Malevic, Testa di contadino (1928)
La rivoluzione
d'Ottobre suscita un'ondata gigantesca di fervore intellettuale e
artistico. Si vuole che l'arte diventi parte della vita quotidiana.
Ci penserà Stalin a normalizzare la situazione. Il tramonto della
democrazia sovietica sarà anche la fine delle avanguardie
artistiche. Il suicidio di Majakovskij chiude un'epoca. L'arte
diventa propaganda di regime (realismo socialista) e l'artista
d'avanguardia un nemico del popolo.
Giuseppe Dierna
La nascita di
un'avanguardia tra sogno e realtà
Scrive orgogliosamente
Vladimir Majakovskij nel luglio del 1920, mentre in Russia ancora
imperversa la guerra civile: «Noi avanziamo/ lava rivoluzionaria».
I poeti e i pittori dell'Avanguardia (galassia composita che annovera
futuristi, suprematisti, costruttivisti, produttivisti) con quella
Rivoluzione si erano fin dall'inizio identificati. Li legava l'idea
di un'attività collettivistica, il sogno di una rifondazione totale
dei linguaggi dell'arte come della politica, l'intento di rompere con
la tradizione, benché in campo artistico la dirigenza, da Lenin a
Stalin, sarà invece sempre alquanto tradizionalista.
La Rivoluzione scatenerà
ancor più le potenzialità degli artisti, fornendo materiali, mezzi
e atelier, e offrendo loro anche il monopolio nella formazione delle
nuove leve, per cui le istituzioni artistiche saranno all'inizio
guidate da Kandinskij, Rodčenko, Chagall, Malevic. A differenza
delle avanguardie occidentali (dadaisti, futuristi…), gli artisti
russi entrano quindi nei gangli del potere, hanno la possibilità di
realizzare il loro progetto totalizzante.
Realismo socialista
Perché, allora, nel giro
di poco più di un decennio questa sintonia scompare e dell'iniziale
esplosione avanguardistica sopravvivono (talvolta anche in senso
letterale) solo i fotomontaggi di Rodčenko, la grafica di El
Lisickij e alcuni progetti architettonici costruttivisti? Certo, il
centralismo politico che si stabilizza in Urss con Stalin all'inizio
degli anni '30, sotto la guida (ormai) unica del Partito, non può
certo sopportare le spinte autonomiste e la pretesa avanguardistica
di guidare lo sviluppo della cultura. Ma non basta.
A scalzare l'Avanguardia
dalla sua posizione dominante contribuiranno anche le antiche spinte
tradizionaliste di quei sostenitori di una "cultura proletaria"
riuniti fin dal '17 nel Proletkul't, peccato originale della
Rivoluzione, e che – indifferenti ai problemi della "forma
artistica" – nell'arte vedevano solo uno strumento educativo.
Rimasti sottotraccia per più di un decennio (persi in dispute
interne e in rivoli scissionistici), ad essi farà riferimento Stalin
nella sua riorganizzazione della cultura anche in chiave
anti-avanguardistica.
Se si guarda poi più da
vicino alle vicende dell'Avanguardia russa, ci si accorge di quanto
essa stessa abbia collaborato alla propria fine. Non sarà infatti il
potere ma la parte "vincente" dell'Avanguardia (i
costruttivisti di Rodčenko) ad emarginare in pochi anni le varianti
più "spiritualiste" (da Malevic a Kandinskij), e questo in
nome di una diversa visione "politica".
Chagall, La rivoluzione
E ancora: negli anni '20
il dominante gruppo costruttivista-produttivista – ma anche il
raggruppamento attorno all'importante rivista LeF (tra i
collaboratori: Osip Brik e B. Arvatov, a dirigerla: Majakovskij) –
nel loro tentativo di realizzare l'utopia di un'arte legata alla
produzione industriale (che alla figura dell'artista sovrapponeva
quella dell'artista-ingegnere) e approfittando di una linea politica
nei primi anni post-rivoluzionari non del tutto univoca in campo
culturale, erano sempre più penetrati nei territori del potere,
rivendicando la propria funzione (politicamente) rivoluzionaria e
propugnando un'"arte come metodo di edificazione della vita",
convinti che spettasse a loro – gli artisti dell'Avanguardia –
guidare quel processo. Una confusione che sarà loro fatale: dopo gli
iniziali tentennamenti, il Partito si riprenderà con fermezza il
proprio ruolo.
Come spiegava alcuni anni
fa Boris Groys, sarà Stalin – con la sua dittatura, e con
l'invenzione del realismo socialista – a concretizzare il sogno
avanguardistico, il «passaggio da un'arte della rappresentazione
della vita alla sua trasfigurazione nel quadro di un progetto
estetico-politico totale».
Nell'aprile del '32 una
risoluzione del Comitato Centrale scioglie tutti i raggruppamenti
artistici e li riunisce in megaorganizzazioni controllate dallo
Stato. Per gli artisti sovietici il sogno rivoluzionario finisce qui.
La repubblica – 20
dicembre 2017
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