30 maggio 2017

SVILUPPO E GUERRA



Una visione sentimentale della politica internazionale vede nello sviluppo del sud del mondo un antidoto alle guerre e alle migrazioni. In realtà, è proprio il contrario: lo sviluppo, determinando nuovi assetti geopolitici e nuove contraddizioni, è spesso l'anticamera della guerra.Tutta la storia europea degli ultimi tre secoli ne è la dimostrazione. Oggi l'India, dove il rilancio economico del Nord-Est è pensato in funzione anticinese, ne è un buon esempio.
Carlo Pizzati

L’India inaugura il maxi ponte. Prova di forza contro la Cina

Tra le vette più alte del mondo, nell’Himalaya al confine tra Cina e India, sono già arrivate le tempeste dei pre-monsoni. Ma le bufere non sono solo meteorologiche perché stanno addensandosi tensioni tra i due Paesi più popolati al mondo, con più di 1,3 miliardi di abitanti ciascuno.

Così, l’inaugurazione del ponte più lungo dell’India tra l’Assam e lo stato confinante con la Cina, l’Arunachal Pradesh, dovrebbe essere una bella notizia. E difatti il presidente Narendra Modi, nel celebrare tre anni esatti al governo, ha dichiarato ieri che questo ponte è l’inizio di una fase di rilancio economico del Nordest con autostrade, treni, canali, aeroporti e potenziamento dell’Information Technology.

Quel che non ha detto è che si tratta anche di un cambiamento di strategia militare, in un botta e risposta che coinvolge un caccia indiano schiantatosi sui monti dell’Assam, un viaggio del Dalai Lama nel nord dell’India, le offerte misteriose di un «Kissinger cinese» e un flettersi di muscoli in una disputa lunga un secolo, rafforzata dai ritrovati nazionalismi tipici di questa nostra era.

Il ponte Hazarika, lungo 9,15 chilometri attraverserà il fiume sacro Brahmaputra, nell’Assam, consentendo ai carri armati indiani di raggiungere più in fretta le zone di confine, su un’autostrada di duemila chilometri da costruirsi nell’Arunachal Pradesh. Ma provate a pronunciare il nome di questo stato indiano in Cina e vi diranno: «Intendi il Tibet del Sud?». Pechino non riconosce questo stato, e lo reclama come suo. Non solo, si è lamentata pubblicamente con l’India di aver concesso al Dalai Lama di restarci per due settimane ad aprile.

Ponte e autostrada sono un cambiamento di strategia significativo. Dopo la guerra del 1962, in cui per 4 settimane la Cina sconfinò dimostrando il suo potere, l’India ha adottato una strategia difensiva al limite del timoroso: non ha più costruito strade nelle zone di confine perché, in caso d’invasione da nord, per i cinesi sarebbe stato impraticabile conquistare le pianure via terra. Così senza strade e commercio, le regioni si sono impoverite.

Ma Modi ha cambiato gioco, finendo la prima di molte grandi opere rimaste in sospeso, cui seguirà il ponte ferroviario più alto del mondo, 359 metri su un abisso nel Kashmir, e una linea di binari nelle isole Andamane, nel Golfo del Bengala dove transitano navi cargo cinesi.

Non sorprende allora il summit che il ministro degli Interni indiano ha tenuto nel Sikkim, staterello montagnoso con meno di un milione d’abitanti infilato tra Nepal, Bhutan e Cina. A Nathula, posto di frontiera con la Cina, Rajanth Singh ha raccolto i governatori dei sette stati di confine per dire loro, sotto lo sguardo severo dei gurkha: «Alzate il livello di vigilanza. Ci sono state trasgressioni delle forze cinesi in passato. E potrebbero esserci altri faccia a faccia. Dobbiamo sviluppare le zone di confine per arginare l’emigrazione verso sud. Lo faremo finanziando lo sviluppo di villaggi modello, mentre completiamo le reti stradali».

È un cambiamento di rotta totale. Prima la necessità di svuotare le zone cuscinetto con la Cina e renderle impervie a una possibile invasione, ma rendendo anche difficoltoso il pattugliamento. Ora la decisione di popolare il confine di strutture e abitanti, ponti, strade, treni.

L’annuncio arriva proprio quando il cosiddetto «Kissinger cinese», il rispettato diplomatico Dai Bingguo, aveva commentato che se l’India fosse disposta a consegnare territori nel «Tibet del Sud», il governo cinese avrebbe rivisto le sue posizioni in «altre aree», ovvero a nord del Kashmir, in una territorio di 38mila km quadrati che l’India reclama come suo. Scambio improponibile, al momento.

Secondo S.K. Chatterji, analista indiano di sistemi di difesa, la situazione si fa seria: «L’India si deve preparare per una breve, ma intensa guerra nei prossimi anni. Riuscire a spostare le risorse militari da un settore all’altro, a seconda delle minacce, è ora importantissimo per le forze armate indiane. Il ponte sul Brahmaputra aiuterà a muovere rapidamente mezzi e soldati lungo il confine con la Cina».

In quella frontiera, tre giorni fa, è scomparso dai radar un caccia Sukhoi-30 dell’aviazione indiana. Ieri è stato ritrovato proprio sulla linea di confine con la Cina. Nessuna traccia dei due piloti.

La Stampa – 27 maggio 2017

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