Da
antichissimo simbolo solare a emblema del nazismo. Storia della
svastica.
Silvia Ronchey
Dalla saggezza al male
assoluto il destino della svastica
Esattamente centodieci
anni fa, nel 1895, un monaco cistercense austriaco di vent'anni,
Adolf Lanz, appassionato di occultismo, di neopaganesimo, di riti
esoterici e di religione indiana, come un po' tutti all'epoca ma
forse con un ardore più sulfureo, fu espulso dalla facoltà di
teologia della città dove viveva, Linz, sul Danubio, già celebre
per l'omonima sinfonia di Mozart e per l'impareggiabile torta, e
partì per l'India. Non lontano da Calcutta acquistò un anello che
recava inciso un segno di estrema bellezza.
Si trattava di un tipo di
croce, e la croce, si sa, è anzitutto un simbolo solare: il pagano
imperatore Costantino lo aveva visto quando aveva guardato il sole
accecante alla vigilia della battaglia di Ponte Milvio, e di qui era
nata l'improbabile leggenda eusebiana di una sua conversione al
cristianesimo, da allora riflessa nell'arte occidentale fino agli
affreschi di Piero della Francesca ad Arezzo. Ma, in particolare,
l'emblema inciso sull'anello comprato da Adolf Lanz era una delle
forme più notevoli di croce orizzontale: quella tracciata su un
piano che per rappresentare la rotazione intorno a un centro fisso
aggiunge alle estremità dei suoi rami, ad angolo retto, segmenti
geometrici tangenti a un'invisibile circonferenza.
Adolf Lanz
Quel segno in sanscrito
era denominato swastika . Identificato da Guénon con il "segno
del Polo", il punto intorno cui verte la rotazione del mondo,
assimilabile, nella caotica reductio ad unum dell'esoterismo
massonico del tempo, all'Invariabile Mezzo della tradizione cinese
come al Motore Immobile aristotelico, nel Simbolismo della croce è
collegato direttamente alla cosiddetta Tradizione primordiale
anzitutto perché presente fin dalle epoche più remote nelle zone
più diverse del pianeta.
Almeno questo è vero.
L'orientalismo di fine Ottocento ha conosciuto lo swastika perché
ancora molto diffuso in oriente, in Tibet, in Cina e in Giappone
oltre che in India. Nel mondo induista è emblema di Vishnu,
nell'iconografia buddhista è impresso sul cuore del Buddha, nello
zen l'ideogramma che lo rappresenta è immagine della coscienza
iniziatica dell'eterno ritorno. Ma l'ancestrale graffito indoiranico,
figura del principio ordinante che origina tutte le cose e cui tutte
le cose tornano nel loro ciclico divenire, simbolo "eracliteo"
come lo definì Georges Bataille, dilaga in ogni ansa del labirinto
della storia dell'iconografia globale.
Lo si ritrova nella
Grecia preellenica, in più varianti collegate al moto perperpetuo
della greca; nei vasi e nelle ceramiche del mondo etrusco, sannitico,
messapico, nuragico; nell'arte dell'antica Roma, nei mosaici delle
domus italiche, nella valle dei templi ad Agrigento, a Paestum. È
immortalato dalla lava a Pompei e Ercolano, scolpito in Sant'Ambrogio
a Milano, associato ai gammadia protocristiani e alla cosiddetta
Croce del Verbo, profuso nei mosaici bizantini, in San Vitale a
Ravenna, nel mausoleo di Galla Placidia. Nel medioevo occidentale è
uno degli emblemi di Cristo, fiorisce nelle chiese e nelle
cattedrali, si avvinghia ai simboli dell'ermetismo cristiano, in
particolare carmelitano.
Gioiello etrusco con svastica
Nel crepuscolo boreale,
nei culti di Odino e di Thor, nei riti apotropaici dei popoli
germanici oppressi dal tenebroso cielo nordico, ritorna simbolo
solare, o augurale, come nell'arte popolare della Finlandia e
dell'Estonia e sulle soglie delle case contadine della Lettonia e
della Lituania, nei reperti preistorici dell'Ucraina e della koiné
balcanica, dove serpeggia nei ritrovamenti neolitici della cultura
Vinca. Corre a zigzag dall'uno all'altro polo, scavalca gli oceani,
emerge tra i simboli sciamanici dei nativi americani, come i Navajo o
i Cuna, che ancora negli anni '20 del Novecento ne fecero
letteralmente bandiera della lotta contro la colonizzazione.
