Mauro Canali ricostruisce in un libro l'evoluzione dei rapporti fra Mussolini e i corrispondenti romani dei grandi giornali americani. Da un iniziale caloroso appoggio, peraltro durato molto a lungo, alle prime perplessità dopo la guerra di Etiopia e l'avvicinamento alla Germania hitleriana.
Umberto Gentiloni
Mussolini e i
giornalisti americani cronaca di un idillio finito male
Mussolini è come un Roosevelt latino», un paragone a dir poco azzardato che torna nei giudizi dei corrispondenti americani in servizio a Roma durante il ventennio: «Immaginate un Theodore Roosevelt consapevole del posto che avrebbe occupato nella storia degli Stati Uniti, e avrete l’immagine di Benito Mussolini in Italia». Il fascismo attira curiosità e attenzioni, un fenomeno nuovo, un fermento politico difficile da decifrare, per molti un enigma. A partire dagli anni Venti il drappello di corrispondenti americani diventa cospicuo, agenzie, quotidiani e periodici si attrezzano per raccontare ai lettori d’oltreoceano cosa stia avvenendo in un angolo della vecchia Europa.
Una rete di relazioni e
rapporti tra diplomatici, uomini di governo, giornalisti al lavoro su
biografie, racconti, reportage. Un mondo che si muove nell’Italia
fascista, in un crocevia incerto tra la libertà e la curiosità di
scrivere e gli strumenti coercitivi di controllo e censura del
regime. Uno spaccato del fascismo attraverso una sua proiezione fuori
dai confini nazionali. Un volume mette insieme le corrispondenze
statunitensi sulla società del ventennio (Mauro Canali, La scoperta
dell’Italia. Il fascismo raccontato dai corrispondenti americani,
Marsilio, € 20,00).Una ricerca
complessa, tra archivi privati di giornalisti, fonti ufficiali,
documenti conservati dalle testate a New York, Chicago o Los Angeles.
Il segno delle corrispondenze muta nel tempo.
Di fronte ai primi
passi molti sono abbagliati, folgorati dall’illusione della
popolarità del giovane dittatore capace di imporre regole e
comportamenti in una società conflittuale, disordinata,
potenzialmente conquistabile dalle sirene della rivoluzione
comunista. Estimatori convinti definiscono Mussolini «una sovrumana
dinamo umana», o ancora «una personalità notevolmente brillante
che stava compiendo meraviglie in Italia».
Si fa a gara per avere
udienza, trovare un canale diretto, fissare un’intervista che possa
svelare ambiti privati, lati meno conosciuti del fascismo e del suo
capo: «Il Grande Uomo del momento! Che Dio lo benedica e protegga
lui e l’Italia», in un crescendo di considerazioni apologetiche,
persino imbarazzanti. Si dà risalto all’aspetto fisico «di una
forza della natura» fino a descriverlo come un «divino dittatore
pieno di fascino, forza e gentilezza» capace di suscitare emozioni
intense «per molto tempo ancora dopo averlo salutato».
Un idillio che secondo
l’autore ha delle radici ben precise: «Rimasero colpiti nei primi
anni del regime quando il dittatore cercava di presentare il fascismo
come una sorta di terza via tra comunismo e capitalismo, moderatore
degli eccessi di quest’ultimo e nel contempo solido argine nei
confronti del comunismo».
Ma nel breve spazio
di pochi anni la natura del regime cominciò a venir fuori. Mussolini
esercitò un controllo diretto e costante sui corrispondenti: voleva
trasmettere un’immagine positiva e accattivante, cercava il
consenso delle comunità di italoamericani.
Con la metà degli anni Venti e soprattutto con l’introduzione delle “leggi fascistissime” del novembre 1926 il controllo diventò serrato. «Il regime cercò di corrompere i corrispondenti stranieri per garantirsi quantomeno un atteggiamento benevolo». Chi non ci stava, chi non accettava il ruolo di megafono del regime veniva individuato, controllato e intercettato: «I corrispondenti potevano essere ammoniti, diffidati, minacciati o anche espulsi».
Con la guerra di aggressione all’Etiopia quelle aspettative illusorie dei primi anni si trasformano in una presa di distanze critica da parte della stampa statunitense, nel momento di maggiore consenso del fascismo nella società italiana.
Non esistevano alternative, «O sei con Noi o contro di Noi». Molti cedettero (quasi la metà, secondo l’opinione del 1945 di uno sconsolato Paul Scott Mower), altri cercarono di raccontare opponendosi all’idea che la stampa potesse essere trasformata in un organo di propaganda e non di critica.
La Repubblica – 9
gennaio 2018
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