Nel 1965 James Blue, giornalista americano, intervista Pier Paolo #Pasolini per la rivista Film Comment. Nel numero 4 della pubblicazione viene dedicata al "Vangelo secondo Matteo" anche una sezione d'analisi. Blue è molto interessato ad approfondire sul lavoro di Pasolini con gli attori, professionisti e non professionisti. Il regista ha già lavorato con Franco Citti ed Ettore Garofalo, ma anche con Orson Welles e Anna Magnani.
- Ma cosa ha scoperto del cinema in senso estetico?
- Ebbene, a dire il vero, l'unica cosa che ho scoperto è il piacere della scoperta.
- Sta parlando come Godard ora.
- Ho risposto come Godard perché è impossibile rispondere alla domanda. Guardi, se credessi in una teleologia del cinema, in una teleologia dello sviluppo, se credessi in una meta finale dello sviluppo, in corso come miglioramento... ma non credo in un "miglioramento". Penso che uno cresca, ma non migliori. “Migliorare” mi sembra un alibi ipocrita. Ora, credendo nella pura crescita di ognuno di noi, vedo lo sviluppo del mio stile come una continua modifica di cui non posso dire nulla.
- Come concepisce la struttura dei suoi film, cosa li fa muoversi da un capo all'altro?
- È una domanda troppo impegnativa. Per il momento è impossibile rispondere. Ma vorrei che leggeste su Cahiers un articolo che ho scritto. Questa domanda implica non solo un esame dei miei film e della mia coscienza, ma solleva la questione del mio marxismo e di tutta la mia lotta culturale durante gli anni Cinquanta. La domanda è troppo vasta. È impossibile.
James Blue. Special section on Pier Paolo Pasolini, The Gospel According to St. Matthew. Christ the marxist revolutionary. Fall, 1965. Volume 3, n.4. Traduzione dall'inglese, Città Pasolini.
Pier Paolo Pasolini nello studio della sua casa di Monteverde Vecchio, Via Giacinto Carini 45. Roma, 23 maggio 1962 © Vittorio La Verde/Archivio Marcello Geppetti MC/Tutti i diritti riservati
Pezzo ripreso da: https://www.facebook.com/CittaPasoliniArchivio
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