23 gennaio 2018

PERCHE' IN ITALIA SI LEGGE POCO?


       Abbiamo più volte denunciato in questo blog la scarsa presenza di libri nelle case degli italiani, lo scarso amore per la lettura  e il preoccupante analfabetismo di ritorno che risulta da inchieste e studi recenti. Sembra, infatti, -  e facebook lo conferma ampiamente! - che anche tanti di coloro che apparentemente sono in grado di leggere non comprendano bene quello che leggono. Anche per questo Don Milani si impegnò seriamente a fare scuola, convinto com'era che l'uguaglianza degli uomini passa dalla padronanza della lingua.
       
       Nell'articolo seguente si mette giustamente l'accento sul ruolo che dovrebbero avere le biblioteche pubbliche nella promozione della lettura. Ma si trascura del tutto il ruolo centrale della scuola di base (l'intera fascia dell'obbligo) e mi sembra che l'autore dell'articolo sia troppo indulgente nei confronti dell'editoria italiana (di cui fa parte), che stampa una grande quantità di libri inutili! (fv)

La battaglia (politica) per la lettura.

di Nicola Lagioia

Giuseppe Di Vittorio da adolescente era ancora un semianalfabeta. Quando capì che far valere i suoi diritti in quelle condizioni era impossibile, si procurò un vocabolario. Sono passati anni, ma nell’Italia del XXI secolo l’analfabetismo funzionale che Tullio De Mauro ha combattuto per una vita affligge larghi strati della popolazione, e l’ultimo rapporto Istat racconta un paese di pochi lettori forti contrapposti a una marea di non-lettori in aumento. Nei paesi più evoluti si legge di più. Ma al tempo stesso proprio i paesi in cui si legge molto – e quelli in cui si investe in cultura e istruzione – sono destinati a progredire più degli altri. Tra meno di due mesi si va a votare. Poiché nessuno degli schieramenti politici ha ancora indicato le proprie idee (sempre che ce ne siano) per favorire quella che potremmo chiamare “la battaglia per la lettura” (sempre che chi aspira a governare la ritenga importante), proviamo a dare qualche suggerimento. Anche da questi aspetti sarà possibile capire chi guarda al 4 marzo pensando solo alle prossime elezioni, e chi anche alle prossime generazioni.
Com’è ovvio la questione del reddito è centrale: chi ha più soldi in tasca compra più libri – se confrontate la classifica delle regioni italiane per libri letti con quella del reddito pro capite, le posizioni coincidono quasi tutte. A parte questo, per il libro sono almeno cinque i punti chiave da cui iniziare la partita: scuole, librerie, biblioteche, comparto editoriale, promozione. Prima di addentrarci nel discorso, una premessa. La filiera del libro in Italia è piena di professionisti di valore. In particolare nelle case editrici (veniamo da una grande tradizione, siamo il paese di Aldo Manuzio) ci sono eccellenze che è difficile trovare anche nei paesi dove si legge più che da noi. Non ho invece mai visto niente di più avvilente dei nostri uomini politici – la maggior parte di essi – quando parlano con enfasi di editoria e promozione della lettura convinti di sapere ciò che dicono. Il mio consiglio a chi ci rappresenta è dunque: siate umili, per una volta fate prevalere l’ascolto sull’ansia di protagonismo. Il vostro compito è favorire il lavoro di chi sa farlo già egregiamente in un contesto ostile.
Cominciamo dalle scuole. Le biblioteche scolastiche sarebbero i luoghi perfetti per la promozione della lettura, se solo fossero sufficientemente attrezzate, se fossero attive (in molte scuole ci sono biblioteche dove in un anno non entra un libro), e soprattutto se ci fosse un bibliotecario, cioè una persona il cui compito è promuovere la lettura tra gli studenti, con strategie che variano a seconda del contesto in cui si trova. Attualmente nelle scuole le biblioteche sono affidate al buon cuore dei docenti che se ne occupano tra mille altre cose. La figura del bibliotecario scolastico – presente in quasi tutti i paesi europei – in Italia esiste solo nella provincia autonoma di Bolzano, non a caso una delle zone in cui in Italia si legge di più. Anche prevedere più tempo per la lettura ad alta voce potrebbe essere un’idea. È importante leggere un testo critico sui Fratelli Karamazov, ma se questo impedisce agli studenti anche solo di iniziare a leggere il capolavoro di Dostoevskij, c’è un problema.
Nei luoghi dove ci sono più librerie e più biblioteche pubbliche si legge di più. Non è solo la domanda che genera l’offerta: spesso accade il contrario. In paesi come la Francia o la Germania ci sono misure a sostegno delle librerie meritevoli (la manovra di dicembre introduce il credito d’imposta, ma è solo un inizio, bisogna fare decisamente di più) che ne fanno dei modelli esemplari. Per ciò che riguarda le biblioteche: esclusi i casi virtuosi (uno su tutti: la Sala Borsa di Bologna) le biblioteche oggi occupano uno spazio marginale nelle pratiche culturali degli italiani – prive di mezzi, drasticamente sotto organico, specie al sud, sono il settore per la promozione della lettura dove il margine di miglioramento è maggiore.
L’editoria italiana è dinamica e altrettanto audace. Non è infrequente che grandi autori stranieri vengano scoperti da noi prima che altrove, e non è raro che gli autori italiani abbiano un certo successo all’estero. A differenza di altri settori (come il cinema o il teatro) l’editoria libraria si autosostiene. Da una parte è un bene (la mancanza di assistenza pubblica costringe a innovare di continuo), ma questo non significa che una buona cornice normativa non possa rinvigorire un settore meritorio. Dai contributi alle traduzioni, a quelli per la vendita all’estero dei diritti d’autore di libri italiani, a un più vasto ed efficace piano di agevolazioni fiscali per chi acquista libri, anche qui, trarre ispirazione da ciò che accade in paesi più evoluti non fa male.
Qualche tempo fa, nel corso di fortunati incontri pubblici che chi ha visto ricorda, la pubblicitaria Annamaria Testa metteva a confronto le nostre campagne istituzionali di promozione alla lettura con quelle di altri paesi. Il paragone era imbarazzante. Di come una campagna di comunicazione istituzionale possa coprirsi di ridicolo ne abbiamo avuto dimostrazione con il Fertility Day. In questo caso il margine di miglioramento non esiste perché bisognerebbe proprio cambiare paradigma.
Ho fatto solo qualche esempio. Un pacchetto completo di proposte legislative in tal senso fu presentato nel 2013 dal Forum del Libro. Elogiato da tutti i gruppi parlamentari, non è mai arrivato a discussione. Si potrebbe ricominciare anche da lì.
Nonostante l’editoria libraria sviluppi un volume d’affari assai più grande di quello del cinema, il mondo del libro – a differenza della settima arte – non è mai riuscito a far fronte comune davanti alla politica. Bravissimi di per sé, gli editori italiani lo sono meno quando c’è da fare squadra. Su alcuni punti (la legge sullo sconto) è forse normale che restino divisi. Ma esisterà un pacchetto condiviso di proposte su cui mettere all’angolo i nostri recalcitranti rappresentanti. Qual è la loro idea su un settore così strategico come quello del libro? È arrivato il momento di scoprire le carte.

Da La Repubblica del 23 gennaio 2017

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