18 gennaio 2018

MARCO NINCI RICORDA PAUL CELAN




Paul Celan, grandissimo poeta ebreo romeno, di lingua tedesca, aveva vissuto sulla sua pelle l’esperienza dello sterminio e della dittatura. I suoi genitori erano morti in un campo di sterminio tedesco. Lui stesso era stato internato molti mesi in alcuni campi di lavoro romeni. Quando in Romania erano arrivati i sovietici, aveva di nuovo dovuto fuggire. Per poi stabilirsi in Francia, a Parigi, dove all’École Normale divenne lettore di tedesco. Si suicidò nel 1970 gettandosi nella Senna, stroncato da tante sofferenze.
 La poesia “Todesfuge”, “Fuga di morte”, pubblicata nel 1952, è una delle più commoventi testimonianze dell’orrore dei Lager. Un orrore che è allusivo e metaforico, dato che il Lager non è mai nominato. Colui che parla è un “noi”, un’umanità sofferente e disperata. Il suo simbolo è il “latte nero”; a questa umanità è stato imposto di bere qualcosa che si è trasformato in una bevanda mostruosa, contro natura. Il torturatore sussurra dolcemente la morte. E la morte è “ein Meister aus Deutschland”, “Un maestro che viene dalla Germania”. La poesia si conclude accostando tedeschi ed ebrei, simbolizzati in due figure femminili, la bionda Margarete, protagonista del “Faust”, e la cinerina Sulamith, protagonista del “Cantico dei Cantici”.

Dein Goldenes Haar Margarete
Dein aschenes Haar Sulamith
I tuoi capelli d’oro Margherita
I tuoi capelli cinerini Sulamith

Le due giovani donne sono innamorate sino alla perdizione. Nella poesia incarnano invece il rapporto del carnefice e della vittima. Questo stravolgimento del sentimento più bello che esista è la spaventosa e irrimediabile conclusione di una tragedia storica e umana di cui il mondo non ha per ora visto l’uguale.

Marco Ninci

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