Pubblichiamo due articoli su Carlo Levi usciti sulla Gazzetta del Mezzogiorno, che riprendiamo da https://www.minimaetmoralia.it/wp/ritratti/immagini-di-carlo-levi/ (fonte immagine).
IMMAGINI DI CARLO LEVI
Nella primavera del 1947 Carlo Levi e Ferruccio Parri arrivarono a New York su invito della Società americana per le relazioni culturali con l’Italia. Cristo si è fermato a Eboli era uscito da due anni, così come due anni prima, nel ‘45, si era consumata la breve esperienza di Ferruccio Parri da presidente del Consiglio, il primo governo nato nell’Italia libera.
Negli Stati Uniti, Levi venne accolto come una star della letteratura dell’epoca; il suo libro, il racconto insuperabile degli anni Trenta italiani visti da Aliano, il piccolo borgo lucano dove era stato confinato dal fascismo, fu uno dei primi acquisti di Roger Straus, fondatore di quella che oggi è Farrar, Straus & Giroux, casa editrice tra le più importanti al mondo.
Mescolando il tono del saggio e dell’indagine sociologica con quelli del romanzo, dell’autofiction e del reportage, Cristo si è fermato a Eboli fece breccia tra la critica americana, attratta da un intellettuale che combinava scrittura, arti visive e cultura scientifica. Alla morte, nel 1975, il New York Times ricordò Levi come «una figura di tipo rinascimentale: un medico esperto, un pittore, uno scrittore, uno scultore, un giornalista e un politico».
Sarebbe bene ricordarsene più spesso, di Carlo Levi, e della sua opera, possibilmente liberandolo dalle catene della retorica per restituirgli la vitalità che ebbe e per la quale merita di essere ricordato. A proposito di vitalità; quando Parri tornò da New York, nel ‘47, Levi rimase nella metropoli ancora qualche tempo. Seguiva le sorti fortunate del suo libro e da artista visivo scopriva le immagini, i dipinti e le forme del nuovo mondo.
Una sera accompagnò alla Wildenstein Gallery Greta Garbo, la divina del cinema per eccellenza, per una mostra su Paul Cézanne; ecco, non credo esistano troppe immagini migliori di quella che vede Levi e Garbo assieme a New York tra i quadri di Cézanne.
Pittura e narrativa correvano entrambe nelle creazioni di Levi, come vasi comunicanti, distribuendosi fluidamente. «Il cielo era rosa verde e viola, gli incantevoli colori delle terre malariche, e pareva lontanissimo», per descrivere il cielo lucano, l’arrivo a Grassano prima della destinazione finale, Aliano. E l’immagine perfetta, multisensoriale e completa, la troviamo in uno dei migliori incipit della letteratura italiana, nell’Orologio: «La notte, a Roma, par di sentire ruggire leoni. Un mormorio indistinto è il respiro della città, fra le sue cupole nere e i colli lontani, nell’ombra qua e là scintillante; e a tratti un rumore roco di sirene, come se il mare fosse vicino, e dal porto partissero navi per chissà quali orizzonti». Proprio nell’Orologio, uscito nel 1950, Levi raccontava stavolta la fragilissima Italia emersa dalle macerie della guerra, stretta nella lotta insorgente tra i partiti e le superpotenze mondiali alle spalle, il clima politico visto dalle stanze vuote o frenetiche dei grandi palazzi romani. Il lento logoramento e infine la morte politica del governo Parri, azionista come lo stesso Carlo Levi, direttore in quegli anni del quotidiano L’Italia libera.
Dopo aver vissuto nella Lucania «anarchica e disperata», ecco il torinese Levi nella Roma «disperata e tirannica», come da rispettive definizioni scritte in Cristo si è fermato a Eboli. Centro e periferia del Paese si tengono nell’opera di Carlo Levi, il «tipo rinascimentale» che fu amico fraterno di Rocco Scotellaro e suocero di Umberto Saba, un uomo del progresso capace di cogliere la magia sfuggente e antica del mondo contadino incontrata nel paesaggio aspro della Basilicata.
