10 gennaio 2018

LA PITTURA PRIMA E DOPO CARAVAGGIO


Che cosa successe alla pittura in Italia dopo la scomparsa del Merisi?Alle Gallerie d'Italia, a Milano, in mostra il suo ultimo capolavoro e le opere di molti artisti che preferirono, ai chiaroscuri, la luce fiamminga.

Chiara Gatti

Caravaggio e la scuola anti-Caravaggio


Con o senza Caravaggio. La storia dell'arte è andata avanti comunque. Il mito della dittatura imposta dalla sua personalità e dal suo talento è vero fino a un certo punto. Il genio cambiò le sorti della pittura nei luoghi dove visse, lavorò, incise nella coscienza dei contemporanei con opere pubbliche e con la sua presenza carismatica. Ovvero Napoli, Roma e l'Italia meridionale. Tutto il resto rimase immune. Sopratutto città con una grande tradizione e un carattere già forte. Come Genova o Milano. Sostiene questa tesi un po' spiazzante la mostra L'ultimo Caravaggio. Eredi e nuovi maestri.

Napoli, Genova e Milano a confronto. 1610- 1640 allestita alle Gallerie d'Italia di piazza Scala a Milano (fino all'8 aprile), a pochi passi dalla esposizione monografica Dentro Caravaggio studiata da Rossella Vodret per Palazzo Reale. Qui il curatore, Alessandro Morandotti, specialista del Seicento, gioca in controtendenza per dimostrare l'indipendenza di autori straordinari, proiettati in altre direzioni, influenzati da altre correnti, lontani dall'onda d'urto del Merisi. Impermeabili al suo potere.

Il percorso, perfetto e chiaro nella scansione degli scenari geografici, raccoglie oltre 50 opere e costruisce una triangolazione fra le aree che, da un lato, assorbirono il carico di una lezione epocale, dall'altro lato, la ignorarono. Senza rimpianti. Il confronto su cui si apre la scena, nella prima sala, conferma la teoria. L'ultimo capolavoro del maestro, il Martirio di sant'Orsola realizzato poco prima della sua morte, partì da Napoli e approdò a Genova nel 1610. Ma nessuno lo vide. O quasi.

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    Vouet, Davide

Il principe Marco Antonio Doria, finanziere illuminato, sempre in viaggio verso sud per interessi economici e affettivi, comprava quadri dipinti all'ombra del Vesuvio, dai seguaci di Caravaggio: il Battistello (spicca un Battesimo di Cristo dalla pelle di bronzo) o lo spagnolo Jusepe de Ribera (uno splendido Sant'Andrea col bicipite tornito).

Quando accolse il Martirio nel suo palazzo, un blasonato amico genovese lo ammirò e, colpito dal soggetto, ne commissionò una versione al miglior pittore del momento in città, Bernardo Strozzi che, a cinque anni di distanza dal modello (era il 1615), lo interpretò, lo stravolse, ne diede una sua lettura dinamica e vivace.

Niente a che vedere con l'atmosfera livida di Caravaggio, impegnato a scolpire la morte nel volto e negli occhi della Santa, piegata su se stessa per sfilarsi la freccia dal costato. Strozzi puntò sull'abbandono estatico al martirio. Un abbraccio aperto verso il cielo, trascendente e mistico, svela il modo di dipingere, dai toni cangianti e luminosi, di una Genova che stava incubando la cultura di un barocco festoso, grazie alla scia di novità seminata dal passaggio di Pieter Paul Rubens.

Nel 1605 l'artista fiammingo di stanza in Italia, aveva infatti licenziato La Circoncisione, un dipinto monumentale per la Chiesa del Gesù accanto a Palazzo Ducale, accelerando così l'innesco dell'arte barocca. Genova, dopo Roma, fu il terreno dove si manifestò in modo più precoce.

La risposta alla narrazione contratta, alle tenebre dilaganti, alla brina delle luci di Caravaggio, prese corpo negli impasti briosi, nelle pennellate gagliarde, nella teatralità dei gesti, nei sentimenti espressi e non inghiottiti tragicamente dall'oscurità.

Due universi opposti. La Salomé di Strozzi dello Staatliche di Berlino sfoggia una delicata crudeltà nel viso pietoso della donna. Le Vergini dai capelli rossi di Giulio Cesare Procaccini, coi colli lunghi e flessuosi, sono eleganti come statue greche. Non sono umili popolane rubate ai drammi dei bassifondi.

Le due scuole di pensiero indirizzarono anche i gusti dei committenti, generando schieramenti all'interno delle stesse famiglie. I Doria ne sono l'esempio. Marco Antonio abbracciò il sistema dell'arte partenopeo e fortissimamente volle Caravaggio tutto per sé.

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    Rubens, Ritratto di Carlo Doria

Al contrario, suo fratello Giovan Carlo, che coltivava rapporti in Lombardia, diede forma a una collezione vastissima. Immortalato da Rubens in un tempestoso ritratto a cavallo, di cui il critico Roberto Longhi scrisse «inconsapevole della furia elementare che lo circonda, sembra astrarsi in una meditazione non mondana», fu lui il fautore convinto del successo di Procaccini. Procaccini offrì la sponda a Strozzi nella ricerca di un linguaggio dalla natura calorosa, contagiandolo coi modi del suo manierismo emiliano, con l'abilità nello sfilacciare la pennellata e blandire le carni purpuree. L'estasi della Maddalena, prestato dalla National Gallery di Washington, è un dipinto di burro: lei è sensuale, i putti sono cremosi.

Anti-Caravaggio, votato a una pittura di tocco e di dettaglio, fresca e pizzicata, si radicò sul territorio dispensando un insegnamento che andò ben oltre la fiammata del Merisi. Sono venti i quadri di Procaccini in mostra. È il nome il più rappresentato, scelto per rafforzare il concetto che si legge in sottotraccia.

Non è vero che questi pittori non capirono Caravaggio. Scelsero semplicemente l'alternativa. E approdando liberi su un'altra riva dell'arte. Avevano nel cuore e nelle dita punti di riferimento diversi. Due apostoli di Rubens della Galleria Pallavicini di Roma, spiegano la sua capacità di eseguire le figure infervorate dei discepoli che, al contrario di Caravaggio, non passarono inosservate, come denuncia l'indagine psicologica dei personaggi nella spettacolare Ultima Cena di Procaccini.

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    Procaccini, Ultima cena

Un Cristo con la croce di Anton van Dyck custodito a Palazzo Rosso, tutto anima e carne, porta sulla scena il nome di un altro maestro delle Fiandre che, negli anni Venti, infuocò con la sua presenza le vicende dell'arte nell'Italia settentrionale.

Approdati all'ultima sezione della mostra, il percorso chiude con un colpo di coda. Se Caravaggio non riuscì a incidere subito quando fece irruzione nel palazzo dei Doria l'eredità sedimentò ed emerse oltre trent'anni dopo.

Le grandi tele dai lumi lancinanti, la Flagellazione o la Cattura di Cristo, dell'olandese Matthias Stomer, furono acquistate da un altro genovese lungimirante che le scoprì in Sicilia e le portò in patria dove Gioacchino Assereto le intercettò e ne replicò i bagliori. Il tormento di Caravaggio aveva sedotto nuovi adepti.


La Repubblica – 15 dicembre 2017


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