27 dicembre 2013

LA PARIGI DI EDGAR MORIN




La storia di un uomo e la storia dei luoghi dove ha vissuto, dove è stato felice. Piazze, vicoli, locali sono stanze della memoria, pezzi del cuore.
Edgar Morin - Memorie del boulevard

Intervista di Anais Ginori

«Ho visto tanti volti diversi di questa città infame e meravigliosa. Ho conosciuto Parigi nella gioia, nella fede, nel turbamento, nella vitalità sfavillante e nella noia più grigia». Nato nel 1921 nel nono arrondissement, ai piedi di Montmartre, Edgar Morin ha disseminato la capitale di tante cartoline: ognuna coincide con una pagina della sua vita tumultuosa, un reticolo di passioni pubbliche e private. Dal quartiere popolare di Menilmontant, dove è cresciuto, fino all'intellettuale Montparnasse, dove risiede ora, passando per le feste di Saint-Germain-des-Prés, il Marais medievale ancora non gentrificato, la place d'Italie con i suoi grattaccieli in costruzione.

La mia Parigi, i miei ricordi (Raffaello Cortina) è una biografia per luoghi, un viaggio sentimentale lungo quasi un secolo dentro al cuore della città "neocosmopolita", come la definisce ora il filosofo della complessità, eterno dissidente a sinistra. Con i suoi tanti traslochi, più di dieci, Morin ha attraversato ben tre République, dalla Terza alla Quinta, mantenendo un amore fedele per questa capitale così femminile e dunque seducente.

I primi ricordi di Parigi?
«Sono quelli delle passeggiate in tram con mia madre che mi portava a prendere il tè nelle Gallerie Lafayette. Fino a 10 anni vivevo a Parigi, ma non mi sentivo parte della città. È la morte di mia madre, la mia Hiroshima interiore, che mi ha fatto diventare davvero parigino. E più precisamente è nel momento in cui ho visto mio padre vestito a lutto nello square Martin-Nadaud, ai bordi del cimitero Père- Lachaise. Non sono mai più riuscito a passare davanti a quel giardino senza sentire una ferita mortale. Lasciai la casa di rue Mayran per trasferirmi da mia zia, in rue Sorbier, a mezza costa tra Menilmontant, Belleville e la montagnola di Buttes-Chaumont, luogo magico perché è qui che ho dato il primo bacio a uno dei grandi amori della mia vita, l'italiana Marilù ».


A Menilmontant è incominciata la sua formazione culturale?
«Era un'enclave del "petit peuple". I vicini si parlavano dalla finestra, si passavano burro o pane. C'era qualche carrozza a cavallo, il latte si comprava al litro versandolo nelle bottiglie. Ma c'era anche la cultura. La musica musette, i romanzi di avventura di Gustave Aimard, il cinema di Marcel Pagnol e René Clair. Alla Bellevilloise, vecchia cooperativa comunista, ho visto i primi film, compreso Il cammino verso la vita di Nicolas Ekk che mi sconvolse. Anche se ho lasciato Menilmontant settant'anni fa, è un quartiere che vive ancora dentro di me».

Ha ragione chi rimpiange il fermento di altre epoche?
«Non è possibile un paragone. Nella mia Parigi si scatenavano le passioni tra anticomunisti e antistaliniani. Poi si è aggiunta la faida tra chi sosteneva o meno la lotta d'indipendenza degli algerini. Frequentavo le feste a casa di Marguerite Duras, in rue Saint-Benoît, nel quadrilatero di Saint-Germain-des-Prés. La scrittrice aveva ospitato me e mia moglie, Violette, dopo la Liberazione. Era un microcosmo di rivalità. Duras non poteva sopportare Simone de Beauvoir. Ci divertivamo molto. Organizzavamo cene euforiche in cui si beveva e ballava moltissimo».


