Questo pezzo è uscito su La Gazzetta del Mezzogiorno. La
versione restaurata del capolavoro di Fellini in “prima” nazionale a
Bari, giovedì 19 dicembre 2013, ore 20.30 Multisala
Showville. Un’iniziativa di Oscar Iarussi, Alessandro Laterza e
Multisala Showville, in collaborazione con i restauratori del film
(Medusa Film, Rti Gruppo Mediaset, DeLuxe Digital Roma, Centro
Sperimentale di Cinematografia – Cineteca Nazionale) e con Veluvre –
Visioni Culturali, Libreria Laterza, Club delle Imprese per la Cultura
Confindustria Bari-Bat. La serata, prima del film, prevede una breve
performance musicale del pianista Emanuele Arciuli, che proporrà una
“Fantasia” di Nino Rota e un collage di celebri motivi rotiani raccolti
da Michele Marvulli. Venerdì 20 a Roma, a Cinecittà, sarà intitolato a
Fellini il “suo” Teatro 5. Interverranno Claudia Cardinale, il ministro
Massimo Bray e il sindaco Ignazio Marino.
Avrebbe dovuto essere La bella confusione il titolo di 8 ½ di Federico Fellini che mezzo secolo fa rivoluzionò la struttura del racconto e tra l’altro ottenne due premi Oscar, assegnati al miglior film straniero (la terza statuetta hollywoodiana delle cinque che avrebbe vinto Fellini) e ai costumi di Piero Gherardi. Il titolo suggerito dal co-sceneggiatore Ennio Flaiano nel 1963 fu scartato da Fellini che lo ritenne didascalico. Eppure Federico il Grande si divertiva a raccontare di quando un tassista – che aveva visto 8 ½ in occasione della tesi di laurea della figlia – gli disse: “A dotto’, mi scusi se glielo dico, ma non ci ho capito un cazzo!”. Il regista postillava: “È la migliore recensione che abbiano mai fatto per questo film” (sempre che la storiella sia vera).
In 8 ½ Guido Anselmi (Marcello Mastroianni) è un famoso regista alla ricerca di riposo in una stazione termale. Realtà e fantasia si mescolano nella sua mente, e il luogo che dovrebbe garantirgli un po’ di relax si trasforma invece in una inquietante ribalta di personaggi, memorie e chimere. L’arrivo dell’amante Carla (Sandra Milo), poi della moglie Luisa (Anouk Aimée) e dell’attrice Claudia (Cardinale), nonché i colloqui con il suo produttore e con altri ospiti delle terme, aumentano la confusione di Guido e ne fanno venire a galla i ricordi: il collegio dell’infanzia e i genitori scomparsi da tempo. Quando il regista appare sul punto di rinunciare al film cui intanto sta lavorando, sul set occupato dalla scenografia di una rampa di lancio per un’astronave, un momento magico dà vita a una sorta di “social catena” leopardiana. È il celebre girotondo dei personaggi del film, scandito dalla musica circense di Nino Rota.
Come La dolce vita tre anni prima, 8 ½ si accosta al reale con infinita curiosità, senza preconcetti, attento a registrarne i battiti nascosti, i chiaroscuri, l’enigma. Molti, allora, per partito preso (cattolico o comunista) intravidero nella “bella confusione” felliniana una minaccia per quelle “grandi narrazioni” (illuminismo, idealismo, marxismo) invero già in declino in prossimità del ’68. In tal senso, involontariamente, Fellini anticipa la condizione post-moderna senza però compiacersi della “debolezza” del pensiero. E lo fa d’istinto, di pancia, di cuore, grazie al suo onnivoro desiderio di conoscere, di toccare, di smontare il giocattolo della vita e di toccare con mano un oggetto, una forma, un’idea e lasciarli cadere per vedere l’effetto che fa, per scoprire la vertiginosa bellezza dell’ignoto nel noto. Non un intellettuale, ma, sia concesso il neologismo, un principe “affettuale” bravissimo a percepire prima che a razionalizzare, a proiettare l’infanzia nell’età adulta, a scommettere sul sorriso del bambino, il piccolo Guido del finale di 8 ½, unico rimedio alla malinconia del vivere.
