06 gennaio 2018

ARTE E RIVOLUZIONE


Malevic, Testa di contadino (1928)

La rivoluzione d'Ottobre suscita un'ondata gigantesca di fervore intellettuale e artistico. Si vuole che l'arte diventi parte della vita quotidiana. Ci penserà Stalin a normalizzare la situazione. Il tramonto della democrazia sovietica sarà anche la fine delle avanguardie artistiche. Il suicidio di Majakovskij chiude un'epoca. L'arte diventa propaganda di regime (realismo socialista) e l'artista d'avanguardia un nemico del popolo.

Giuseppe Dierna
La nascita di un'avanguardia tra sogno e realtà

Scrive orgogliosamente Vladimir Majakovskij nel luglio del 1920, mentre in Russia ancora imperversa la guerra civile: «Noi avanziamo/ lava rivoluzionaria». I poeti e i pittori dell'Avanguardia (galassia composita che annovera futuristi, suprematisti, costruttivisti, produttivisti) con quella Rivoluzione si erano fin dall'inizio identificati. Li legava l'idea di un'attività collettivistica, il sogno di una rifondazione totale dei linguaggi dell'arte come della politica, l'intento di rompere con la tradizione, benché in campo artistico la dirigenza, da Lenin a Stalin, sarà invece sempre alquanto tradizionalista.
La Rivoluzione scatenerà ancor più le potenzialità degli artisti, fornendo materiali, mezzi e atelier, e offrendo loro anche il monopolio nella formazione delle nuove leve, per cui le istituzioni artistiche saranno all'inizio guidate da Kandinskij, Rodčenko, Chagall, Malevic. A differenza delle avanguardie occidentali (dadaisti, futuristi…), gli artisti russi entrano quindi nei gangli del potere, hanno la possibilità di realizzare il loro progetto totalizzante.
    Realismo socialista
Perché, allora, nel giro di poco più di un decennio questa sintonia scompare e dell'iniziale esplosione avanguardistica sopravvivono (talvolta anche in senso letterale) solo i fotomontaggi di Rodčenko, la grafica di El Lisickij e alcuni progetti architettonici costruttivisti? Certo, il centralismo politico che si stabilizza in Urss con Stalin all'inizio degli anni '30, sotto la guida (ormai) unica del Partito, non può certo sopportare le spinte autonomiste e la pretesa avanguardistica di guidare lo sviluppo della cultura. Ma non basta.
A scalzare l'Avanguardia dalla sua posizione dominante contribuiranno anche le antiche spinte tradizionaliste di quei sostenitori di una "cultura proletaria" riuniti fin dal '17 nel Proletkul't, peccato originale della Rivoluzione, e che – indifferenti ai problemi della "forma artistica" – nell'arte vedevano solo uno strumento educativo. Rimasti sottotraccia per più di un decennio (persi in dispute interne e in rivoli scissionistici), ad essi farà riferimento Stalin nella sua riorganizzazione della cultura anche in chiave anti-avanguardistica.
Se si guarda poi più da vicino alle vicende dell'Avanguardia russa, ci si accorge di quanto essa stessa abbia collaborato alla propria fine. Non sarà infatti il potere ma la parte "vincente" dell'Avanguardia (i costruttivisti di Rodčenko) ad emarginare in pochi anni le varianti più "spiritualiste" (da Malevic a Kandinskij), e questo in nome di una diversa visione "politica".
     Chagall, La rivoluzione
E ancora: negli anni '20 il dominante gruppo costruttivista-produttivista – ma anche il raggruppamento attorno all'importante rivista LeF (tra i collaboratori: Osip Brik e B. Arvatov, a dirigerla: Majakovskij) – nel loro tentativo di realizzare l'utopia di un'arte legata alla produzione industriale (che alla figura dell'artista sovrapponeva quella dell'artista-ingegnere) e approfittando di una linea politica nei primi anni post-rivoluzionari non del tutto univoca in campo culturale, erano sempre più penetrati nei territori del potere, rivendicando la propria funzione (politicamente) rivoluzionaria e propugnando un'"arte come metodo di edificazione della vita", convinti che spettasse a loro – gli artisti dell'Avanguardia – guidare quel processo. Una confusione che sarà loro fatale: dopo gli iniziali tentennamenti, il Partito si riprenderà con fermezza il proprio ruolo.
Come spiegava alcuni anni fa Boris Groys, sarà Stalin – con la sua dittatura, e con l'invenzione del realismo socialista – a concretizzare il sogno avanguardistico, il «passaggio da un'arte della rappresentazione della vita alla sua trasfigurazione nel quadro di un progetto estetico-politico totale».
Nell'aprile del '32 una risoluzione del Comitato Centrale scioglie tutti i raggruppamenti artistici e li riunisce in megaorganizzazioni controllate dallo Stato. Per gli artisti sovietici il sogno rivoluzionario finisce qui.
La repubblica – 20 dicembre 2017

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