Una città per lei anche ostile, durante l'Occupazione.
«Ero responsabile della propaganda della Resistenza per la regione parigina, facevo reclutamento, fabbricavo documenti falsi per chi era in clandestinità, circolavo solo in biciclette perché neanche il metrò era più sicuro. Ma ci sono anche ricordi meravigliosi, indelebili. Come quella mattina presto dell'agosto 1944 quando, dopo una settimana di insurrezione, abbiamo incontrato i nostri liberatori. Piangevo di allegria nella macchina decapottabile, sventolando la bandiera tricolore».

Dopo il divorzio da Violette, perché scelse di vivere nel Marais?
«Quando arrivai nella rue des Blancs-Manteaux, all'inizio degli anni Sessanta, il mercato delle Halles non aveva ancora traslocato a Rungis. Era il ventre di Parigi, con una straordinaria vitalità notturna, fatta di prostitute, festaioli. Un quartiere cosmopolita, con un'importante comunità ebrea ma anche cinese, rifugiati di Saigon. La parola "Marais" non era mai usata dagli abitanti, perché sinonimo di "insalubre". È solo a metà degli anni Settanta che è incominciato il programma di riabilitazione estetica della zona. Nel Marais ho vissuto quasi diciotto anni della mia vita, e poi sono tornato nel 1984, in rue Saint-Claude, fino alla morte di Edwige, la mia terza moglie».


E tra gli anni Sessanta e Settanta che Parigi è diventata una metropoli moderna?
«Il barone Haussmann aveva snaturato la Parigi antica, la Quinta Repubblica ha snaturato la Parigi haussmanniana. In quel periodo Les Halles vengono trasformate in un gigantesco centro commerciale. Sono apparsi i palazzi moderni, quello dell'Unesco in place Fontenoy, la Maison de la Radio, e la Tour Montparnasse: troppo alta per il quartiere è troppo bassa per dominare Parigi. Con Edwige abbiamo vissuto in un grattacielo nel quartiere di place d'Italie. Il nuovo capitalismo immobiliare ha diviso ancor più la capitale. All'antica segregazione fra l'ovest e l'est si è aggiunta quella a macchia di leopardo tra quartieri agiati e quartieri rimasti poveri: Barbès, Melville, Menilmontant. Il proletariato di immigrati è stato relegato in alcune banlieue».

È diventato più difficile integrarsi per i forestieri?
«Parigi ha "pariginizzato" tutta la diversità etnico-culturale della Francia. Oggi le grandi città del Mediterraneo come Alessandria, Istanbul o Salonicco, da dove proviene la mia famiglia, sono scomparse. Parigi è diventata una città neocosmopolita con africani, maghrebini, vietnamiti, cinesi, senza contare i ricchi italiani, inglesi e russi che hanno acquistato pied-à-terre».
L'ultimo trasloco avviene nel 2009, per amore.
«Ho conosciuto la mia anima gemella, Sabah, durante il festival di musica sacra a Fez. Non potevo chiederle di vivere nel nido di rue Saint-Claude in cui tutto ricordava Edwige. Abbiamo venduto l'appartamento e ora siamo in rue Notre-Dames- des-Champs. Ci siamo sposati il 6 gennaio 2012, in place Saint-Sulpice, nel municipio del sesto arrondissement. Qui vicino, seduto al Dome, ho scritto il mio primo libro, L'Homme et la Mort».

Lei fa un ritratto nostalgico della Parigi perduta?
«Non si usa più dire "Paname!" il soprannome di Parigi per sintetizzare un senso di amicizia e famigliarità. È scomparso il titi parigino che canzonava nei crocchi, le cui invenzioni arricchivano l'argot. Anche se la Parigi della mia infanzia è stata cancellata da quella di oggi, rimane nelle mie passeggiate. Come cantava Yves Montand: J'aime flâner sur les grands boulevards / Y a tant de choses à voir. Non sono nostalgico, mi sento profondamente parigino. Ho ancora così tante cose da vedere».
la Repubblica | 06 Dicembre 2013



Edgard Morin
La mia Parigi, i miei ricordi di Edgar Morin
Raffaello Cortina, 2013
euro 16

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