D’altro canto, possono ben poco i rimedi della società affluente o piccolo borghese che sul farsi degli anni Sessanta sembrano coincidere. Le acque curative, i bagni turchi, i fanghi terapeutici di 8½ dovrebbero ristorare il protagonista, esplicito alter ego felliniano fin dal titolo che ne riepiloga il numero dei film girati fino ad allora, ma l’andirivieni di emozioni, ansie, aspettative, passioni procura a Guido un’ulteriore spossatezza. Egli è alla ricerca del dono di un senso. Fa testo la beffarda domanda iniziale del medico termale al regista paziente-impaziente: “Che ci prepara di bello? Un altro film senza speranza?”. Il Nostro ha 43 anni, esattamente l’età di Federico, ed è in preda a un autentico ingorgo esistenziale oggetto dell’incubo claustrofobico nell’incipit del film, allorché lo vediamo imprigionato in un’automobile circondata da altre vetture nelle quali persone che scopriremo essergli familiari lo guardano stupefatti, indifferenti, o addirittura amoreggiano tra loro. Guido non riesce a uscire dalla macchina, se non librandosi verso l’alto fra nebbie e nuvole. Eccolo, sorvola una torre-scenografia sulla spiaggia, dove però un uomo a cavallo ingiunge a un altro che ha in mano una fune di metter fine al volo strattonandolo verso il basso: “Giù definitivamente”.
Perfino il ricorso alla gioia dell’infanzia contadina, con il bagno nella grande botte e il letto riscaldato ad arte e l’avvolgente affetto materno, non basta più. L’ineffabile sciarada/ritornello “Asa Nisi Masa” del film evoca misteriosamente le radici popolari nella domestica penombra vespertina. È la medesima cifra delle sequenze dedicate alla “mostruosa” Saraghina (Edra Gale) sulla spiaggia di Rimini: fotogrammi accelerati come in una vecchia comica, gioia e tremori per l’iniziazione erotica. Mentre tornano alla luce altri episodi dell’infanzia: dalla famiglia al collegio improntato a una rigida educazione cattolica. “Eminenza, io non sono felice”. È la confessione di Guido al cardinale che gli concede udienza nelle terme e lo gela: “Perché dovrebbe essere felice? Il suo compito non è questo. Chi le ha detto che si viene al mondo per essere felici?”. Tuttavia Guido, in mezzo ai “suoi” personaggi che sono in fondo altrettante proiezioni di un’identità moltiplicata e frammentata (più di Pirandello, qui conta Pinocchio), alla fine impartisce direttive con un megafono e tutti gli danno retta, si prendono per mano.
Così 8½ accompagna lo spettatore nell’esplorazione della zona grigia del genio, ma anche nelle incertezze e negli affanni di chiunque. Vedremo come lo accoglierà il pubblico quando il film tornerà in sala nella versione restaurata. Fellini riesce a comporre la confusione in una summa catartica, in un’autentica liberazione, in un ilare agnosticismo senza conversioni né pentimenti. È come se la fune iniziale che nell’incubo àncora Guido/Federico alla terra fosse recisa e gli permettesse finalmente di prendere il volo. Il modo stesso di girare e di narrare, quell’episodieggiare fascinoso e pigro all’insegna dell’improvvisazione, dell’occhio di bue puntato su figure in apparenza minori, ovvero sui capricci dell’arabesco, testimoniano la straordinaria capacità sintetica di Fellini, il suo canone anti-sistemico, la sua sofferta e feconda “esperienza della modernità”.
