Jean Cocteau
In fondo ciò che
facciamo è solo il nostro autoritratto
La tecnica impedisce di
commettere errori, e gli errori sono una cosa importantissima. È per
gli errori che ci esprimiamo con violenza e, quando abbiamo polso,
questi errori smettono di essere tali e si fanno talmente forti da
diventare dogmi, e le persone li accettano per tali. Quando ho
realizzato Il sangue di un poeta, quindi, mi trovavo a dover
inventare, e molto spesso delle casualità, o degli elementi esterni
che mi sembravano casuali (e che magari non lo erano), mi erano di
aiuto.
Così, per esempio, in
studio mi prendevano in giro, cercavano di ridicolizzarmi, e la gente
spazzava in modo che la polvere mi impedisse di lavorare. Il mio
operatore diceva: «La lasci, la lasci la polvere», e in realtà è
proprio grazie alla polvere che si vedono i raggi che la
attraversano. Spesso sono stato aiutato dalle stesse persone che
volevano impedirmi di fare un film, perché chi lotta contro di noi,
spesso, senza saperlo ci aiuta.
Conoscere richiede un
certo sforzo
Credo che ognuno faccia
sempre il proprio autoritratto.Per esempio, un pittore può fare
opere astratte, qualche macchia sulla tela, può dipingere una
sardina con la forchetta, uno zuavo, un paesaggio, una casa, un
albero... è sempre il suo autoritratto, e la prova è che non
diciamo mai: «Guarda, una Vergine», ma diciamo: «Guarda, un
Raffaello», non diciamo mai: «Guarda, dei pesci rossi», ma
diciamo: «Guarda, un Matisse», non diciamo mai: «Guarda, una
chitarra», diciamo: «Questo è un Picasso».
Notiamo sempre il
pittore, perché fa sempre il suo autoritratto, anche se non vuole. E
poi... non è quello che rappresenta che ammiriamo, ma il modo in cui
lo fa, perché il modello, se ne ha uno - anche gli astratti hanno un
modello, dato che ritraggono i loro pensieri - il modello deve
sparire a favore di un modo di dipingerlo che è il ritratto stesso
dell'individuo che dipinge. Per lunghi periodi - come sempre, in
realtà - il pubblico ha preferito la rappresentazione alla
presentazione e, come direi io, la riproduzione alla produzione. È
che al pubblico piace riconoscere, non conoscere.
Perché conoscere
richiede un grosso sforzo, mentre riconoscere no, è un gioco di
società. Diciamo: «Guarda, questa cosa assomiglia a quella», ma
quando non assomiglia a niente, allora bisogna fare uno sforzo
considerevole e, generalmente, un'opera è bella quando non
assomiglia a niente e crea un nuovo dogma, una nuova scala di valori.
La libertà fa male ai
giovani
Devo dire che al giorno
d'oggi la gioventù si trova in una situazione tragica, perché tiene
il piede in due staffe: non ha né passato né futuro, e allora vive
nell'immediato, ed è per questo che la gioventù è erotica e balla
il twist, perché deve vivere sul momento una vita priva di ricordi e
della promessa che successivamente sarà migliore. I bambini e gli
eroi vivono solo di disobbedienza.
Per esempio, Giovanna
d'Arco ha disobbedito alla Chiesa militante, Antigone ha disobbedito
a Creonte. Gli eroi, il principe di Homburg per primo, vivono solo di
disobbedienza. Ma se si è troppo liberi, non c'è più possibilità
di disobbedire. Ora, siccome attualmente la gioventù è libera di
fare quello che vuole, non ha la possibilità di rivoltarsi, ed è
nella rivolta e nella disobbedienza che si trova la forza di creare.
L'imprecisione è una
disgrazia
Credo che una delle
grandi disgrazie della nostra epoca sia l'imprecisione. Se si è
presa la decisione di fare una cosa, la si fa, e anche molto
velocemente, perché si è riflettuto molto prima di farla, e questo
personaggio misterioso dentro di noi che ci dà gli ordini, di colpo
ci detta opere sulle quali abbiamo meditato a lungo, per introdurle
nei suoi pensieri e, a sua volta, ridarcele in una forma violenta.
