29 gennaio 2018

LA PEGGIORE CAMPAGNA ELETTORALE

La peggiore campagna elettorale di sempre

Nelle discussioni al bar, in famiglia, nelle cene, nella pause pranzo tra colleghi, la domanda Ma tu per chi voti? sta assumendo ogni giorno che procede questa campagna elettorale i toni di un colloquio con un oncologo depresso. Mai in nessuna elezione precedente, e nonostante questa volta si voti dopo tre governi non proprio scelti da una consultazione popolare, il desiderio di votare è così basso, se non inesistente. Anche chi dichiara che andrà a votare è come se si dichiarasse astensionista, se non più astensionista: astensionista da quel nonvoto che per certi versi manifesta una maggiore vivacità. Non si vota col naso turato, o per responsabilità, per dovere, ma per noia, per moto inerziale, per non avere nemmeno la forza di manifestare il dissenso del non votare. Quale percentuale delle persone che andranno a votare lo farà non dico con entusiasmo, ma con convinzione, o per senso civico?
Le ragioni di questa depressione politica sono molte: da una legge elettorale capace di contenere e moltiplicare tutti i difetti dei sistemi mescolati insieme al fatto che anche qui per la prima volta – nella seconda Repubblica almeno – si presentano praticamente gli stessi partiti dell’ultima volta, o addirittura dei cadaveri malamente rimbellettati come il probabile vincitore Silvio Berlusconi. La fenomenologia della campagna elettorale prevede solo buffoneria, rancore, viltà. Le polemiche su Orietta Berti, il selfie con Barbara D’Urso, i tweet cretini, Berlusconi e Maroni che citano Lenin, i simboli ridicoli come quelli della lista Lorenzin, Fontana e la razza bianca in pericolo, il manichino della Boldrini bruciato, il fascismo ha fatto tante cose buone nella giornata della memoria, le faide per le candidature, le argomentazioni demenziali dei no vax, il balbettio dei leader, il commentare cinico sulla figura di merda dell’avversario. Tutto sa clamorosamente di falso come un bimbominkia come Luigi Di Maio che parla di qualità, come la faccia photoshoppata di Giorgia Meloni o come la dichiarazione di non compromissione di Roberto Giachetti smentita il giorno dopo dalle dichiarazione delle liste.
I fatti sono che entreranno in parlamento i fascisti, probabilmente non si formerà comunque una maggioranza, le segreterie dei partiti decidono chi piazzare in parlamento, le coalizioni e i cartelli elettorali si sfasceranno con tutta sicurezza il 5 marzo. Ma non è solo questo. Nessuno dei partiti che si presentano lancia un’idea vagamente simile al cambiamento. Gli slogan sono riciclati, derivativi, tarati al ribasso, solleticano nemmeno le pulsioni più basse, ma quelle più vili e l’imbecillità. Prima Ferrara, lo slogan con cui Franceschini (anche lui dato per premier) si presenta alle elezioni nel suo collegio è più fascista o più cretino?
Persino quei partiti che non andranno di sicuro al governo, o che non andranno magari in parlamento, non immaginano, non scommettono, non promettono, neppure millantano se non per farsi smentire sei ore dopo dal forse magari possibile alleato di coalizione. L’unico partito che dovrebbe entrare in parlamento che non esisteva fino ad oggi è Liberi e Uguali, e la sua performance finora sembra peggiorare – e ci voleva molto – l’esperienza dell’Altra Europa di Tsipras alle europee, un’alchimia di segreterie che aveva finto un lavacro morale nella società civile, la quale appena possibile si era comportata come un esempio fulgido di immoralità: Barbara Spinelli che aveva dichiarato che non avrebbe accettato il seggio si era rimangiata la parola il giorno dopo le elezioni, mandando con un sol gesto a catafascio tutto il progetto, il lavoro dei militanti eccetera.
