15 settembre 2023

L' EMIGRAZIONE NON E' UNA QUESTIONE DI POLIZIA

 


L’immigrazione non è questione di polizia


“L’immigrazione al centro del dibattito politico”, apriva ieri “Le Monde”, un titolo a tutta pagina, a caratteri di scatola. Il presidente della Repubblica Macron ha annunciato una revisione delle leggi in materia. L’immigrazione in Francia, che da più tempo, sono quasi due secoli, e su scala incomparabilmente maggiore degli altri paesi europei ha sperimentato l’immigrazione di massa, l’esodo dall’Africa è un fatto che va studiato e risolto. Lo stesso giorno, o il giorno dopo, che la Germania, altro paese a forte e sperimentata immigrazione, notifica all’Italia, in tutta amicizia, che non riceverà più immigrati cui la burocrazia italiana abbia riconosciuto l’asilo politico o per motivi umanitari.

Il sottinteso del no tedesco, e della stretta che si annuncia in Francia, è che l’Italia, come paese di primo approdo, non è affidabile. Non solo nella concessione dell’asilo. I migranti economici, che sono la stragrande maggioranza, non vengono espulsi, per le lungaggini giudiziarie (i giudici dell’immigrazione sono come quelli degli affitti bloccati, che per venticinque o trent’anni non hanno mai aperto un dossier). E la vigilanza sugli indesiderati è lasca, cioè assente: una volta sbarcati in Italia, c’è libertà di movimento per tutta l’Europa oltralpe.
L’immigrazione è un problema serio. In Italia sotterrato sotto le cronache isteriche da Lampedusa, dell’hotspot, che non si sa cosa sia, che passa da 10 a 10 mila immigrati in un giorno – e degli inevitabili naufragi, veri o presunti. O sotto i blocchi alle navi di soccorso ong – divieto che i trafficanti pronti bypassano mandando direttamente a Lampedusa flotte di barchini, invece dei comodi trasbordi sulle navi ong al limite delle acque territoriali libiche o tunisine.  
Non si conosce l’Africa, che sta a un passo, e che pure molti europei frequentano. La politica è ignorante. La diplomazia inerte. La stampa d’informazione non si fa più. E gli studiosi si danno a occupazioni comode, repertoriare le specie floreali o animali, le tribù e le "lingue", anche i tesori scomparsi dell’Ashanti – l’Africa non rifiuta mai una storia che vi piaccia. Un mondo dove non ci sono, o sono rari, i regimi politici elettivi, e dove sono elettivi sono a partito più o meno unico, senza libertà di espressione. Tutta l’Africa, più o meno, è eleggibile per l’asilo, ma allora questo non è più un criterio.
Non ci dice nulla dell’Africa nemmeno la chiesa, e questo è assurdo. Perché la chiesa sa tutto dai vescovi, che in Africa ha numerosi, e dalle sue organizzazioni umanitarie, ex missionarie. Fare le anime belle e proclamare l’obbligo di accoglienza certamente non basta più a salvare l’anima - l’accoglienza è un business, per quanto miserevole. E non fa più buona impressione.
Non si conosce nulla, dopo un quarto di secolo, del traffico, che è organizzato. Sia in Africa, nell’arruolamento e nelle lunghe traversate fino al Mediterraneo, e poi negli imbarchi, sia in Italia. Dove molti sbarcati possono dileguarsi. Né i servizi italiani né quelli di altri paesi dopo un quarto di secolo di tratta dei migranti hanno provato a fare luce.
Dopo l’hotspot di Lampedusa la frase fatta è il deficit demografico. Che c’è, ma non si colma a caso. I flussi si programmano, impossibile non è: lo ha fatto la Germania, con i turchi e gli ex jugoslavi prima, poi con i siriani, gli iracheni e gli iraniani. L’Italia ha avuto i filippini, i rumeni, gli albanesi, i marocchini, le ucraine. Ma forse non lo sa nemmeno, non ci fa caso. Si è fatta una legge striminzita, vent'anni fa, la Bossi Fini, una legge di polizia, che non le garantisce nessun apporto utile, e quello utile, per esempio i nati in Italia e scolarizzati, li rifiuta – con la polizia non si governa l’immigrazione, come si fa a pensarlo?


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