(ANSA) - PALERMO, 24 APR - Una grande
installazione di 1300 mq dell'artista cinese Ai Weiwei dedicata alle
rotte migranti e pensata per Palermo, città che dell'accoglienza ha
fatto il suo manifesto. Si potrà visitare fino al 20 giugno "Odyssey",
percorso disteso nello spazio ZAC (Zisa arte contemporanea) che
raccoglie le immagini della ricerca sui rifugiati e sui campi profughi
nel mondo avviata nel 2015 da Ai Weiwei, star della scena dell'arte
contemporanea, celebre per la sua opposizione al governo cinese e attivo
difensore delle libertà dell'uomo.
"Odyssey" è il risultato del lungo viaggio condotto da Ai Weiwei e dal suo staff attraverso le storie di coloro che per disperazione o per conquista hanno navigato i mari del mondo per trovare approdi di salvezza. Il visitatore può camminare su di esse, seguendo tracce e storie dell'emigrazione. Le figure s'intrecciano in lungo, bellissimo racconto circolare con illustrazioni tratte dai social media e dai materiali raccolti nei diversi campi profughi. Sono immagini rivisitate secondo stilemi che si ispirano alle antiche civiltà del Mediterraneo. I contenuti rimandano invece all'immaginario mediatico del XXI secolo, rappresentato da scene di militarizzazione, migrazione, fuga e distruzione.
Ai Weiwei lavora secondo la tradizione artigianale antica in aperta critica alla rivoluzione culturale cinese che ha distrutto il passato. Per lui l'arte è impegno politico e resistenza. Ha sposato la causa dei migranti con il suo linguaggio preciso e coerente, che unisce l'essenzialità concettuale alla tradizione del suo paese e, in questo caso, alla classicità mediterranea.
Ai Weiwei è figlio del celebre poeta Ai Qing, vittima della rivoluzione culturale maoista. "Quando sono nato", ha ricordato, "mio padre è stato denunciato come nemico del partito e del popolo. Siamo stati mandati in un campo di lavoro in una regione remota lontano da casa ... È un'esperienza terribile essere considerato straniero nel tuo paese, nemico della tua gente e delle cose che più mio padre amava" (Laundromat, Jeffrey Deitch Gallery, New York, 2016). "Odyssey" è, dunque, un progetto di ricerca che ha radici nella sua stessa esperienza di rifugiato.
L'interesse per questo tema accompagna gran parte del suo lavoro. Nel 2011 Ai Weiwei viene posto agli arresti domiciliari per le critiche severe all'establishment cinese. Nel 2015, quando gli viene restituito il passaporto e la possibilità di viaggiare fuori dalla Cina, inizia a visitare i campi profughi di diversi paesi, tra cui Grecia, Turchia, Libano, Giordania, Israele, Gaza, Kenya, Afghanistan, Iraq, Pakistan, Bangladesh, Messico.
L'opera è approdata a Palermo nell'ambito di "Diritti in Cantiere", in occasione dei lavori della XXXII Assemblea generale di Amnesty International Italia.
L'organizzazione della mostra è di ruber.contemporanea, in collaborazione con Accademia di Belle Arti di Palermo | dICODA Dipartimento di Comunicazione e didattica dell'Arte.
(ANSA).
RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright ANSA"Odyssey" è il risultato del lungo viaggio condotto da Ai Weiwei e dal suo staff attraverso le storie di coloro che per disperazione o per conquista hanno navigato i mari del mondo per trovare approdi di salvezza. Il visitatore può camminare su di esse, seguendo tracce e storie dell'emigrazione. Le figure s'intrecciano in lungo, bellissimo racconto circolare con illustrazioni tratte dai social media e dai materiali raccolti nei diversi campi profughi. Sono immagini rivisitate secondo stilemi che si ispirano alle antiche civiltà del Mediterraneo. I contenuti rimandano invece all'immaginario mediatico del XXI secolo, rappresentato da scene di militarizzazione, migrazione, fuga e distruzione.
Ai Weiwei lavora secondo la tradizione artigianale antica in aperta critica alla rivoluzione culturale cinese che ha distrutto il passato. Per lui l'arte è impegno politico e resistenza. Ha sposato la causa dei migranti con il suo linguaggio preciso e coerente, che unisce l'essenzialità concettuale alla tradizione del suo paese e, in questo caso, alla classicità mediterranea.
Ai Weiwei è figlio del celebre poeta Ai Qing, vittima della rivoluzione culturale maoista. "Quando sono nato", ha ricordato, "mio padre è stato denunciato come nemico del partito e del popolo. Siamo stati mandati in un campo di lavoro in una regione remota lontano da casa ... È un'esperienza terribile essere considerato straniero nel tuo paese, nemico della tua gente e delle cose che più mio padre amava" (Laundromat, Jeffrey Deitch Gallery, New York, 2016). "Odyssey" è, dunque, un progetto di ricerca che ha radici nella sua stessa esperienza di rifugiato.
L'interesse per questo tema accompagna gran parte del suo lavoro. Nel 2011 Ai Weiwei viene posto agli arresti domiciliari per le critiche severe all'establishment cinese. Nel 2015, quando gli viene restituito il passaporto e la possibilità di viaggiare fuori dalla Cina, inizia a visitare i campi profughi di diversi paesi, tra cui Grecia, Turchia, Libano, Giordania, Israele, Gaza, Kenya, Afghanistan, Iraq, Pakistan, Bangladesh, Messico.
L'opera è approdata a Palermo nell'ambito di "Diritti in Cantiere", in occasione dei lavori della XXXII Assemblea generale di Amnesty International Italia.
L'organizzazione della mostra è di ruber.contemporanea, in collaborazione con Accademia di Belle Arti di Palermo | dICODA Dipartimento di Comunicazione e didattica dell'Arte.
(ANSA).
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