sicilia. La variante pianista di Mineo scompare nella discussione e successivamente nel dibattito storiografico.
Ritorna e con fatica dopo che pubblicammo da Flaccovio, con il sostegno dell’indimenticabile moglie Elena, gli Scritti di Mineo in ben otto volumi. Dario Castiglione, Enrico Guarneri, Renato Covino ed io, che con Elena costituivamo il comitato editoriale. Ci dedicammo a questa opera per quasi dieci anni. Nel ’98 presentammo gli Scritti a Milano alla Fondazione Feltrinelli. Consegnammo così Mineo all’Archivio della storia del movimento operaio italiano, perché ritenevamo che fosse nostro dovere evitare che un’impressionante mole di lavoro, di proposte di riflessione, fosse cancellata. E questo, si badi, non per la necessità di un risarcimento soggettivo che pur si doveva e si deve a Mineo, ma perché eravamo e siamo convinti che i suoi Scritti rappresentino la più estesa memoria critica teorica e militante di un esponente meridionale siciliano della classe dirigente dell’opposizione italiana. Il risarcimento soggettivo è il risvolto di un meccanismo di marginalizzazione e di oblio delle variabili, meridionali e non, al pensiero unico. Da qui l’idea che gli Scritti di Mineo, a partire dal volume sulla Sicilia e sull’autonomia tradita, rappresentino spesso delle variabili sconfitte (penso ai suoi studi sullo Stato, o sulla crisi di regime oggi così profetica) e che i motivi di queste variabili fossero ben più ragionevoli, nel senso di dotate di buone ragioni più di quanto la sconfitta che le silenziava potesse far intendere.
Nel ’46 Mineo rientra nel Partito comunista, viene eletto deputato all’Assemblea Regionale per il Blocco del Popolo. Fa una sola legislatura e si dedica alla vita accademica come assistente di economia politica presso la Facoltà di Economia e Commercio. È del ’47 un suo fondamentale saggio su Marx e Schumpeter in cui, caso isolato all’interno del pensiero economico marxista, adotta per la ricostituzione di una teoria economica marxista alcuni principi della teoria dinamica di lungo periodo dello sviluppo capitalista posti da Schumpeter. Anche i suoi lavori economici rappresentano variabili cancellate del debole pensiero economico marxista italiano, laddove si spinge a simpatizzare con i keynesiani di sinistra che come lui vedevano nel tema dello sviluppo il nucleo essenziale della ricerca economica. Questa posizione gli costerà la bocciatura alla libera docenza, dopo di che decide di abbandonare l’università e di dedicarsi all’insegnamento nelle scuole secondarie.
A metà degli anni Cinquanta ritorna a fare politica attiva dentro il Pci ma ne uscirà definitivamente nel 1962. Fuori dal Pci nel 1965 aderisce alla IV Internazionale e fonda il Circolo Labriola: il Circolo che ha segnato un’intera generazione. Nei suoi locali di via Costantino Nigra dove incontravi Enzo Sellerio, Leonardo Sciascia, Luigi Rognoni, Beppe Fazio, Vincenzo Tusa, Giacinto Lentini, Massimo Ganci, molti di noi hanno imparato che coerenza e rigore sono qualità sia intellettuali che morali, sostanza del fare o anche semplicemente del parlare di politica. Nel 1968 abbandona la IV Internazionale e fonda il Circolo Lenin per poi nel ’70 aderire al Manifesto. Viene eletto consigliere comunale. E l’anno in cui il Pci porta in consiglio Leonardo Sciascia e Renato Guttuso. Vi rimarrà una sola legislatura, nel frattempo fonda la cooperativa Praxis dotandosi di una rivista alla quale chiama a collaborare molti simpatizzanti che già si pongono al limite del «Manifesto». Ed «il Manifesto», con la memoria recente della sua espulsione dal Pci, lo espelle. Sino al 1984 si dedica a «Praxis» e al suo gruppo e poi negli ultimi tre anni decide di rielaborare i suoi scritti. Mi sono diffuso sulla sua vita dentro e fuori le organizzazioni per chiarire quanto Vittorio Foa a Palermo nel 1989, in occasione della pubblicazione del primo volume degli Scritti di Mineo, ci disse di Mario: «Se si pensa a Mario Mineo vengono in mente due categorie di pensiero e di azione politica: una è la coerenza, e l’altra è l’intransigenza. La coerenza è in sostanza la fedeltà all’idea. Ma vi possono essere due modi di essere coerenti, due modi di essere fedeli. Uno di essere direttamente fedeli ad un’idea e di cercare di servire l’idea verificandola nelle varie forme organizzative che in questa possono manifestarsi; un altro modo invece è quello di servire ed essere fedele all’idea attraverso la fedeltà all’organizzazione». Ebbene, Mineo apparteneva al primo modo di essere coerente. Foa ci ricordò anche che altro aspetto di Mario era l’intransigenza intesa come «il coraggio di dire sempre quello che si pensa, di non mistificare il proprio pensiero per ragioni opportunistiche, di non nascondersi». E apparentò l’intransigenza di Mineo a quella di Terracini, Lombardi, Ingrao.
Piero Violante, Swinging Palermo, Sellerio Editore, 2015

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