“L'Ora”, un cane da guardia contro la mafia
Jolanda Bufalini
Sarebbe
l'ora, verrebbe da parafrasare dopo la lettura di Era L'Ora (a cura di
Michele Figurelli e Franco Nicastro, XL, 2012) che, attraverso le
testimonianze di chi vi lavorò (o anche di chi, come Roberto Lagalla,
partecipava al «rito» pomeridiano in edicola: «è uscito l'Ora?»)
racconta la storia del quotidiano che ha inseminato con i suoi cronisti
(diventati inviati e direttori) le maggiori testate italiane. Il volume,
uscito di recente, segue una mostra e un convegno organizzati a Palermo
dall'Istituto Gramsci nel 2010. Ne viene fuori il ritratto del
leggendario direttore Vittorio Nisticò, e però anche un trentennio, sino
all'epilogo traumatico della chiusura nel 1992, in cui la vicenda de
“l'Ora” si intreccia con la storia di Sicilia e d'Italia e dunque, alla
fine, si traggono dal libro spunti che vanno ben al di là della storia
del giornalismo.
Direttore
tosto, incazzoso, «sono caduta nelle grinfie di un nevrotico
abbarbicato al suo tavolino 16 ore di fila», scriveva Giuliana Saladino.
Emerge dai ricordi, ancora oggi, il terrore davanti alla porta chiusa
del direttore, la gioia intima e fortissima per un apprezzamento. E
l'orgoglio per essere cresciuti a quella scuola, laboratorio che
sfornava al pomeriggio non più di 12-16 pagine. “L'Ora” «divenne in
breve la fonte più accreditata sui fatti di mafia, il mito della
controinformazione si identificava in sostanza con una informazione
completa e corretta», scrive Vincenzo Vasile. Roberto Ciuni: «Il
giornalismo palermitano non si scomodava per assistere alla guerriglia
dietro casa: pigro, codino, metteva un ruffiano S.E. davanti ai nomi dei
ministri, prefetti, sottosegretari, magistrati, generali,
ambasciatori». C'è il tributo di sangue dei giornalisti uccisi, Cosimo
Cristina (maggio 1960), Mauro De Mauro (settembre 1970), Giovanni
Spampinato (delitto fascista, ottobre 1972) ma la prima avvisaglia della
guerra fu una bomba al tritolo che squassò la sede del quotidiano nel
1958, quando era in corso la prima inchiesta fra mafia e politica. Il
titolo dell'edizione straordinaria fu: «La mafia ci minaccia l'inchiesta
continua». Allora come ora le inchieste vere disturbavano il
manovratore. Nisticò non era un eretico, era stato nominato da Amerigo
Terenzi, editore dei giornali del Pci, con l'accordo dei vertici del
partito. Eppure (annota nelle memorie) dopo la bomba, ebbe «una
sensazione spiacevole di isolamento rispetto alle forze siciliane dello
schieramento amico».
Un'avventura di libertà giornalistica
A
cosa si deve l'alchimia che produsse quei vent' anni (1954-1975) di una
straordinaria avventura di libertà giornalistica? Marcello Sorgi: «La
sua impazienza cominciava dal primo mattino, quando ancora non erano
disponibili a Palermo i giornali nazionali, e si informava al telefono
delle aperture, dei commenti e delle articolazioni delle prime pagine.
Non si è mai accontentato dell'orizzonte locale». C'è il rapporto forte
con il Pci e con il progetto di cambiamento che in Sicilia significava,
alla Togliatti, prima di tutto autonomia. Ma Nisticò sa che da
giornalista deve rispondere prima di tutto ai lettori («dovevamo essere i
cani da guardia dei cittadini, specialmente di quelli che non hanno
voce», Francesco La Licata. «Garantisti verso tutti non verso i
potenti», Vincenzo Vasile). Il 1958 non è solo l'anno della bomba, è
anche l'anno della rivolta milazziana che esclude la Dc dal governo
regionale. Per il giornale è un passaggio delicatissimo, nella
maggioranza trasversale ci sono anche contiguità mafiose. Ma, sul piano
politico, racconta Nisticò (Accadeva in Sicilia, Sellerio 2001): «L'Ora
aveva precorso a modo suo, cioè facendo giornalismo, perché le idee
politiche non fanno da sole un giornale e d'altro canto io stesso, per
quanto affascinato dalla politica, non riuscivo a viverla, se non in una
dimensione giornalistica».
