Ustica, la Nato, lo Stato e gli Stati
“Così l’Italia di questa ultima tornata del secolo è un luogo sociale con lamiere e calcinacci che non ha più pensieri sul proprio futuro; ma ha solo un pugno di luoghi comuni, già vistosamente usurati, sul proprio passato. Potrebbero davvero i giovani bere le acque ufficiali, per beneficio di testa e cuore, se da trent’anni la politica di vertice qua da noi in Italia è svolta quasi soltanto a mezzo di stragi? Stragi di ogni genere: seguite sempre, con meticolosa protervia, da processi mai conclusi, sempre ripresi, sempre rimandati, sempre involti e sempre capovolti”. Non un improvvisato e seriale commentatore di social ma Roberto Roversi, uno dei più grandi poeti del Novecento italiano, scriveva queste righe in un articolo dell’estate del 1992 intitolato “Agli uomini caduti noi dobbiamo amore”. Nel 1992 Giuliano Amato era il capo del governo della nazione (come piace dire a chi lo guida oggi), era, e sarebbe stato per decenni, uno dei maggiori esponenti della politica e dello Stato italiano. Arrivato a 85 anni, “comincia a pensare se c’è qualcosa di incompiuto che può provare a completare”. Per carità, non è mai troppo tardi per affermare che sulla strage di Ustica il ruolo della Nato “non è completamente chiaro”. Ci mancherebbe. Amato deve averci pensato su un bel po’ e ora ne deduce che l’Alleanza assai poco santa ha collaborato non negando le carte che dimostravano che quella sera erano in volo in quella zona aerei americani, belgi, francesi, inglesi, ma asserendo che non era un’esercitazione Nato, sembrava, ma non era stata organizzata dalla Nato. Ha le idee più chiare oggi quell’anziano signore che, con un po’ di malizia riverente e compiaciuta, allora veniva chiamato Dottor Sottile. Altri trent’anni dopo quel 1992, esattamente come pronosticava Roversi concludendo il suo articolo, “Nulla cambia, nulla è cambiato, nulla cambierà; perché questo Stato ha già buttato nel fango tutte le sue bandiere”. Resta la sacrosanta domanda che pone Fabio Marcelli nel suo articolo: cosa aspettiamo a liberarci di un’alleanza oggi perfino più insanguinata di quarant’anni fa? E restano, dovrebbero restare, l’indignazione e l’amore (di cui parlava Roversi) che dobbiamo a quegli 81 passeggeri e a tutte le vittime delle altre stragi. Anche a quelle del lavoro, dei veleni nell’aria e nell’acqua, del privilegio nazionale sul suolo patrio, del traffico di armi (legale e non) e di tutte le alleanze di guerra degli Stati contro i popoli e la gente comune
Il 27 giugno del 1980 venne abbattuto un aereo civile nei cieli di Ustica e morirono 81 passeggeri, tra i quali molti bambini (ricordo che proprio in quei giorni incontrai una ragazza veronese distrutta dal dolore perché era la maestra di alcuni di loro). Le rivelazioni fatte da Giuliano Amato nella sua recente intervista portano nuova luce sulla strage. È legittimo chiedersi per quale motivo Amato abbia deciso di vuotare il sacco solo oggi, a circa 43 anni di distanza, ma è importante sottolineare la sua denuncia delle responsabilità al riguardo. Per coprire tali responsabilità si sono mossi durante tutto questo periodo numerosi apparati, lasciando anche una lunga scia di sangue e intimidazioni per neutralizzare ogni possibilità di testimonianze rivelatrici al riguardo.
