Cinema e psicoanalisi
nascono insieme nel 1895. La lezione di Freud sarà fondamentale per
molti registi a partire da Alfred Hitchcock.
Giuseppina Manindi
Freud. La sua ricerca ideale per il cinema
Sapeva che sarebbe stato un viaggio «pericoloso». Si trincerava dietro la paura delle malattie, del clima, ma in realtà Roma lo angosciava per ben altro, qualcosa che riguardava il profondo. E difatti Roma, in quei miti giorni di fine settembre del 1907, aveva in serbo per Sigmund Freud due incontri fatali: con il bassorilievo di Gradiva, che lo spinse a indagare nuovi baratri della psiche, e con quella nuova arte chiamata cinema. In piazza Colonna, su uno schermo all’aperto Freud vide i primi filmini, comiche del muto che lo lasciano «ammaliato».
Non a caso, cinema e psicoanalisi sono fratelli gemelli. Nati lo stesso anno, il 1895, quando a Vienna Freud pubblica i primi studi sull’isteria e a Parigi i fratelli Lumière mostrano in pubblico il primo film, 45 secondi in bianco e nero tremolante sull’uscita delle operaie dalle officine Lumière. Un doppio sogno costruito su evidenti affinità — immagini in movimento, oscurità, voyeurismo — destinato a infiniti intrecci futuri. La rassegna di psico-film curata da Maurizio Porro, dal 5 febbraio al 12 marzo all’Anteo, offrirà occasioni per meditarci su.
Ma se Freud restò incantato alla sua prima visione romana, non altrettanto accadde quando Hollywood lo interpellò. Nel 1924, pur trovandosi in ristrettezze economiche, rifiutò i 100mila dollari offerti dalla MGM per collaborare alla stesura di copioni su storie d’amore tra personaggi famosi, a partire da Antonio e Cleopatra. Due anni dopo altro invito, altro rifiuto. Sebbene stavolta la richiesta fosse più sensata, supervisionare la sceneggiatura de I misteri dell’anima di Pabst , primo film sulla psicanalisi, Freud si ritrasse indignato. «Non voglio aver nulla a che spartire con storie del genere» scrisse a Karl Abrahm, presidente della Società Psicanalitica, che prima tentò di convincerlo e poi accettò di collaborare lui stesso al film. E questo provocò la rottura tra i due.
«Freud non odiava il cinema, la sua diffidenza era verso un cinema che voleva raccontare la psicoanalisi — assicura Vittorio Lingiardi, psicanalista appassionato del grande schermo —. Ma detta con il senno di poi, aveva torto. Vera “fabbrica dei sogni”, il cinema tra tutte le arti visive ha dimostrato di essere la più adatta a raccontare la vita psichica».
Tanto che oggi alcuni film vengono adottati come complemento didattico nelle università. «Se una volta si portavano gli studenti a vedere le isteriche alla Salpêtrière, oggi si mostrano i meccanismi della psiche attraverso i paesaggi del cinema». Per esempio? «Se voglio parlare della fragilità analitica proietto Blue Jasmine di Woody Allen, mentre Natural Born Killer è un trattato sulla personalità antisociale. E niente come l’ Inquilino del terzo piano di Polanski spiega, complice Topor, come nasce il delirio psicotico».
E poi viene
Hitchcock. « Psyco per me è il primo vero film psicanalitico. Hitch
semplifica molto, ma sa trattenere i tre elementi chiave della
psicanalisi: il trauma, la rimozione, la catarsi. Capisce che la
psicanalisi al cinema è un successo, la usa per costruire il plot».
Altro discorso per Woody Allen: «Maestro nel raccontare le nevrosi
quotidiane, meglio le sue, con quel tocco di ironia necessaria per
trasformare il dramma in commedia».
Ma se Hitch piega la
psicologia al cinema e Allen stende il cinema sul lettino, che fa
Cronenberg? «La affronta dal punto di vista del paziente, dentro i
più oscuri pertugi della mente». Impossibile scordarsi di Bergman e
Buñuel. «Il primo usa la psicanalisi per sfiorare la metafisica, il
secondo ne recupera la forza eversiva originaria». Ma il più psy di
tutti resta Fellini. «Il più visionario. Jung, “lo scienziato
veggente”, è il suo compagno di viaggi onirici». Ne resta ancora
uno, Lars von Trier. « Melancholia è il poema della depressione,
Nymphomaniac il film impossibile sulla sessualità femminile. Due
buchi neri della psiche illuminati dalla forza emotiva del cinema».
Il Corriere della sera –
23 gennaio 2018
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