01 dicembre 2013

L'ARTE DEL BACIO




Per chiudere in bellezza questa giornata mi piace riprendere dal sito  http://freemaninrealworld.altervista.org/    la storia di due celebri quadri:

Abbiamo di fronte a noi il quadro più usato, chiacchierato, ricordato e abusato sul tema del bacio. Il fatidico “bacio” di Gustav Klimt, il santone della “Secessione viennese”. E si, perchè non dobbiamo dimenticarci che Klimt non era un semplice pittore, ma più che mai un intellettuale, una guida, un pensatore. Basti pensare che la stessa Secessione, senza di lui, probabilmente non ci sarebbe mai stata, e non stiamo parlando di un movimento pittorico, ma artistico in senso più ampio, riuscendo a congiungere architettura, scultura e pittura. Questo comportò grandi cambiamenti nel pittore, che, a cavallo del ’900, vide mutare il suo stile pittorico in maniera inaspettata verso un simbolismo più marcato che mai, dovuto alle influenze culturali che si erano andate a creare con la Secessione. L’anno della svolta pittorica di Klimt arriva proprio nel 1900 quando viene chiamato a dipingere il soffitto dell’aula magna dell’università di Vienna. Contro le aspettative di tutti passa dal suo stile storicista e da cartolina che tanto aveva affascinato i viennesi, ad un avanguardia simbolista che sarebbe rimasta nella storia. Ovviamente non è stato apprezzato come spesso succede tanto che dovette ritirare i suoi lavori e restituire l’anticipo monetario che aveva ricevuto. Comunque tutto questo ci porta all’opera in questione, “Il bacio” appunto. L’opera risale al 1907-08, il periodo appena successivo al viaggio che aveva condotto Klimt a Ravenna. Questo dettaglio è importante perché lo stesso pittore rimarrà talmente affascinato dai mosaici d’influenza bizantina presenti nel Mausoleo di Galla Placidia e in molti altri luoghi ravennati, che userà in parte la tecnica del mosaico per produrre la sua opera.
Nell’opera i protagonisti sono l’uomo e la donna posti esattamente al centro del quadro. Le uniche parti del corpo ben definite dei due sono i volti, le braccia e le mani. I due sono colti nel momento di un abbraccio molto intenso, l’uomo è in piedi ma chino verso una donna che è in ginocchio in posa remissiva. E’ come se si lasciasse andare, il braccio avvinghiato intorno al collo del suo amante sembra volerci indicare un attimo passionale e privato. L’uomo a sua volta raccoglie la testa della donna tra le sue mani in maniera protettiva. Sembrano parte di un universo a se stante, e il momento è reso ancora più unico dall’unione assoluta dei due corpi. Non vi è una distinzione ben definita, e questo è un chiaro richiamo ad Edvard Munch e il suo “Il bacio con la finestra”  e all’unione dei due corpi. In questo caso però vi sono dei volti ben definiti e non ci sono elementi che lascino pensare a una clandestinità del rapporto.
I  protagonisti indossano una tonaca, una sorta di vestaglia, che era solito indossare l’autore stesso. Questo potrebbe voler dare un tocco di biografico al quadro nei limiti dell’accettabile. Sui due indumenti si possono contraddistinguere diverse forme geometriche, nell’uomo forme rettangolari o quadrate a simboleggiare il mondo maschile oltre che la sessualità, mentre sull’abito della donna sono presenti solo cerchi o forme sinuose e morbide. Entrambi sembrano avvolti da un altro tendaggio che li protegge dal mondo, li ovatta, li rende intimi.
Ad impregnare con un aurea ancora più surreale l’attimo del bacio vi è il contesto, assolutamente inverosimile e fuori dal mondo reale. Il cielo dorato e il prato su cui poggiano, con dei fiori stilizzati classici del movimento della secessione viennese, danno un tono mistico al tutto.
Il dipinto in fondo non da certezze sulle sensazioni di gioia o dolore della coppia, il volto della donna ad esempio è quasi inespressivo. Il quadro mantiene aperta un ambiguità sottile, infatti la stessa coppia vive in un incertezza e precarietà rappresentate dal baratro che si apre alle loro spalle, è la fotografia di un epoca sospesa tra splendore e incertezze, tra naturalismo e astrazione decorativa. E’ un accenno al pessimismo appreso da Schopenauer o un incitazione, un grido a smuovere la cultura moderna. Questo lascia spazio  ad un interpretazione personale, ma di sicuro sono numerosi gli interrogativi e gli spunti lasciati appositamente in sospeso a far riflettere di più su questa opera assolutamente visionaria.



