20 dicembre 2013

IL RE E' PIU' NUDO CHE MAI...


Raffaele K. Salinari *

La nudità imposta


Mio nonno Raf­faele era par­tito i primi del Nove­cento con il Lusi­ta­nia alla volta di New York. Con la sua vali­gia di car­tone ed il biglietto di terza classe aveva con­di­viso il mal di mare ed il nero delle notti sull’oceano nella sof­fo­cante atmo­sfera di cuc­cette che rim­bom­ba­vano del fra­gore dei motori e impre­gna­vano i vestiti di olio meccanico.

Non c’erano pia­ni­sti a bordo che ral­le­gras­sero le serate, come rac­conta il neo­bar­baro Baricco, né i gia­ci­gli sem­bra­vano «letti a due piazze» come canta De Gre­gori. Que­sto mi diceva il nonno, ed anche, dopo tutto quel viag­gio verso l’ignoto, lo sbarco ad Ellis Island dove nei suoi occhi di ottua­ge­na­rio c’era ancora il ricordo di quando lo ave­vano spo­gliato, rasato, e disin­fet­tato con la pompa antisettica.

Quella nudità col­let­tiva, quella fila di corpi senza più la diver­sità carat­te­riz­zante che davano i sep­pur miseri vestiti, lo scon­vol­geva ancora. Quando trovò sul mio como­dino «Se que­sto è un uomo» mi disse sem­pli­ce­mente: lo capisco.

La nudità impo­sta, lo sco­prire a forza la «nuda vita» come dice Ben­ja­min, mostra ed espone il cuore dell’essere; non è un caso che ogni forma di domi­nio bio­po­li­tico, a comin­ciare dai Lager nazi­sti, summa anti­ci­pa­trice della moder­nità, l’abbia uti­liz­zata come dispo­si­tivo di espro­pria­zione di que­sto cuore. Eppure, pro­prio per que­sto, la resi­lienza, la sistole che diventa comun­que dia­stole, che torna ad espan­dere la dignità dell’essere nudo davanti ai suoi car­ne­fici, pre­vale, anche se non sem­pre, e prende forme mul­ti­ple, come quelle di mostrare al mondo un video di denun­cia di certe pra­ti­che, com’è suc­cesso a Lam­pe­dusa. Anche nei lager c’erano pro­ce­dure sani­ta­rie, anche Men­gele spe­ri­men­tava secondo pro­to­colli gali­leani, ma il senso di tutto que­sto era defor­mato dall’intento finale, dalla volontà dell’umiliazione.

Non sap­piamo se così sia stato anche per Lam­pe­dusa, vogliamo spe­rare di no, anzi dob­biamo spe­rare di no, le inda­gini lo diranno. Ma que­sto non impe­di­sce che una rifles­sione più pro­fonda vada fatta su ciò che è suc­cesso, anche indi­pen­den­te­mente, se sarà così, dalla volontà di chi ha gestito i fatti. In pri­mis un dato antro­po­lo­gico: pos­si­bile che dopo tanti anni di espe­rienza con i corpi migranti non si sia ancora capito dove risiede quell’inalienabile dignità che essi hanno con­ser­vato nelle tra­ver­sate mor­tali, che hanno man­te­nuto nelle tor­ture, negli stu­pri, negli abusi di tutti i tipi? Come si può essere così cie­chi da non capire il valore sim­bo­lico del vestito e della nudità di massa?

E allora qui siamo di fronte non ad una sem­plice super­fi­cia­lità, o peg­gio, ma ad una incom­pe­tenza che mette a giu­sti­fi­ca­zione di un gesto grave dei pro­to­colli che pos­sono essere appli­cati in ben altre maniere. E ancora, quale civiltà dell’accoglienza per­mette o anzi impone tali pro­to­colli? Ci sono dun­que respon­sa­bi­lità pun­tuali, ma anche poli­ti­che. Nulla è cam­biato dalla tra­ge­dia di Lampedusa.

I man­cati fune­rali di Stato, pro­messi dal pre­si­dente del Con­si­glio, hanno get­tato non solo un’ombra sulle reale volontà di uma­niz­zare l’inumanizzabile, ma anche di rico­no­scerne l’insostenibile valenza mor­ti­fi­cante. Allora i corpi non c’erano, occul­tati in tombe senza nome, oggi sono espo­sti allo scan­dalo di se stessi, acce­canti come tutto ciò che si vede ver­go­gnan­do­sene. Ora ci sono le imma­gini, e lo Spet­ta­colo ha ripreso il suo dominio.

La com­mo­zione durerà il tempo dei fra­mes tra­smessi dai media, ma la ferità bru­cerà pro­fonda nei corpi dei migranti e non solo, e non sap­piamo che infe­zioni pro­vo­cherà: è un nostro dovere sanarla immediatamente.

Già le asso­cia­zioni si stanno muo­vendo, e que­sta volta non baste­ranno fugaci visite o pro­messe da rivol­gere alla lon­tana Europa, per occul­tare il pro­blema. Tutte le solu­zioni sono alla por­tata del governo ora, dei suoi mini­stri e del pre­si­dente del Con­si­glio. Ci aspet­tiamo radi­cali cam­bia­menti nelle pros­sime ore.



Il Manifesto – 19 dicembre 2013

*Medico, Presidente della Fondazione Terre Des Hommes Italia. Autore di numerose pubblicazioni.

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