04 aprile 2024

IL CASO ILARIA SALIS CI RIGUARDA

 

Foto di Gianluca Peciola


Il caso di Ilaria Salis ci riguarda

Caterina Amicucci

Sul caso di Ilaria Salis, il ministro degli Esteri non smette di invitare a tenere un profilo basso e a non politicizzare il caso. Nascono nuove domande, chissà se anche queste politiche: qual è il futuro di un’Europa che non ferma genodici e guerre, che esternalizza le frontiere trasformando il Mediterraneo in un cimitero e che non riesce più nemmeno a garantire i diritti fondamentali dei suoi cittadini?




Giovedì 27 marzo, come noto, si è tenuta a Budapest la seconda udienza del processo a Ilaria Salis, detenuta da tredici mesi in Ungheria. Le notizie del ritorno in aula in catene e del respingimento della richiesta di arresti domiciliari sono state battute dalla stampa italiana in tempo reale. Erano 57 i giornalisti italiani accreditati per seguire l’udienza, ragione per cui gran parte della delegazione giunta a Budapest per manifestare solidarietà a Ilaria è stata costretta a seguire l’udienza in teleconferenza da una sala al piano di sopra. Alla delegazione hanno partecipato amici e compagni di Ilaria, il Comitato romano per la libertà di Ilara Salis, Giuristi Democratici, il CRED, la Clinica dei generi e delle discriminazioni multiple di Roma Tre, sette parlamentari e il fumettista Zero Calcare.

L’audizione dei testimoni è stata rinviata al 24 maggio e oggetto dell’udienza è stata esclusivamente la richiesta dei domiciliari in Italia o in Ungheria liquidata dal giudice con un secco diniego. I motivi sono il pericolo di fuga e la gravità del reato di cui è accusata: due aggressioni che hanno provocato pochi giorni di prognosi con la supposta aggravante di essere avvenute nell’ambito di un’azione organizzata. Il parere negativo della PM alla richiesta della difesa è stato espresso con pochissime parole “Di crimine più grave c’è solo l’omicidio”.

Le pressioni del governo italiano su Orban, per non riproporre lo spettacolo medievale delle catene e per concedere i domiciliari almeno in Ungheria, o non sono state esercitate oppure sono state rispedite al mittente ed è molto probabile a questo punto che Ilaria sconterà in carcere, con un’ora d’aria al giorno, l’intera misura cautelare sino alla fine del processo.

Il ministro degli Esteri non smette di invitare a tenere un profilo basso e a non politicizzare il caso. Peccato però che la questione sia marcatamente  politica e non riguardi solo l’antifascismo o le relazioni tra Italia e Ungheria, bensì il futuro dello stato di diritto nell’UE. Una cittadina europea rischia dagli 11 ai 24 anni di carcere per un reato che in Italia finirebbe davanti a un giudice di pace.

La vera questione politica è: quali strumenti ha l’UE per arginare la regressione autoritaria di uno stato membro ed evitare un potenziale effetto domino sugli standard dei diritti fondamentali dell’Europa?

Attualmente pochi e anche strumentalmente applicati, come conferma il conflitto istituzionale che si è appena aperto davanti la Corte di Giustizia Europa proprio sul sistema giudiziario ungherese. 

Il 4 marzo, Roberta Metsola ha dato mandato ai servizi giuridici del Parlamento europeo di presentare un ricorso contro la Commissione per lo sblocco di 10,2 miliardi di fondi all’Ungheria avvenuto a dicembre in cambio del voto favorevole di Orban all’avvio dei negoziati di accesso nell’UE di Ucraina e Moldavia. 22 miliardi di euro del Fondo di Coesione,  erano stati bloccati per una della varie procedure di infrazione nei confronti dell’Ungheria proprio relativa alla mancata indipendenza del sistema giudiziario dall’esecutivo.

A maggio del 2023 il Parlamento ungherese aveva approvato una blanda riforma finalizzata all’ottenimento dei fondi di cui il paese ha urgente bisogno. La Commissione ha ritenuto la riforma sufficiente a un’erogazione parziale proprio nei giorni in cui Orban teneva sotto scacco i negoziati sull’Ucraina.

In attesa di vedere come evolverà il contenzioso tra Parlamento e Commissione qualche giorno fa l’Ungheria ha ricevuto l’avviso dell’ennesima procedura di infrazione per la “Legge sulla Sovranità” , approvata lo scorso dicembre, che autorizza lo Stato a indagare su persone, organizzazioni e influenze straniere sospettate di minare la sovranità del paese, con potenziali condanne fino a tre anni di carcere.

La legge entrerà in vigore il primo giugno e a quel punto anche semplici azioni solidali con Ilaria Salis su territorio ungherese potrebbero essere prese di mira dal governo. 

Qual è il futuro di un’Europa che non ferma genodici e guerre, che esternalizza le frontiere trasformando il Mediterraneo in un cimitero e che non riesce più nemmeno a garantire i diritti fondamentali dei suoi cittadini e la continuità degli standard minimi richiesti ai paesi per diventare membri dell’Unione? Per questo il caso  è più politico che mai e sarà inevitabile che prosegua in Europa.

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