Per esempio, un giorno mi hanno chiesto cosa avrei fatto se casa mia
fosse andata a fuoco.
Mi hanno chiesto: «Cosa
porterebbe con sé?». Io ho risposto: «Il fuoco». Per me,
l'intensità è una cosa indispensabile, in ambito artistico. Non ci
si può permettere la minima pigrizia. Allora, è chiaro che non può
essere ottenuta con il tempo. Bisogna lavorare velocemente, ma avendo
prima pensato molto a quello che si sta per fare.
Sala dei matrimoni. Particolare |
Il conformismo
dell'avanguardia
Le rivoluzioni vengono
rimpiazzate molto rapidamente da mode e imperialismi, non è così?
Allora, è evidente che una rivoluzione non possa durare molto a
lungo, dopo un po' si radica, e quando succede... è qui che Radiguet
mi ha dato una grande lezione; mi ha detto: «Non è mai il pubblico
di massa che va contraddetto, ma l'avanguardia», perché riteneva
che quest'ultima iniziasse in piedi finendo per sedersi molto
rapidamente, diventando allora un'abitudine, un accademismo. Per
esempio, quando sono entrato all'Académie ho accettato l'offerta che
mi hanno fatto di entrarci, perché per me era un modo di lottare
contro il conformismo anticonformista; l'anticonformismo era
diventato il conformismo del nostro tempo. Allora la cosa mi
divertiva, mi interessava fare un atto - diciamolo pure con parole
stupide - «di destra e di sinistra»; mi interessava farlo di
destra, perché la sinistra era di moda, e tutto era a sinistra.
Gli artisti sono tutti
uguali
I nomi, al giorno d'oggi,
sono più importanti a causa di quello che ci mostrano le riviste e
la televisione. Sono più importanti delle opere. La gente ama
riconoscere le persone, e dice: «Guarda là, è quel tale... è ».
Scendevo sulla spiaggia
di Passable, c'è una piccola scala a parete che conduce alla
spiaggia, e una signora, piuttosto grossa, saliva insieme a suo
marito, mentre io scendevo, e lei indicandomi dice: «Guarda, quello
è Picasso», e suo marito dice: «No, è Jean Cocteau», e lei
continua: «Ma è uguale, Jean Cocteau o Picasso, è la stessa cosa
». Quando ho raccontato questa storia alla moglie di Picasso,
Jacqueline, lei mi ha detto: «Ma sì, le persone credono anche che i
neri siano tutti uguali, così come gli indiani, i cinesi o i
giapponesi. Per la gente gli artisti sono persone tutte uguali».
Non rifaccio mai la
stessa opera
Il dramma è che sono
molto, molto stupido e incolto, e che le cose mi vengono solo da
questa specie di effluvi interni che non mi riguardano, o meglio che
mi riguardano, ma che io conosco molto male, e senza di essi io non
sono niente. Spesso mi capita, quando mi chiedono una lista delle mie
opere, di dimenticarne sette o otto - di quelle importanti, tra
l'altro. In sostanza, c'è una cosa di cui posso essere fiero, cioè
il fatto che non sono mai stato un velleitario: non ho mai lasciato
un'opera in sospeso, le lascio solo - che siano scritte o dipinte -
solo dopo aver messo il punto finale, quando ho chiuso la porta. E
non le imito mai, non rifaccio mai la stessa cosa dopo.
Perché le persone
vorrebbero che si rifacessero sempre opere uguali, vorrebbero che
rifacessi Il sangue di un poeta, La bella e la bestia, I ragazzi
terribili. Mi dicono di continuo: «Perché non rifà un'opera
teatrale come I parenti terribili ». Non voglio, è stato un altro a
farlo, e l'altro attuale non ne è capace - e, del resto, non so di
cosa sia capace.
Come dirsi
l'essenziale
Quando ho conosciuto
Charlie Chaplin, mi trovavo sui mari della Cina, in barca. Lui non
credeva che fossi io, e io non credevo che fosse lui... e poi è
venuto nella mia cabina e abbiamo fatto il viaggio insieme. In quel
periodo, viveva con Paulette Goddard, una francese. Lui non parla una
parola di francese, e per me è lo stesso con l'inglese - a quel
tempo non ne parlavo una parola - e discorrevamo di continuo.
