Abbiamo già parlato dell'ultimo bel film di Woody Allen. Ci torniamo oggi anche perchè il film ci sembra un'amara parabola che descrive lucidamente il nostro tempo:
Il nostro tempo è la decadenza
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“Blue Jasmine”. Il film racconta la
caduta dal benessere alla povertà, ossia il passaggio da una condizione
di insipienza a una di lucidità. È quello che sta accadendo
.
Daniela Ranieri.
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L’ultimo film di Woody Allen Blue Jasmine
rende paradigmatica una vicenda individuale: la moglie di un uomo
d’affari arrestato per truffa precipita dalla condizione privilegiata a
quella di ospite della sorellastra proletaria in un sobborgo di San
Francisco. Più che la caduta di una persona dal benessere alla povertà,
il film racconta il rito di passaggio da una condizione di insipienza a
una di lucidità, dall’incoscienza di classe alla ipercoscienza di
esserne decaduti. Jasmine passa dalla chiacchiera fatua in giardino coi
rappresentanti del bel mondo al parlottio autistico in giacca Chanel in
una città di normali alienati mentali. Esclusa dalla casta a cui
apparteneva, segnata dallo stigma di connivente nella frode di migliaia
di risparmiatori, si trova nel limbo borderline tra l’élite imbiancata dei ladri e lo zoticume degli onesti, dissonanza da silenziare a colpi di Xanax.
Fare la commessa in un negozio di scarpe
frequentato dalle stesse amiche che riceveva in casa è l’icona plastica
di una nemesi sociale. La storia ci riguarda, se reinterpretiamo il rito
in senso collettivo: il decadimento italiano era all’opera quando gli
spavaldi designer dell’incubo mostravano ristoranti pieni ai cittadini
di una stucchevole Pleasentville già rosicchiata dai germi
dello sfacelo. La classe operaia si
dissolveva nell’individualismo qualunquista già intercettato dal
centrodestra. Tra i detentori di partite Iva, un tempo illusi dai
contratti con gli italiani o sedotti dalla schiuma alla bocca dei
leghisti, montava lo stesso malessere che cresceva tra i residui di quel
capitalismo molecolare incapace di produrre una visione che non fosse
la sopravvivenza. Ma è solo al cospetto della bruttezza, della sporcizia
e della cattiveria del popolo confluito nella raffazzonata falange dei
Forconi, finora tenuto a distanza dalla rotondità neutra delle
statistiche e ridotto a cifra da recitare nella liturgia da talk show,
che come Jasmine sperimentiamo l’agnizione e la nevrosi. Se aveva
ragione Nietzsche e “l’Europa è il mondo che tramonta”, l’Italia sembra
il plastico ingrandito della Concordia durante il “saluto” nel
crepuscolo dei popoli. Il declassamento era un prodromo quasi buffo,
quando Monti pareva poter risolvere tutto con un’austerità al
cloroformio, roba da gestire in uffici grigi coi vetri che imitavano
quelli dei palazzi dell’Europa-bene. Quella di oggi è l’Italia “sciapa
e infelice” fotografata dall’Istat, in cui la bancarotta generale
si capillarizza in fallimento individuale e morale, e la crescita zero
pare una buona notizia.
Le agenzie di rating neanche ci
declassano più, la famiglia e il sommerso decadono dal loro storico
ruolo di para-ammortizzatori sociali, gli insegnanti sono retrocessi a
operai di una merce inutile, la Storia dell’arte, con buona grazia
dell’indimenticabile Gelmini, viene espunta dai programmi di studio.
Pompei si sgretola a scena aperta, tante volte non avessimo capito.
È stato questo il nostro decadere: non
tanto la discesa del ceto medio dalla scala sociale, ma l’erosione dei
gradini stessi, il crollo che ha aperto una faglia insanabile tra
ottimati dei milioni, tenuti su dai fili del malaffare, e una massa di
poveri non solidali e in preda al nichilismo. Era decadenza
l’edificazione di una filosofia dell’apatia e della negazione
dell’esistente da parte di una “sinistra” che ancora oggi guarda a quel
popolo con degnazione se non disprezzo, e finora ha perpetrato
l’inazione come garanzia del proprio privilegio. Quasi uno sberleffo
appare la decadenza di B. da senatore, pura registrazione di uno status
quo.
La Jasmine di Allen ha sempre saputo
degli affari loschi del marito, ma decide di denunciarlo solo dopo
l’ennesimo tradimento di lui: questa perdita dell’innocenza per mezzo
della vendetta le dona la chiarità del principio di realtà, ma la
condanna alla coazione: dopo una vita di menzogna (persino il nome
uguale a quello di un fiore è finto), intravede la speranza in un
ulteriore matrimonio di interesse, che poi crolla di fronte al fantasma
del passato non più occultabile.
Spesso la decadenza ha un retroscena ghiandolare, come insegnano
le vicende di Napoleone, la cui ascesa e tramonto seguirono la parabola
della sua ipofisi, e di Cesare Borgia, il Principe di Machiavelli
stroncato dalla peste e dalla sfortuna: nel nostro interregno in cui ciò
che non vacilla cade, saranno la rabbia o il progetto, la demolizione o
il realismo, a costringere alla scelta tra catastrofe e ricostruzione.
È come nei videogame di simulazione Civilization,
quando tra incendi e rivolte non si riesce più a governare e un banner
ci avverte dell’inizio della caduta: o si agisce razionalmente, dando al
popolo pane e rose, oppure si alzano le tasse, il popolo stordito si
ribella nella deriva morale, le forze dell’ordine si arrendono, e un
diapason intollerabile annuncia il game over.
Da il Fatto Quotidiano 20 dicembre 2013
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