Uno dei leaders dei forconi in Jaguar ieri a Torino
Quando abbiamo scritto questo articolo il movimento dei forconi non
c'era ancora. Cresceva però un diffuso sentimento di antipolitica, fatto
di risentimento e confusione, che da sempre in Italia è stato il terreno
di coltura di ogni tentativo reazionario. Per questo crediamo che
approfondire la storia del neofascismo aiuti a comprendere meglio anche
cosa sta ora accadendo nelle nostre piazze.
Giorgio
Amico -N
come Neofascismo
Pur rappresentando un
fenomeno non residuale della vita politica italiana negli anni della
cosiddetta “Prima Repubblica” (1946-1994), il neofascismo più in
generale e la sua principale manifestazione politico-organizzativa,
il Movimento Sociale Italiano (MSI) in particolare, non sono sempre
stati oggetto di un'adeguata attenzione da parte degli storici e dei
politologi.
Pochi gli studi di
rilievo e fra questi di spicco quelli Giuseppe Parlato (Fascisti
senza Mussolini: le origini del neofascismo in italia 1943-1948), di
Piero Ignazi (Il polo escluso.
Profilo del Movimento Sociale Italiano e
Postfascisti? La trasformazione
del Movimento sociale in Alleanza nazionale) e
sull'altro
versante di Marco Tarchi (Esuli
in patria. I fascisti nell'Italia repubblicana e
Dal
MSI ad AN: organizzazione e strategie)
e Roberto Baldoni (La
Destra in Italia: 1945-1969).
Per
il resto, poco altro di significativo
esiste
in un mare di pubblicazioni che appare sterminato e spesso si riduce
da destra al mero dato autobiografico e reducistico finalizzato alla
rivendicazione del diritto per i fascisti all'esistenza politica
nell'Italia repubblicana e da sinistra a ricostruzioni che vanno da
un antifascismo di maniera fino ad una lettura riduttiva del periodo
della cosiddetta strategia della tensione (1969-1980), incapaci
entrambe di rendere la complessità di un fenomeno unico per la
profondità del radicamento sociale e la durata nell'affollato
panorama dell'estrema destra europea del dopoguerra.
Di
grande interesse risulta dunque il volume “L'anima
nera della Repubblica. Storia del MSI” (da
poco disponibile in libreria per l'editore Laterza) di Davide Conti,
giovane ricercatore presso la Fondazione Lelio e Lisli Basso,
consulente dell'Archivio storico del Senato e autore di altre
pregevoli ricerche sui crimini di guerra italiani, sulla Resistenza a
Roma e nel Lazio, sulla nascita della CGIL.
Proprio dalla complessità e dalla durata nel tempo del fenomeno
neofascista che, nato già all'indomani della Liberazione, percorre
per intero la storia dell'Italia repubblicana, per sfociare poi dopo
il congresso di Fiuggi del 1995 nel più ampio alveo della nuova
destra berlusconiana, parte l'autore per constatare la presenza fin
dai primordi della Repubblica di un diffuso senso di insofferenza
verso le regole e i principi della democrazia sanciti dalla
Costituzione. Un rifiuto delle regole viste come mera costrizione
che, per un'area sociale molto più differenziata e vasta di quella
rappresentata dal voto missino, diventa già alla fine degli anni '40
con il movimento qualunquista rifiuto della politica. Un fastidio,
espressione di una destra rozza, per lo più anonimo e silenzioso,
presente su tutto il territorio nazionale (e non solo in un Meridione
non toccato se non marginalmente dalla guerra di liberazione). Un
malessere profondo, largamente impermeabile al rinnovamento
democratico e civile del paese, che non si esprime apertamente sulle
piazze, ma che costantemente alimenta e sostiene il neofascismo,
parlamentare (il cosiddetto “doppiopetto” della dirigenza
missina) o squadrista/stragista di gruppi come Avanguardia Nazionale
e Ordine Nuovo.
“Questo processo – nota Conti nell'introduzione – ha
evidenziato come nella complessa realtà della vita nazionale
repubblicana la destra abbia costituito, grazie alla sostanziale
estraneità al moto di rinnovamento antifascista di consistenti
settori sociali, economici e politici, un'area più ampia e radicata
della rappresentanza parlamentare del MSI che emerse compiutamente
solo con la dissoluzione dei partiti della cosiddetta Prima
Repubblica”.
Una parte significativa del paese, sostanzialmente estranea ai valori
repubblicani che, dopo aver preso la forma composita del Movimento
dell'Uomo Qualunque e dei vari parti monarchici, dagli anni '50 perde
visibilità diretta celandosi sotto le insegne della DC e del
centrismo, per riapparire poi in forme virulente (e talvolta non meno
folcloristiche) in Forza Italia, nella Lega Nord e anche in parte
del Movimento 5 stelle. In una parola nella cosiddetta
“antipolitica”, espressione di un populismo rozzo, nemico dei
partiti come espressione organizzata del fare politica, in nome di
una visione plebiscitaria, personalistica (e clientelare) del potere.
In questo quadro una prima caratteristica del MSI è data, a partire
dalla rottura dell'unità antifascista nel 1947, dall'abbandono
della originaria dimensione antisistema e dalla collocazione
all'interno del campo atlantico. Nel tempo della guerra fredda il
partito non si presenta più solo come la voce politico-organizzativa
dei vinti ma non domi reduci di Salò, ma piuttosto come il reparto
avanzato sul fronte italiano della lotta al comunismo al servizio
dichiarato dei poteri forti dell'industria e della finanza, della
Chiesa, delle gerarchie militari e soprattutto del grande alleato
americano. Del tutto a proposito, l'autore parla di “scelta
atlantica” in un capitolo significativamente titolato “Fascisti
in democrazia: dalla clandestinità al partito legale”.
