25 dicembre 2013

ALCHIMIA E SCIENZA IN I. NEWTON

Newton alchemico

25 dicembre 2013
Pubblicato da www.nazioneindiana.com
di Antonio Sparzani
Sir Isaac Newton by Sir Godfrey Kneller
Isacco Newton nacque il 25 dicembre 1642: la faccenda del calendario usato (giuliano e non ancora gregoriano) l’ho già spiegata qui, con tutti i dettagli del caso, quindi non sto a soffermarmi oltre.
Noto invece che, mentre la sussiegosa wikipedia inglese descrive così: «he was an English physicist and mathematician who is widely regarded as one of the most influential scientists of all time and as a key figure in the scientific revolution», sostanzialmente seguita dalla wikipedia catalana e da quella tedesca che parla di “filosofo” nel senso più ampio della parola, le wikipedie romanze, eccetto appunto quella catalana, comprese quelle in sardo, in romeno e in friulano, recitano tutte più o meno così: «è stato un matematico, fisico, filosofo naturale, astronomo, teologo e alchimista inglese.».
Ovvero i neolatini apprezzano la componente alchemica che senza alcun dubbio è stata una delle componenti importanti nella formazione di questo gigante della riflessione sulla scienza. Dico “gigante” non a caso, perché la metafora fu da lui stesso usata in una lettera a Hooke del 1676 (“Se ho visto più lontano, è perché stavo sulle spalle di giganti”), col quale peraltro litigò furiosamente. Ma la cosa che intendo sottolineare è questa parte non menzionata dalle wikipedie anglosassoni, e cioè la componente alchimistica. Come mai?
Comincio col tradurvi qui di seguito il prologo del libro di Jean-Paul Auffray, Newton ou le Triomphe de l’alchimie, Le Pommier-Fayard 2000, che racconta in breve la rocambolesca vicenda delle carte alchemiche di Newton.
«Tre mesi prima della nascita di suo figlio, destinato a diventare il grande sir Isaac Newton, Hannah Newton perde suo marito. Tre anni più tardi sposa in seconde nozze il reverendo Barnabas Smith, al quale dà tre figli ― un figlio, Benjamin, e due figlie, Hannah e Mary.
Venticinque anni dopo Hannah Smith sposa il reverendo Robert Barton, dal quale ha una figlia nel 1679. Intelligente e di grande bellezza, Catherine Barton conduce una vita avventurosa prima di sposare, all’età di trentotto anni, John Conduitt, di dieci anni più giovane. Essi hanno una figlia, Catherine, che Newton, che è negli ultimi anni della sua vita [morirà nel 1727], chiama affettuosamente Kitty.
Nel 1740, tredici anni dopo la morte di sir Isaac, Catherine «Kitty» Conduitt sposa il visconte Lymington. Il loro figlio diventa il secondo conte di Portsmouth.
Passano gli anni. Nel 1872 il suo discendente fa dono all’università di Cambridge dei libri e degli scritti lasciati da sir Isaac e conservati a cura della famiglia. Il bibliotecario compila un catalogo di tutti questi documenti e quindi restituisce al donatore un certo insieme di manoscritti che egli considera come «non di natura scientifica».
Nel 1936 il visconte Lymington apre la valigia che contiene i manoscritti e restituita a suo nonno e chiede all’illustre istituzione londinese Sotheby & Co. di metterli in vendita. Viene redatto un catalogo descrittivo nel quale i manoscritti sono suddivisi in 121 lotti. Con la vendita i manoscritti si disperdono. Lord John Maynard, barone Keynes, si ribella al fatto che questi documenti scritti dalla mano di Newton siano stati sparpagliati ai quattro venti e si prefigge il compito di recuperarli al più presto.
Arriva a ricomprarne una sessantina. Li esamina, ed è sconvolto da quanto scopre. Nell’occasione del terzo centenario della nascita di Newton [1942] annuncia, tra la sorpresa generale: «Newton non è stato il primo del secolo della Ragione, è stato l’ultimo del secolo dei Magi, l’ultimo dei Babilonesi e dei Sumeri, l’ultimo grande spirito ad aver penetrato il mondo del visibile e dello spirito con gli stessi occhi di quelli che cominciarono a edificare il nostro patrimonio intellettuale poco meno di diecimila anni fa.
Mi propongo qui di raccontare la storia vera di Isaac Newton, ultimo dei grandi Sumeri, che non vuol dire insultare la sua memoria, dato che egli stesso si fece apostolo del culto di Vesta e che considerava che gli Antichi detenevano, meglio di noi, il segreto della verità.»
Del contenuto parleremo la prossima volta.

Nessun commento:

Posta un commento