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Protetta ai lati da due lastre di mattoni in cotto, e affacciata su una balconata che dà sul Pollino e sulle case di Aliano, la tomba di Carlo Levi è una delle mete delle passeggiate culturali e degli eventi promossi dal Parco letterario Carlo Levi, sorto negli anni Novanta per ricordare un artista così legato al territorio lucano da esprimere la volontà di esservi sepolto. Seguendo l’usanza ebraica, spesso la lapide è ricoperta di piccoli sassi, ma anche di fiori di campo raccolti nelle campagne vicine e bigliettini commemorativi fissati dalle pietre per sottrarli al vento.
Carlo Levi, il «torinese del Sud», morì a Roma il 4 gennaio 1972, ma nel corso della sua vita era tornato a percorrere il paesaggio lucano varie volte; Aliano, Grassano, Matera, Potenza, i calanchi. Nella pinacoteca di Aliano sono conservati – accanto a documenti storici, fotografie e litografie – diversi dipinti realizzati da Levi, il quale del resto fu prima pittore che scrittore. Negli anni Trenta il borgo ospitava duemila anime; oggi sono meno della metà. E così l’atmosfera, certamente meno afflitta dalla miseria, si è fatta se possibile ancora più aspro, spettrale, lunare, come scrisse Levi in un passaggio di Cristo si è fermato a Eboli riferito al borgo. «Non si vedeva arrivando, perché scendeva e si snodava come un verme attorno ad un’unica strada in forte discesa, sullo stretto ciglione di due burroni … e terminava nel vuoto … e da ogni parte non c’erano che precipizi di argilla bianca, su cui le case stavano come librate nell’aria; e d’ogni intorno altra argilla bianca, senz’alberi e senz’erba, scavata dalle acque in buche, coni, piagge di aspetto maligno, come un paesaggio lunare». La casa che ospitò Levi durante il suo soggiorno obbligato è oggi visitabile, bianca, spoglia, dalla cucina alla camera da letto.
Nel caso di intellettuali come Levi, capaci di saper leggere la realtà sociale e per certi versi antropologica che li circondava andando oltre la dimensione temporale da loro vissuta, viene spontaneo chiedersi cosa avrebbe pensato o scritto davanti ai mutamenti intervenuti nel tempo – o, d’altra parte, riguardo certe attitudini che sembrano immutabili. Come interrogare Pasolini sull’universo dei social media contemporanei, lui che già trovava scandalosa la televisione; così misurare la reazione di Carlo Levi davanti all’incredibile esplosione turistica che ha coinvolto Matera, al suo tempo centro di una desolazione vastissima e adesso popolata nei sassi di una fauna colorata tutta cocktail, street food e Instagram stories. È che proprio non riesco a immaginarlo alle prese con il poke hawaiano a piazza del Sedile.
Ma lo sguardo di Levi non fu solo antropologico; fu indagine, inchiesta. Fu politica, condotta fuori e dentro le istituzioni (venne eletto due volte al Senato tra gli indipendenti del Pci, prima nel collegio di Civitavecchia e poi di Velletri). E così dentro L’orologio ci ha lasciato una fantastica e insuperata suddivisione dei propri connazionali, quella tra contadini e cosiddetti «luigini», dal nome del podestà di Aliano.
I primi: contadini, appunto, del Nord come del Sud, ma Levi scorgeva contadini anche tra i proprietari terrieri e gli industriali. I secondi, i «luigini», sono tuttavia più numerosi, e dunque più forti; non solo burocrati o parassiti di varia natura, dalla Chiesa allo Stato, ma di nuovo operai e contadini, oltre che letterati e militari. Dalla loro i «luigini» hanno il numero, e allora trionfano sui primi, e continuano a farlo. Perché i contadini «sono una grande forza che non si esprime, che non parla. Il problema è tutto qui».
Notato un errore nell'articolo: Rocco Scotellaro è stato GENERO non SUOCERO di Carlo Levi
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