Furono loro per primi, i
fieri indiani d'America, a volerlo sopprimere quando nella seconda
guerra mondiale quel simbolo di vita e di pacifica accettazione del
corso del mondo fu snaturato da ciò che lo stesso Guénon chiama
«l'uso artificiale e antitradizionale dello swastika da parte dei
razzisti tedeschi, i quali, con il nome fantasioso e piuttosto
ridicolo di Hakenkreuz o croce uncinata, ne fecero molto
arbitrariamente un segno di antisemitismo, con il pretesto che questo
emblema sarebbe stato peculiare della cosiddetta razza ariana, quando
invece si tratta di un simbolo veramente universale ».
Per capire come mai
questo segno mistico legato alla vita, alla generazione e
all'accettazione dell'essere sia diventato il micidiale logo
novecentesco che ancora oggi ci agghiaccia dobbiamo tornare a
quell'anno 1895 che segna il suo ingresso nell' imagerie dei teosofi
dal cui incerto e confuso bacino di riti, credenze e dilettantesche
conoscenze nacque la mistica del Terzo Reich. Adolf Lanz utilizzò il
segno inciso sull'anello come emblema della setta che fondò non
appena tornò in Austria, l'Osthara, inizialmente formata per lo più
da chierici protestanti rinnegati, che mescolava l'esoterismo
orientalista a un antisemitismo radicale e predicava lo sterminio
degli ebrei usando lo swastika come primo emblema documentato
dell'ariosofia: l'esaltazione della razza ariana iperborea e del suo
ruolo predestinato di purificatrice dell'umanità.
Fu da lì, dalla bandiera
gialla pretenziosamente araldica di quei refoulés ecclesiastici
nutriti di rivendicazioni aristocratiche e di popolani furori
razziali, che la svastica divenne simbolo del neopaganesimo tedesco e
poi della Thule Gesellschaft, dal cui bric-à-brac esoterico il
diabolico istinto comunicatore del giovane Hitler la trasse
inserendola nel 1920 nella bandiera del partito nazionalsocialista e
stagliandola su fondo rosso, a imitazione di quello della
contemporanea e rivale bandiera comunista.
Solo alcuni intellettuali
allora si accorsero della gravità del sacrilegio. Fu peraltro in
seguito che Georges Bataille diede voce al «disgusto per
l'accaparramento » del simbolo di cui riconosceva con empatia il
significato eracliteo. Quel reimpiego suggeriva una temibile
sacralizzazione del movimento hitleriano, che gli era apparso, pour
cause , «un tentativo schiavista di ricomposizione monocefala della
società»; e capovolgeva perciò diametralmente l'originario
messaggio "sacro" di filosofica meditazione sulla
complessità del mondo.
Ma i simboli, come i
miti, hanno una forza intrinseca che agisce sull'irrazionale. Proprio
la semplicità e universalità della svastica, unita alla tenebrosa
genialità comunicativa del nazismo, della sua estetica
architettonica, della sua grafica che combinava la suggestione
esotista- esoterista alle geometrie Novecento, resero quella
bandiera, con la sua immensa svastica nera inscritta su tondo bianco
in campo rosso, una delle più forti, suggestive e terrificanti della
storia.
La trasformazione
novecentesca di un simbolo di accettazione cosmica in un richiamo
ipnotico di intolleranza, di sterminio e di morte si conclude
nell'anno e nel momento stesso che estingue per sempre la storia del
nazismo: la caduta di Berlino del 1945, data in cui la cronaca, o la
leggenda, testimonia un evento speculare al viaggio in India da cui
Lanz portò in occidente lo swastika . Il suicidio collettivo del
misterioso corpo tibetano dell'esercito nazista, scoperto o
favoleggiato da un'avanguardia di soldati russi tra i fumi della
battaglia, chiude il cerchio con la risonanza rituale e sacrale del
contrappasso storico.
Nel cinquantennio
1895-1945, di cui ricorre quest'anno il duplice anniversario, è
racchiusa la parabola del simbolo più terribile del secolo breve,
che ha la forza, come quasi sempre la storia, di un avvertimento. Non
solo sul potere dei simboli, sulla loro potenzialità distruttiva che
ogni guru o augure o sciamano conosce e contempla, simmetrica e
inversa alla loro potenza vivificatrice, ma anche sulla pervicace
tendenza della natura umana al fanatismo, che scatena il contrarsi
del sapere sul passato in un credo univoco e trasforma i dati
relativi della storia in assoluti ideologici, in un'ansia di
purificazione della loro invincibile molteplicità, ambiguità,
ibridità. Il secolo scorso ha visto lo swastika posato sul cuore del
Buddha, la saggezza accettatrice dell'eterno ritorno del mondo,
associarsi al nazismo; ma anche la falce di Diana, della Dea Bianca,
della divinità femminile generatrice, già trasformata nella
mezzaluna della conquista ottomana, affiancarsi su fondo rosso al
martello operaio.
La repubblica – 5 ottobre 2015
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