Sì, 8 ½ è un film immenso per grazia ricevuta dall’artista, vivificato da una visione baluginante grazie al Guido bambino che dirige la banda dei clown con il suo abito da collegiale. Lasciamo infine che parli Guido: “Ma che cos’è questo lampo di felicità che mi fa tremare e mi ridà forza, vita? Vi domando scusa dolcissime creature, non avevo capito, non sapevo, com’è giusto accettarvi, amarvi, e com’è semplice… Ecco, tutto ritorna come prima, tutto è di nuovo confuso, ma questa confusione sono io, io come sono, non come vorrei essere, e non mi fa più paura. Dire la verità, quello che non so, che cerco, che non ho ancora trovato. È una festa la vita, viviamola insieme”.
Oscar Iarussi - 8 ½ cinquant’anni fa
Avrebbe dovuto essere La bella confusione il titolo di 8 ½ di Federico Fellini che mezzo secolo fa rivoluzionò la struttura del racconto e tra l’altro ottenne due premi Oscar, assegnati al miglior film straniero (la terza statuetta hollywoodiana delle cinque che avrebbe vinto Fellini) e ai costumi di Piero Gherardi. Il titolo suggerito dal co-sceneggiatore Ennio Flaiano nel 1963 fu scartato da Fellini che lo ritenne didascalico. Eppure Federico il Grande si divertiva a raccontare di quando un tassista – che aveva visto 8 ½ in occasione della tesi di laurea della figlia – gli disse: “A dotto’, mi scusi se glielo dico, ma non ci ho capito un cazzo!”. Il regista postillava: “È la migliore recensione che abbiano mai fatto per questo film” (sempre che la storiella sia vera).
In 8 ½ Guido Anselmi (Marcello Mastroianni) è un famoso regista alla ricerca di riposo in una stazione termale. Realtà e fantasia si mescolano nella sua mente, e il luogo che dovrebbe garantirgli un po’ di relax si trasforma invece in una inquietante ribalta di personaggi, memorie e chimere. L’arrivo dell’amante Carla (Sandra Milo), poi della moglie Luisa (Anouk Aimée) e dell’attrice Claudia (Cardinale), nonché i colloqui con il suo produttore e con altri ospiti delle terme, aumentano la confusione di Guido e ne fanno venire a galla i ricordi: il collegio dell’infanzia e i genitori scomparsi da tempo. Quando il regista appare sul punto di rinunciare al film cui intanto sta lavorando, sul set occupato dalla scenografia di una rampa di lancio per un’astronave, un momento magico dà vita a una sorta di “social catena” leopardiana. È il celebre girotondo dei personaggi del film, scandito dalla musica circense di Nino Rota.
Come La dolce vita tre anni prima, 8 ½ si accosta al reale con infinita curiosità, senza preconcetti, attento a registrarne i battiti nascosti, i chiaroscuri, l’enigma. Molti, allora, per partito preso (cattolico o comunista) intravidero nella “bella confusione” felliniana una minaccia per quelle “grandi narrazioni” (illuminismo, idealismo, marxismo) invero già in declino in prossimità del ’68. In tal senso, involontariamente, Fellini anticipa la condizione post-moderna senza però compiacersi della “debolezza” del pensiero. E lo fa d’istinto, di pancia, di cuore, grazie al suo onnivoro desiderio di conoscere, di toccare, di smontare il giocattolo della vita e di toccare con mano un oggetto, una forma, un’idea e lasciarli cadere per vedere l’effetto che fa, per scoprire la vertiginosa bellezza dell’ignoto nel noto. Non un intellettuale, ma, sia concesso il neologismo, un principe “affettuale” bravissimo a percepire prima che a razionalizzare, a proiettare l’infanzia nell’età adulta, a scommettere sul sorriso del bambino, il piccolo Guido del finale di 8 ½, unico rimedio alla malinconia del vivere.