A sinistra dopo Ingroia e Spinelli c’è gente che, con qualche ragione, è scettica. E invece cosa accade per fargli riconquistare fiducia? D’Alema che fa interviste in cui dichiara che se c’è la possibilità il giorno dopo il voto di rientrare con il Pd lui ci sta; Laura Boldrini che si autoelegge leader di LeU dopo aver condotto goffamente i lavori parlamentari per cinque anni, senza che in questa legislatura abbia fatto nulla degno di nota o non dannoso, con l’unica riconoscibilità che si è costruita data dal fatto che gli avversari la trattano con modi fascisti (si può diventare leader perché ti insultano molto?); con Pietro Grasso – un magistrato di 72 anni – che ha la capacità di scaldare i cuori di una targhetta dell’ascensore; Anna Falcone che ha rinnegato un anno e mezzo di retorica iperdemocratica e dal basso per accettare con un post il suo seggio più o meno sicuro; e anche i compagni giovani e bravi, incapaci in questo contesto di prendersi la scena, di imporre i contenuti, di raccontare le lotte che nonostante tutto in questo paese ci sono state e ci sono. L’idea che aveva avuto Tomaso Montanari con Anna Falcone proprio di allargare la base del consenso ma soprattutto della costruzione dell’organizzazione naufragata prima per i dettati delle segreterie, poi per Grasso che un po’ Crono un po’ Frankenstein si mangia le creature che l’hanno generato, imponendo i suoi contro quei partiti che – in un modo o nell’altro – un po’ di radicamento nel territorio, gente che in questi cinque o dieci anni si è fatta il mazzo ce l’aveva.
E l’utopia? Ah, di quello non si sente proprio parlare. Nemmeno in campagna elettorale si può parlare non dico di sogni, ma di orizzonti? Nemmeno quando la si spara grossa, queste boutade coinvolgono un desiderio di trasformazione, di rivoluzione? Istruzione garantita fino a trent’anni, parità di salario uomo-donna subito, grandi centri di accoglienza bellissimi e funzionanti, e corridoi umanitari che portano in un’Europa con tasso di crescita demografica zero un sacco di gente, chiusura immediata dei Cie e delle carceri, un grande piano di alloggi sociali, tassazione anche al 90 per cento per i grandi patrimoni, una settimana lavorativa a 25 ore, tanti teatri, biblioteche, eliminare l’uso delle automobili a benzina, asili nido triplicati anche al Sud dove non ce ne stanno, chiudere le cliniche private e obbligare tutti a curarsi con il servizio sanitario nazionale che deve essere un’eccellenza del mondo, e basta accordi con il governo egiziano per il gas, una new deal per le energie alternative, abolizione delle leggi terribili e scritte con i piedi, Jobs Act, Buona scuola, Sblocca Italia, e cancellazione di tutte le riforme precedenti che hanno creato questa depressione qui, i pacchetti Treu, la riforma Fornero, la riforma dell’università, la riforma Gelmini.
È chiaro che comunque andranno queste elezioni ci aspetta un parlamento pieno di fascisti e di giustizialisti, opporsi predicando il voto utile ha senso? Quale è il voto utile? Dove è che non ci sono fascisti e giustizialisti, politici che cercano di lucrare un posto in parlamento avvalorando lo sterminio dei migranti e l’oppressione dei più deboli? Che differenza passa nella sostanza tra chi propone i campi di detenzione in Libia, chi vuole le ronde, e chi propone più assunzioni forze dell’ordine e nuove carceri? Persino l’unico parlamentare che era stato coerentemente ostile a tutte le forme di questo fascismo e giustizialismo e di ingiustizia nei confronti dei migranti come Luigi Manconi, né il Pd né LeU né i Radicali hanno avuto il senso morale minimo di candidarlo. Quanta disillusione dobbiamo ancora tollerare? Quanta depressione siamo capaci di scambiare per realismo?

Ps. Io voterò. Potere al Popolo.
 Christian Raimo
Articolo ripreso dal sito  http://www.minimaetmoralia.it/wp/la-peggiore-campagna-elettorale-sempre/

Nessun commento:

Posta un commento