09 settembre 2023

I TORMENTI DI STIG DAGERMAN

 



Tutti i tormenti di un grande scrittore

di

Nicola Vacca

Stig Dagerman (1923 –  1954) ha attraversato il Novecento con la velocità di una cometa. Morto suicida a soli trentuno anni, è stato uno dei più importanti scrittori svedesi e ancora oggi possiamo considerarlo un gigante della letteratura, leggendo i libri che ci ha lasciato.
Dagerman è stato un uomo in rivolta, in molti lo hanno paragonato a Camus e a Kafka.
È un anarchico inquieto e sempre in lotta contro se stesso e con un’angoscia lucida, incapace di accontentarsi di verità stabilite. Come pochi è riuscito a stare dentro la catastrofe bellica del suo tempo, lasciandoci con i suoi libri una testimonianza unica.

Segnato da una drammatica infanzia, intraprende molto giovane una folgorante carriera letteraria bruscamente interrotta dalla tragica morte, lasciando quattro romanzi, quattro drammi, poesie, racconti e articoli che continuano a essere tradotti e ristampati. Iperborea ha pubblicato Il nostro bisogno di consolazione, Il viaggiatore, Bambino bruciato, I giochi della notte, Perché i bambini devono ubbidire?, La politica dell’impossibile, Autunno tedesco, Il serpente, Breve è la vita di tutto quel che arde.

A cento anni dalla nascita lo scrittore svedese è una pietra miliare della letteratura e leggerlo ancora oggi significa interrogarsi su cosa sia rimasto da salvare del Novecento.

«Dagerman – scrive Alberto Riva in un articolo su Il Domani il 26 febbraio 2021 – si sentiva un autore compromesso, fallito, colpevolmente sedotto dal successo. Il suo vero fallimento, se c’è, è quello di non aver capito di essere già un classico moderno che stava lasciando un’indicazione di lavoro a molti autori di oggi: date più spazio al lettore. È un lascito importante, perché oggi prevale l’idea che il lettore debba essere continuamente imboccato. Dagerman viceversa, come nel Serpente, lasciava vaste aree incontrollate, ampie zone d’ombra che invitano il lettore ad avventurarsi, a interrogarsi, smarrirsi persino. In questo, anticipa scrittori che come lui sono stati capaci di tessere il mirabile intreccio di forza poetica, carica allegorica e sottinteso sguardo politico: l’Anthony Burgess di Un’arancia a orologeria, il Milan Kundera de Lo scherzo, il Michel Tournier de Il re degli ontani, la Christa Wolf di Cassandra».

Non si può prescindere da Il nostro bisogno di consolazione, che tra i suoi libri è quello che più lo rappresenta, e soprattutto mette in evidenza il dramma dell’uomo e le contraddizioni esistenziali di un grande scrittore di fronte al peso enorme del male di vivere.
Proprio questo piccolo libro verrà considerato il testamento letterario di Dagerman.
In queste pagine lo scrittore scava nel fondo del suo abisso di uomo a cui manca la fede e afferma di non essere un uomo felice, perché un uomo felice non può avere il timore che la propria vita sia solo un vagare insensato verso una morte certa.


Inizia così Il nostro bisogno di consolazione, un viaggio di uno scrittore nel tormentato inferno della sua coscienza. Pagine intense, di disperazione e di sconforto, ma anche attraversate da un grande amore per la letteratura di cui Dagerman si avvale per scavare nella consumazione terribile della sua tormentata interiorità, sempre interrogando quella vita che sta stretta ai suoi anni.
Sono queste riflessioni che lo conducono a riflettere su quel concetto di consolazione spaventosa che riesce solo a fargli vedere le cose con intensità cinque volte maggiore.
Stig Dagerman scrive sempre in preda al dubbio e all’incertezza, mentre lo sconforto lo assale in ogni istante. L’unica cosa che gli importa è proprio quella che non ottiene mai: «l’assicurazione che le mie parole hanno toccato il cuore del mondo».

Come ci fa notare Goffredo Fofi nella postfazione a La politica dell’impossibile, l’inquietudine esistenziale veniva anche per lui dall’aver visto o vissuto con il paraocchi la tragedia della guerra e la durezza e la durata dello scontro di classe, e sì, Dagerman fu fratello di Camus (e anche di Majakovskij nella lucidità partecipe e dolorosa, nell’intensità con cui visse i propri dilemmi individuali.

Nei suoi libri si può leggere lo sguardo appassionato e disilluso di uno scrittore e di un uomo sulla condizione umana, l’indignazione per l’ingiustizia e per l’ipocrisia con cui le democrazie vengono a patto con le più feroci dittature nel nome degli affari.

Stig Dagerman è uno scrittore e un poeta d’impegno civile e nelle sue poesie (recentemente pubblicate da Iperborea nel volume Breve è la vita di tutto quel che arde) affonda la penna nella mischia confusa della storia e del tempo, denunciando senza alcuna mediazione e con la sua volontà di potenza anarchica le ingiustizie, i soprusi del potere a danno dei più deboli e degli ultimi.

Il mondo è più forte di lui, al suo potere non ha altro che opporre se stesso. Così non gli resta altro che la scrittura e la letteratura. Finché avrà la forza di resistere, si sentirà dotato del potere di opporre le sue parole a quelle del mondo.
Questa è la sua unica consolazione che non gli salverà la vita.

«Tutto quello che possiedo è un duello, e questo duello viene combattuto in ogni istante della mia vita tra le false consolazioni, che solo accrescono l’impotenza e rendono più profonda la mia disperazione, e le vere consolazioni, che mi guidano a una temporanea liberazione»

La sua opera è un monologo di un uomo che scrive perché combattuto tra il desiderio di essere felice e l’impossibilità di esserlo. È uno scrittore la cui lettura non lascia indifferenti. Le parole di Stig Dagerman scorticano, fanno male, sanguinano. Solo come i grandi scrittori sanno fare.

Articolo ripreso da   https://www.nazioneindiana.com/2023/09/10/overbooking-stig-dagerman/

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