29 settembre 2023

RILEGGERE SUSAN SONTAG

 



MELANCONIE E INFINITE (MA GENIALI) TRISTEZZE: SOTTO IL SEGNO DI SATURNO DI SUSAN SONTAG

(fonte immagine)

di Armando Vertorano

Non serve essere appassionati di astrologia per conoscere il significato di espressioni quali “essere sotto l’influenza di Saturno” o “avere Saturno contro”. Anche il peggior detrattore di oroscopi sa che il pianeta con gli anelli è tradizionalmente associato a uno stato di melanconia, di profonda e talvolta indecifrabile tristezza. Eppure questo influsso non ha una connotazione del tutto negativa, anzi trova un certo fascino proprio grazie alla sua intrinseca ambivalenza: se per un verso il melanconico è senz’altro invischiato nelle sabbie mobili del mal di vivere, dall’altro la sua estrema sensibilità lo rende aperto a riflessioni più profonde, a piccole rivelazioni, innovative reinterpretazioni del mondo. Tali visioni o re-visioni non avranno per forza di cose connotati ottimistici eppure sono dotate di quello slancio creativo, che nei casi più eclatanti potremmo addurre alla sfera di ciò che, forse in modo un po’ inflazionato, amiamo definire genio. In un certo senso potremmo dire che la melanconia crea il genio o, viceversa, che non c’è mai stato genio senza una forma di tristezza.

Sotto il segno di Saturno è il titolo che Susan Sontag dà a uno scritto su Walter Benjamin apparso nel 1978, in cui il potere creativo della melanconia diventa la chiave di lettura per comprendere sia l’opera che il personaggio di Benjamin.  Due anni dopo Sontag usa lo stesso titolo per una raccolta di saggi brevi, oggi riproposta da Nottetempo con una nuova traduzione di Paolo Dilonardo, ciascuno dedicato a un artista contemporaneo che, in un modo o nell’altro, ha elaborato la propria tristezza fino a realizzare una o più opere segnanti. Lo scritto su Benjamin diventa così la title-track della raccolta, quella che permette in qualche modo di decodificare tutto il resto.

Il contenuto del volume è infatti piuttosto eterogeneo quanto ad approcci e toni utilizzati. Su Paul Goodman e Ricordando Barthes sono stati scritti a ridosso della scomparsa dei due scrittori, eppure risultano ben lontani dal classico panegirico post-mortem, il loro carattere è più quello di una dichiarazione d’ammirazione talmente schietta da potersi perfino permettere qualche appunto critico. Polemica più aperta e combattente la troviamo invece in Fascino fascista, il cui bersaglio è la riabilitazione culturale di Leni Riefenstahl, la regista cinematografica simbolo della propaganda nazista, che a distanza di anni – il saggio è del 1975 – ha continuato a lavorare uscendo indenne, o meglio “ripulita”, dalla Norimberga dell’opinione pubblica senza però aver mai del tutto abbandonato una certa estetica totalizzante. Accostarsi ad Artaud si propone di fare ciò che dice il titolo, ossia introdurre il lettore alla figura e allo studio di Antonin Artaud, uno dei grandi teorici del teatro contemporaneo la cui precaria salute mentale impedì una potenzialmente rivoluzionaria attività da teatrante. Esso però risulta solo in apparenza un saggio più canonico, perché mette il lettore in guardia da due aspetti complessi: il saccheggio culturale e spesso indebito che il teatro d’avanguardia ha operato nei confronti dello scrittore e, soprattutto, l’intima inafferrabilità della sua opera omnia.

Secondo Sontag Artaud può risultare comprensibile solo a fronte di uno studio frammentario, mentre “per chi lo legge da cima a fondo resta ferocemente irraggiungibile”. Troviamo poi L’Hitler di Syberberg, analisi puntuale sull’arte del regista sperimentale tedesco Hans-Jürgen Syberberg e in particolare sul suo capolavoro Hitler: un film dalla Germania, opera-fiume di oltre sette ore che i cinefili italiani più incalliti ricorderanno grazie ai ripetuti passaggi notturni su Fuori Orario di Enrico Ghezzi. A chiudere la raccolta c’è La mente come passione, un breve excursus su vita e scritti di Elias Canetti, autore complesso e sfaccettato, ossessionato dai libri e dal desiderio di vivere il più a lungo possibile.

Quando Sotto il segno di Saturno uscì per la prima volta, nel 1980, i personaggi esplorati da Sontag erano ancora “materia viva” nell’ambiente culturale occidentale, Goodman e Barthes erano appena scomparsi, Canetti stava pubblicando la sua corposa autobiografia, Leni Riefenstahl aveva pubblicato un libro fotografico sulla tribù africana dei Nuba, lo stesso Artaud pur morto da tempo, faceva sentire forte la sua traccia nel teatro sperimentale degli anni ’70. Oggi, a una lettura superficiale, il libro può apparire come un’opera di nicchia che parla di mostri sacri, tanto intoccabili quanto lontani dal presente, quasi una passeggiata tra le sale di un museo imponente ma polveroso.

Perché allora rileggerlo oggi?

Perché forse, in primis, sta a noi lettori fare uno sforzo per togliere quella polvere: se museo dev’essere, che sia di quelli immersivi, interattivi. La scrittura intellettuale ma impetuosa di Susan Sontag ci permette infatti di avvicinare questi autori, la raffigurazione della loro tristezza ce li rende più umani e, in quanto tali, meno inarrivabili e più imitabili. Riconoscendoci in alcuni aspetti della melanconia onnipresente di Benjamin o di quella trasfigurata dall’ironia di Barthes o di quella ossessiva di Canetti, il lettore sarà a sua volta tentato di lavorare sul proprio personale temperamento saturnino, di trarne una fonte d’ispirazione, un proprio personalissimo guizzo di genio.

C’è però un altro motivo, più squisitamente culturale, per cui è interessante rileggere questo libro. I sette saggi che contiene sembrano infatti nasconderne un altro in sottotraccia, una piccola saletta nascosta del museo dedicata alla stessa Susan Sontag. A distanza di quasi vent’anni dalla sua morte siamo forse più predisposti, in quanto lettori, ad avvertirne la presenza anche mentre discetta del lavoro altrui. Più o meno consapevolmente Sontag ci offre uno spaccato di sé, della sua indole altrettanto “saturnina” ma non arrendevole, di quel modo istintivo di raccontare il mondo, poco accademico ma incredibilmente lucido, talvolta controverso ma sempre coraggioso, e della sua ben nota ossessione per le immagini e il visivo, che si traduce in una scrittura spesso “fotografica”. In tal senso Sotto il segno di Saturno è un ulteriore e ben incastonato tassello dell’opera di riscoperta dell’autrice che la casa editrice Nottetempo ha iniziato nel 2018 con la pubblicazione di due volumi di diari e appunti e proseguita negli anni successivi. Un lavoro importante, per una voce tutt’altro che invecchiata, e che anzi, in tempi ferventi, mutevoli e arrabbiati come questi, avrebbe ancora tantissimo da dire.

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