Una scelta di legalità, quella della dirigenza del MSI e in
particolare di Arturo Michelini (uomo vicinissimo ad ambienti
economico-affaristici romani contigui al Vaticano, che, pur non
abbandonando mai del tutto la dimensione squadristica ed eversiva
iniziale del movimento, determina la nascita alla destra del partito
di gruppi come Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale, legati ad
apparati dello Stato e della NATO e da questi utilizzati in un
articolato e sapiente gioco delle parti contro l'ascesa del movimento
operaio e democratico. La cosiddetta strategia della tensione,
insomma, mirata a “destabilizzare per stabilizzare” gli assetti
politici e sociali di un paese che la stessa crescita economica degli
anni '50 mette già dall'inizio del decennio successivo in
discussione.
E così arriviamo al 1960 e al governo Tambroni, ai moti di Genova e
ai morti di Reggio Emilia, all'inizio promettente della formula di
centrosinistra e al ripiegamento neoconservatore dopo il 1964 e il
tentato golpe del generale Di Lorenzo. Anni di contraddizioni
irrisolte, di tensioni sociali crescenti che sfoceranno nelle grandi
lotte operaie e studentesche del biennio 1968-69 e poi (a partire dal
dicembre '69, da Piazza Fontana) nella stagione delle stragi e dei
tentativi di golpe.
Centrale in questo processo è l'avvicendamento ai vertici missini
fra Arturo Michelini e Giorgio Almirante. Quest'ultimo, meno
subalterno alle gerarchie vaticane e alla Dc romana (Andreotti) del
suo predecessore, tenterà di sfruttare il sostanziale fallimento del
progetto riformistico del centrosinistra sul piano soprattutto
dell'unificazione economica del paese e dello sviluppo del
Mezzogiorno.
E' il periodo della rivolta di Reggio Calabria, dell'avanzata missina
nelle elezioni regionali in Sicilia, del ritorno dell'egemonia
almirantiana su un'estrema destra, tanto violenta ed eversiva quanto
frammentata organizzativamente, del rientro nei ranghi degli
ordinovisti rautiani, del recupero di ciò che resta dell'area
monarchica e della cosiddetta maggioranza silenziosa.
Diventato Destra Nazionale, il MSI di Almirante tenta di modificare
in profondità il quadro politico italiano, non accontentandosi più
di il ruolo marginale di rincalzo alla DC svolto per tutti gli anni
'50 e culminato nell'infausta avventura tambroniana, ma rivendicando
un proprio protagonismo. Una strategia volta a sostituire
all'originaria discriminante costitutiva della Repubblica,
l'antifascismo, una nuova discriminante, questa volta interamente
ideologica, l'anticomunismo.
“Delineando – scrive l'autore – un sistema poggiante
sulla semplificazione del confronto tra un fronte delle sinistre e un
blocco anticomunista, comprendente tutti i partiti atlantici, dove il
MSI avrebbe svolto la funzione di agguerrita avanguardia”.
Una strategia che punta direttamente alla delegittimazione del
sistema dei partiti, prima di tutto sul piano dell'ordine pubblico e
poi degli scandali. Un progetto diverso e autonomo, ma nei fatti
parallelo a quel Piano di rinascita democratica di Licio Gelli che
non a caso aveva il suo fulcro proprio nel sostanziale smantellamento
della Costituzione nata dalla Resistenza e nel passaggio da una Prima
Repubblica “dei partiti” ad una Seconda Repubblica presidenziale
di tipo neogollista.
Un progetto ambizioso che si scontra però con la realtà di un paese
in cui la partecipazione popolare e le potenzialità di mobilitazione
e di risposta delle forze democratiche restano forti. I tempi dunque
non sono ancora maturi e il progetto sfuma. La svolta a destra viene
bloccata. Davide Conti si dedica nell'ultima parte del volume alla
ricostruzione minuziosa del fallimento della strategia almirantiana
che vede il MSI all'inizio degli anni '80 di nuovo relegato ai
margini del sistema politico.
Il libro si ferma al 1978, ma, come ben sappiamo, la storia dei
neofascisti (e dei tentativi di piegare a destra la politica
italiana) non finisce qui, ma avrà nel decennio successivo ben altri
sviluppi.
“La
svolta –
si legge nelle pagine conclusive del volume – giunse
con la fine dei partiti della Repubblica antifascista e la
rimozione della discriminante storica nei confronti dell'estrema
destra, dovuta al procedere delle inchieste della magistratura sulla
corruzione politica che si trasformava così da questione morale in
questione giudiziaria”.
Con Tangentopoli prima e la discesa in campo di Silvio Berlusconi poi
il neofascismo, dopo lo sbiancamento e la ripulitura “democratica”
operata da Fini, verrà sdoganato. Un anticomunismo da anni '50,
ossessivo e caricaturale, diventerà centrale nella propaganda prima
di Forza Italia e poi del PDL, a stigmatizzare violentemente quanti
(giudici, funzionari dello Stato, giornalisti, politici) non si
piegano ai voleri del Cavaliere. Parallelamente (e del tutto
coerentemente) si intensificano gli attacchi alla Costituzione
repubblicana che resta il principale ostacolo sulla via della
trasformazione presidenzialista e neo-liberista del paese.
Oggi che quella stagione, durata un ventennio, appare al tramonto e
si parla di passaggio ad una Terza Repubblica dai contorni ancora
indefiniti, una riflessione critica e profonda sull'intera storia
politica dell'Italia del dopoguerra è di assoluta necessità e
urgenza. Libri come questo di Davide Conti sono momenti importanti di
questa riflessione.
(Da: I Resistenti 3/2013)
Davide Conti
L'anima nera della Repubblica. Storia del MSI
Laterza, 2013
20 euro
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