La
dimensione giornalistica gli consente di sfamare una curiosità
onnivora: l'aristocrazia palermitana, la mondanità; le vacanze
all'estero dei redattori servono per raccontare, in un giornale povero,
il mondo. Cerca la collaborazione di intellettuali dai caratteri e dalle
idee anche opposte: Sciascia e Danilo Dolci, Nino Sorgi e Francesco
Renda, Giuliana Saladino, Marcello Cimino, Gioacchino Lanza Tomasi,
Italo Calvino. Le foto d'archivio mostrano Claudia Cardinale in
redazione, al tempo in cui Visconti girava a Palermo il Gattopardo.
Sguinzaglia i fotoreporter (Scafidi, Petyx, Letizia Battaglia, Lo
Bianco) perché senza la foto il pezzo di nera si può anche buttare.
Colleziona querele, come ricorda nel libro Etrio Fidora. Attento
spasmodicamente alla concorrenza, Sergio Sergi mi ha raccontato di
quando un giornale concorrente titolò: «Ho visto la madonna piangere».
«E tu? - ringhiò il direttore al cronista - dov’eri?».
Praga e la Grecia dei colonnelli
Kris
Mancuso ricorda come approdò agli esteri. 1968, era di nuovo inviata al
festival di Sanremo, dove aveva realizzato l’ultima intervista a Luigi
Tenco, appena prima del colpo di pistola. Ma c’era stato il terremoto
del Belice, chiamò:«Il cronista si rifiuta di riferire di questo mondo
luccicante e chiuso mentre fuori accade...». «Sei diventata pazza?». Il
primo reportage fu da Praga: «Tre mesi dopo, era l’agosto 1968, guardavo
sul teleschermo le sequenze della repressione della Primavera, e
piangevo». Poi fu la Grecia dei colonnelli, Panagoulis, gli esuli e
l’oscura persecuzione dei servizi segreti italiani per i suoi contatti
con gli studenti greci a Palermo.
Ho
conosciuto Nisticò come lo racconta AlbertoSpampinato, dopo, a Roma: «È
diventato l’opposto del terribile direttore che scagliava il
portacenere contro il malcapitato cronista. Vittorio si è addolcito, è
diventato premuroso». Però era sempre direttore, riuniva a cena le
persone più diverse, e domandava, interrogava. Poi, facendo volare
quelle sue mani magre come di fronte a un pianoforte, sintetizzava fatti
e punti di vista.
Sulla
fine de “L'Ora” Nisticò se la prende con i colonnelli di Berlinguer.
Poi ci sono stati i sergenti e i caporali. Alberto Stabile: «Avremmo
dovuto capire per tempo che politica e editoria sono incompatibili».
Vincenzo Vasile, che è stato l’ultimo direttore: «L'Ora non poteva
sopravvivere in una stagione segnata dallo svilimento». Vale però la
pena di riprendere un editoriale di Nisticò, citato da Michele
Figurelli, in polemica con il “Giornale di Sicilia”: «Degasperiano
finché De Gasperi non cadde, pelliano per la pelle fino a che Scelba non
silurò Pella, nessuno potrà sorprendersi se dovesse svegliarsi
filocomunista, se le sinistre tornassero al governo. Nessuna sorpresa
neppure se in futuro dovessimo fare i conti con qualche piccolo Beria di
casa nostra. Sarà il Giornale di Sicilia ad accusarci per la semplice
ragione che, pure allora, lui sarà per Beria e noi, se Dio ci darà
vita,per i diritti del popolo e per le libertà».
“l'Unità”, 11 luglio 2012
Quando tentavo di accedere nei locali dell'Azione Cattolica con il giornale "L'Ora" sotto il braccio, il Presidente del Circolo mi vietava l'ingresso.
RispondiEliminaAltri tempi, caro Ciro!
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