17 maggio 2017

LA FOLLIA SECONDO M. FOUCAULT


Manuela Busalla, con questa essenziale recensione, ci invita a rileggere un testo classico del pensiero contemporaneo:


Foucault e la fenomenologia della follia
I tanti volti della devianza e il loro significato antropologico. Un viaggio nelle pieghe della diversità per comprendere disfunzioni sociali e fragilità valide ancora oggi.

Un approccio scientifico multidisciplinare, un’attenta analisi sociale con profonde implicazioni morali, ma anche una lettura ragionata che sottende argomenti legati a letteratura e arte. Storia della follia nell’età classica (1961) è uno studio condotto con metodo strutturalista sulle relazioni tra le scienze umane, la filosofia e le istituzioni. Michel Foucault passa in rassegna il pensiero dal tardo Medioevo alla Rivoluzione industriale per scandagliare tutti quei complessi meccanismi che – di volta in volta – hanno fatto di devianza e diversità una malattia.
La follia apre un vuoto, suggerisce a gran voce interrogativi che talvolta non hanno una risposta e in tal misura è uno stimolo creativo. Allo stesso modo la malinconia può produrre stati di eccellenza intellettuale. A partire da queste premesse Foucault studia la ghettizzazione a cui venivano sottoposti gli insani. Spesso confusi coi malati, essi erano internati nei lebbrosari d’epoca medievale. Eppure con lo sparire della lebbra tali strutture continuano a svolgere un ruolo proprio. Si arriva agli asili o ai ricoveri sorti nel XV secolo e poi trasformati nel Seicento in ospedali. Basti pensare che in Francia sarà un decreto del 1656 a istituire il primo hôpital général. Nel corso del tempo tuttavia persino le prigioni assolveranno ruoli analoghi, quando la confusione tra carità e repressione sarà totale, quando folli e non folli finiranno costretti tra le medesime mura.
Esclusione e abbandono hanno però un senso profondo, quasi trascendentale. L’abbandono garantisce al malato una reintegrazione spirituale e una forma di salvezza. Perché il suo stato di salute mentale viene letto come delirio legato alla fede o a speculazioni filosofiche. Poi, con il primo Rinascimento, si cede il passo a un modo di ragionare nuovo. Se la “nave dei folli” aveva un senso in quanto allontanava il pericolo dalle città, più avanti l’acqua assume un valore simbolico differente. Essa purifica e la navigazione viene vista come un rito di passaggio per rientrare nei canoni della normalità, nei ranghi dell’ordinario. A tale proposito Foucault ricorda quanto accade nell’arte. Con Hieronymus Bosch, Dürer e Brueghel la follia entra nella rappresentazione pittorica, affascina l’osservatore e gioca un ruolo analogo in letteratura. Ce lo ricordano Cervantes col suo Don Chisciotte e Shakespeare tra le pagine del Macbeth.
La storia della follia attraversa alterne vicende. C’è un momento in cui essa diventa un tema caro ai mistici: rinuncia al mondo, abbandono totale all’oscura volontà divina. Erasmo da Rotterdam parla di un Dio che nasconde ai saggi il mistero della salvezza, salvando il mondo dalla follia stessa. Per Blaise Pascal gli uomini sono necessariamente pazzi, «che il non esser pazzo equivarrebbe a esser soggetto a un altro genere di pazzia». Gli attori sociali che entrano in gioco sono diversi. La Chiesa non resta estranea al discorso, non è poi così lontana dall’organizzazione degli ospedali generali. Tanto più che la follia viene definita “malattia dell’anima” e bisognerà aspettare Freud perché sia considerata “malattia mentale”. Ma in mezzo ci sono Philippe Pinel e Samuel Tuke. Psichiatra francese e attento innovatore, il primo conduce un’analisi fisiologica del disturbo mentale. L’altro, filantropo e riformatore inglese, discetta di trattamenti “morali” come sola cura adeguata.
Con il Rinascimento, invece, follia e miseria perdono spessore mistico. In un’ottica rinnovata, povertà significa punizione. L’uomo ha i suoi doveri verso la società. Il folle viene condannato poiché mina alla base l’ordine pubblico. L’internamento assume un valore nuovo: l’internato deve essere produttivo. Sorge così il mito della felicità sociale, ma in tutta Europa le case d’internamento si rivelano un insuccesso. Nella Storia della follia Foucault non tralascia il racconto delle pratiche magiche per curare la demenza, parla della musica e del suo senso terapeutico. L’analisi è ancora oggi attuale poiché la follia è un aspetto del progresso e della civiltà. Si dà quindi voce a Nietzsche, Van Gogh e Artaud.
Nella follia l’uomo scopre la verità e solo allora una guarigione è possibile. Foucault ci lascia con un assioma: la follia diventa l’ambito di governo di una nuova scienza, la psichiatria. Ma quello che può sorprende è l’attualità di questo saggio laddove si legge «la follia non spiega e non scusa niente… entra in complicità col male per moltiplicarlo, per renderlo più insistente e pericoloso, e prestargli nuovi volti».
Manuela Busalla 2017
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