Alla fine abbiamo creato
una lingua fatta di gesti, di sguardi, riuscivamo a parlare, anche a
trattare argomenti difficili. E poi, un giorno, hanno chiesto a
Paulette Goddard: «Perché lei sta zitta? Perché non li aiuta?»
(lei parlava entrambe le lingue a meraviglia), e lei rispose: «Così
si dicono solo l'essenziale ». È comico: quello che diceva era
sintomo di pigrizia, ma non era poi così stupido! Allora, noi
eravamo tentati di dirci cose serie perché non avevamo l'agilità di
linguaggio che permette di dire frivolezze.
Cocteau e Picasso (1957) |
Dentro abbiamo il fango
Il primo a insegnarmi che
l'arte non era un incanto, ma una lotta, un sacerdozio, è stato
Stravinskij, poi Radiguet e poi Picasso. Ho conosciuto tutte queste
persone... Modigliani... di colpo ho capito di essere entrato in una
terribile lotta d'austerità, e siccome avevo avuto successo a lungo
nel senso opposto, ne avrei portato i danni tutta la vita, e mi viene
ancora rimproverato. Ma bisogna essere saggi, bisogna dirsi che la
Terra non è che un po' di polvere nella Via Lattea, che non sono
cose gravi, ecco, e pazienza... Alla fine... abbiamo dei difetti, del
fango, dentro, siamo fatti con il fango, e allora, di colpo, nascono
sentimenti abominevoli, di orgoglio.
Si dice a se stessi: «Ma
come! Fanno tutto questo, a me?», e poi, dopo, ci si batte le mani.
Io mi dico: «Stai tranquillo, perché tu no? Gli altri hanno
sofferto: cos'è successo a Rimbaud? E a Verlaine? E a Baudelaire? E
a Vermeer da Delft? E a Cézanne? », e continuo: «Erano tutti
terribilmente infelici, quindi perché, adesso, l'eredità di questi
uomini dovrebbe farci stare comodi e felici?». Proprio per niente, è
la stessa cosa, e la bellezza è sempre stata invisibile, e quando è
visibile, si tratta di moda. Quando una signora dice: «Io compro
solo astratti», è la moda, è finita. Che cosa vuol dire...
astratti? O è bello o non è bello, e importante o meno.
Il pubblico va
addormentato
La Francia non è un
Paese di pubblico, è per questo che è terribile. Non esiste
solitudine più grande di quella di un'opera in lingua francese: non
c'è pubblico. Tutti fanno qualcosa, la gente vuole stare sul palco,
recitare al posto degli attori, avrebbero recitato meglio di loro,
fatto meglio il copione. Hanno rispetto per la musica perché non
sanno suonare né il trombone né il clarinetto e neppure il
violoncello, allora si impressionano e applaudono. Altrimenti,
pensano sempre di poter fare di meglio, non esiste il vero pubblico.
E poi i francesi sono
troppo individualisti per sottostare a uno stato d'ipnosi. In
sostanza, un'opera teatrale deve ipnotizzare il pubblico perché
abbandoni le proprie preoccupazioni e adotti quelle dell'autore o dei
personaggi. Ma sono tutti troppo preoccupati di loro stessi per
astrarsi e interessarsi agli altri. È un pubblico difficile da
addormentare.
Maggioranza e
minoranza
Il dramma del nostro
tempo, è che le maggioranze pensano come minoranze, e le minoranze
vogliono farsi passare per maggioranze. Allora un giovane pubblica un
piccolo volume di versi, e vorrebbe venderne seicentomila esemplari.
Poi, alla radio, chiunque dà la sua opinione come se fosse quella
che conta. Le maggioranze si mettono nella posizione delle minoranze,
non hanno più alcun tipo di modestia, fanno come se appartenessero a
queste ultime. Le minoranze, invece, vogliono diffondersi in tutto il
mondo, aver ragione, e che tutti le ascoltino e le applaudano.
(Da: La Repubblica del 27
ottobre 2013)
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