 
                                                    Cardinale e Suora, 1912, Egon Schiele


Per chi non lo conoscesse, questo quadro vi dirà già molto di che personaggio abbiamo davanti. Non un classico demistificatore, il capostipite degli impressionisti viennesi. Il preferito di Klimt che lo seguirà fin dalle sue prime mostre e lo indirizzerà verso il successo. Lo stesso Egon Schiele gli sarà vicino fina alla sua morte, ritraendolo sul suo letto negli ultimi attimi di vita nel febbraio del 1918, inconscio che quell’ottobre lo avrebbe raggiunto a miglior vita.
Egon Schiele fece ciò che molti contemporanei provano a fare costantemente con risultati meno graffianti: semplicemente sorprese. A Vienna, città borghese per eccellenza, i primi del novecento sono rivoluzionari. I grandi cambiamenti introdotti da Freud con la psicoanalisi aprono un mondo interiore fino a quel momento solamente immaginato. E in pittura Klimt e Schiele rappresentano l’ Art Nouveau e l’ Espressionismo. Tempi di grandi rivoluzione nel cuore viennese insomma, soprattutto culturale.
Il quadro si intitola “Cardinale e suora” anche se l’autore amava chiamarlo “Carezza”, ed è del 1912. Sicuramente ci sono molti punti in comune con il bacio di Klimt, può definirsi una ripresa in chiave caricaturale del precedente dipinto. D’altra parte è un operazione molto comune la riproposizione di quadri dei proprio maestri. Ma a differenza di come si possa pensare Schiele fu molto autonomo nelle sue opere, e tremendamente sincero nei suoi quadri. In molti dei suoi quadri si denota già dal tratto una nevrosi e le angosce che affiorano dal profondo dell’animo dell’autore.
Il quadro rappresenta un momento intimo tra un cardinale e una suora. In primo piano c’è la suora di spalle inginocchiata in un abito nero e davanti a lei vi è un cardinale nella stessa posizione ma in un abito giustamente rosso. Lo sfondo mantiene delle tonalità scure, tendenti al blu, ed è ignoto, non descrive un posto esatto. Il volto della suora e girato verso l’osservatore, ha uno sguardo colpevole, come se temesse di essere colta sul fatto o di essere osservata. Il cardinale a sua volta se ne frega e mantiene lo sguardo fisso sulla donna, prima che suora. Con una mano sulla spalla destra la richiama a se, come per evitare inutili ripensamenti. Le gambe con particolare attenzione sui piedi rappresentano un punto importante dell’estetica dell’autore. Come anche le mani in altri dipinti, i piedi in questo caso rappresentano tutta la sofferenza dell’autore. E’ il tratto che denota questa sensazione.
La scelta dei colori è volutamente un contrasto forte, il rosso sul nero, due differenze cromatiche così decise e marcate. Rappresenta la differenza dei due atteggiamenti dei protagonisti, ma serve ad introdurre nel quadro una tensione palpabile, un rapporto di dualità. Per quanto riguarda il paragone con il bacio di Klimt è da notare la differenza d’uso del colore per quanto riguarda i contorni, dove nel primo sono ben delineati o comunque accentuati tramite tratti, mentre in Schiele sono delineati solo dal colore e non da segni estranei. Inoltre una somiglianza decisa tra i due quadri da notare è senza dubbio la posizione dei due protagonisti. Ma c’è una grossa differenza in Schiele, dove i canoni della prospettiva non sono rispettati, infatti le reali posizioni degli abiti e dei protagonisti stessi sono quasi incomprensibili. Lo stesso autore si giustifica dicendo “E’ un delitto porre dei vincoli ad un artista, sarebbe come uccidere una vita nascente” come a voler dire che ognuno disegna come vuole, e come pensa sia giusto in quel momento.
In finale c’è lo sfondo sociale del quadro. E’ un chiaro attacco alla società viennese e in particolare alla bigotta e ipocrita classe borghese. Decide così, senza troppi fronzoli, di attaccarla tramite l’immagine di un amore proibito, sacrilego, che rappresenta se stesso in fondo (il volto del cardinale sembra essere proprio lui mentre la donna sarebbe la moglie, Edith). Quello che rappresenta è un amore privo di falsi moralismi, aleatorio per definizione.
Il bacio ben più famoso di Klimt verrà sempre accostato al quadro di Schiele, un artista che ha saputo fare nella sua brevissima vita, oltre trecento dipinti, una produzione estenuante che ha adoperato come valvola di sfogo del suo Io più profondo. Artista di una sensibilità fuori dal comune capace di mettersi a nudo con un quadro. Ha imparato la lezione di Klimt, e non solo ha appreso, ha saputo reinterpretare in maniera personalissima la doctrina del maestro, riuscendosi a distaccare, creandosi così uno spazio incolmabile senza di lui nella storia dell’espressionismo viennese.

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