D’altro canto, possono ben poco i rimedi della società affluente o piccolo borghese che sul farsi degli anni Sessanta sembrano coincidere. Le acque curative, i bagni turchi, i fanghi terapeutici di 8½ dovrebbero ristorare il protagonista, esplicito alter ego felliniano fin dal titolo che ne riepiloga il numero dei film girati fino ad allora, ma l’andirivieni di emozioni, ansie, aspettative, passioni procura a Guido un’ulteriore spossatezza. Egli è alla ricerca del dono di un senso. Fa testo la beffarda domanda iniziale del medico termale al regista paziente-impaziente: “Che ci prepara di bello? Un altro film senza speranza?”. Il Nostro ha 43 anni, esattamente l’età di Federico, ed è in preda a un autentico ingorgo esistenziale oggetto dell’incubo claustrofobico nell’incipit del film, allorché lo vediamo imprigionato in un’automobile circondata da altre vetture nelle quali persone che scopriremo essergli familiari lo guardano stupefatti, indifferenti, o addirittura amoreggiano tra loro. Guido non riesce a uscire dalla macchina, se non librandosi verso l’alto fra nebbie e nuvole. Eccolo, sorvola una torre-scenografia sulla spiaggia, dove però un uomo a cavallo ingiunge a un altro che ha in mano una fune di metter fine al volo strattonandolo verso il basso: “Giù definitivamente”.
Perfino il ricorso alla gioia dell’infanzia contadina, con il bagno nella grande botte e il letto riscaldato ad arte e l’avvolgente affetto materno, non basta più. L’ineffabile sciarada/ritornello “Asa Nisi Masa” del film evoca misteriosamente le radici popolari nella domestica penombra vespertina. È la medesima cifra delle sequenze dedicate alla “mostruosa” Saraghina (Edra Gale) sulla spiaggia di Rimini: fotogrammi accelerati come in una vecchia comica, gioia e tremori per l’iniziazione erotica. Mentre tornano alla luce altri episodi dell’infanzia: dalla famiglia al collegio improntato a una rigida educazione cattolica. “Eminenza, io non sono felice”. È la confessione di Guido al cardinale che gli concede udienza nelle terme e lo gela: “Perché dovrebbe essere felice? Il suo compito non è questo. Chi le ha detto che si viene al mondo per essere felici?”. Tuttavia Guido, in mezzo ai “suoi” personaggi che sono in fondo altrettante proiezioni di un’identità moltiplicata e frammentata (più di Pirandello, qui conta Pinocchio), alla fine impartisce direttive con un megafono e tutti gli danno retta, si prendono per mano.
Così 8½ accompagna lo spettatore nell’esplorazione della zona grigia del genio, ma anche nelle incertezze e negli affanni di chiunque. Vedremo come lo accoglierà il pubblico quando il film tornerà in sala nella versione restaurata. Fellini riesce a comporre la confusione in una summa catartica, in un’autentica liberazione, in un ilare agnosticismo senza conversioni né pentimenti. È come se la fune iniziale che nell’incubo àncora Guido/Federico alla terra fosse recisa e gli permettesse finalmente di prendere il volo. Il modo stesso di girare e di narrare, quell’episodieggiare fascinoso e pigro all’insegna dell’improvvisazione, dell’occhio di bue puntato su figure in apparenza minori, ovvero sui capricci dell’arabesco, testimoniano la straordinaria capacità sintetica di Fellini, il suo canone anti-sistemico, la sua sofferta e feconda “esperienza della modernità”.
Sì, 8 ½ è un film immenso per grazia ricevuta dall’artista, vivificato da una visione baluginante grazie al Guido bambino che dirige la banda dei clown con il suo abito da collegiale. Lasciamo infine che parli Guido: “Ma che cos’è questo lampo di felicità che mi fa tremare e mi ridà forza, vita? Vi domando scusa dolcissime creature, non avevo capito, non sapevo, com’è giusto accettarvi, amarvi, e com’è semplice… Ecco, tutto ritorna come prima, tutto è di nuovo confuso, ma questa confusione sono io, io come sono, non come vorrei essere, e non mi fa più paura. Dire la verità, quello che non so, che cerco, che non ho ancora trovato. È una festa la vita, viviamola insieme”.
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