Ebbi l’occasione di seguire all’epoca le attività in materia dell’avvocato Romeo Ferrucci, esemplare figura di giurista che non si rassegnava alla teoria della bomba esplosa all’interno dell’aviomezzo, fabbricata dai comandi politici (lo stesso Amato fa preciso riferimento a Bettino Craxi) e militari, proprio per stornare ogni sospetto dai veri responsabili, subendo per tale motivo gravi intimidazioni, presumibilmente da soggetti legati al mondo dei servizi. E la pista francese era una di quelle battute da Romeo e dagli altri che come lui (ricordo un pranzo col rimpianto Andrea Purgatori) volevano un accertamento delle responsabilità della strage senza guardare in faccia a nessuno. Se ne parlava quindi da tempo e lo stesso Cossiga ne aveva parlato a suo tempo, la magistratura ha più volte accertato le responsabilità statali nel depistaggio e il disegno di legge per l’istituzione di una Commissione d’inchiesta firmato qualche anno fa tra gli altri dall’attuale presidente del Senato La Russa si concludeva affermando che “il Governo dell’epoca depistò le indagini assecondando i voleri di potenze straniere invece di difendere la sovranità italiana e i diritti delle vittime e delle loro famiglie”.
Ma le dichiarazioni di Amato hanno una qualità nuova e inedita, sia per la chiarezza della denuncia che per l’autorevolezza della fonte da cui provengono. Parlando del sistematico depistaggio su larga scala promosso ai massimi livelli, Amato afferma che “quindi tutte queste persone hanno coperto il delitto per “una ragion di Stato”, anzi dovremmo dire per “una ragion di Stati” o per “una ragion di Nato”. Se questo è vero, tuttavia, non è solo Macron a dover chiedere scusa. In un Paese degno di questo nome un’affermazione di questo genere provocherebbe un cataclisma politico, in Italia il governo si rifiuta di prendere posizione sul piano internazionale, come giustamente richiesto dall’Associazione dei familiari delle vittime, e tenta un goffo scaricabarile sulla magistratura.
In parte la confessione di Amato pare riconducibile all’attuale stato confusionale della classe dirigente italiana di fronte alle sconvolgenti novità che scaturiscono dal passaggio del mondo a un sistema multipolare, ma non ci si può limitare a questa constatazione.
Due elementi colpiscono al riguardo. Il primo è il riferimento esplicito alla Nato, il secondo la contemporaneità tra l’intervista e la forte crisi del dominio neocoloniale francese in Africa. Due elementi tra loro fortemente connessi. L’obiettivo del missile era infatti proprio Gheddafi che sia la Francia che la Nato giudicavano un ostacolo ai loro progetti e del quale riuscirono a liberarsi solo 32 anni dopo al termine della disastrosa guerra civile che non accenna ancora a finire. In parte, come ha ipotizzato Antonio Castronovi, le dichiarazioni di Amato risponderebbero all’intento di colpire la Francia per frustrarne ogni velleità di autonomia rispetto alla Nato. Ma ci sono, come lo stesso Amato afferma, anche precise responsabilità della Nato. Occorre quindi chiedersi, al di là di ogni possibile dietrismo, che aspettiamo a liberarci di questa “alleanza” (leggasi servitù) sempre più obsoleta e sempre più pericolosa in un mondo che cambia a fortissima e crescente velocità?
Dobbiamo farlo quanto prima, non solo per onorare le vittime di questa e altre stragi e le persone che, come Romeo Ferrucci e Andrea Purgatori, si sono dedicate con coraggio alla ricerca della verità, ma anche per salvaguardare le future potenziali vittime, tra le quali ci siamo anch’io che scrivo e voi che leggete, delle guerre devastanti che la Nato sta preparando per arginare l’irrefrenabile declino delle potenze occidentali sul mondo. Come recita un appello che lancia un presidio per mercoledì prossimo 6 settembre alle ore 18 davanti all’ambasciata francese, “in questa vicenda i vertici civili e militari dello Stato italiano emergono una volta di più come complici silenti dei crimini di guerra commessi nel mondo dall’Occidente, con l’“aggravante” che le 81 vittime in questione erano cittadini e lavoratori del nostro paese, da allora in attesa di giustizia”.
L’articolo che ci ha inviato Fabio Marcelli è uscito anche sul suo blog del Fatto Quotidiano. Noi l'abbiamo ripreso da https://comune-info.net/ustica-la-nato-lo-stato-e-gli-stati/
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