Violenza come fenomeno culturale
Per riconoscere
realmente la violenza contro le donne in tutte le sue forme – manifeste e
invisibili – come fenomeno culturale, è necessario fare un accostamento che può
riuscire inquietante e perciò difficile tra senso comune e cultura alta.
Prendiamo per esempio alcune affermazioni – fatte su whatsapp o rilasciate dopo
l’arresto – del gruppo che a Palermo ha violentato una ragazza di diciannove
anni, e avviciniamole a quelle che si leggono nel saggio di Otto Weininger, Sesso
e carattere,
del 1903, una tesi
di laurea che ebbe grande diffusione in tante lingue, a cui fece seguito il
suicidio del suo autore, appena ventitreenne.
“Eravamo in tanti, troppi, ma
la carne è carne e le abbiamo fatto passare il capriccio”; “Le facevamo male,
ma era eccitata (…) Questa si chiama… su Instagram, ti giuro vero, questa è una
p… ce la siamo fatta tutti, i ragazzi della via Montalbo, eravamo tanti, una
sassolata (…) eravamo, ti giuro cento cani sopra una gatta (…) mi sono
schifiato, ama che dovevo fare, gliel’ho abbagnato pure io il discorso”.
La “violenza simbolica”,
quella che passa nelle pagine degli autori noti o meno noti appartenenti alla
cultura greco romana cristiana che abbiamo ereditato, non ha il corredo di
azioni altrettanto selvagge e criminali, ma parla la stessa lingua.
Da Otto Weininger, Sesso e
carattere (1903), Feltrinelli 1978:
“La donna si consuma tutta
nella vita sessuale, nella sfera dell’accoppiamento e della procreazione, nella
relazione, cioè, di moglie e di madre; essa ne viene totalmente assorbita, mentre
l’uomo non è solamente sessuale (…) l’uomo ha ancora una moltitudine di altre
occupazioni: la lotta e il gioco, la società e la mensa, la discussione e la
scienza, gli affari e la politica, la religione e l’arte. (…) L’esclusiva e
continua sessualità somatica e psicologica della donna ci porta però ad altre
conseguenze. Il fatto che essa sia per l’uomo quasi solo un appendice, e non ne
forma tutto l’essere, gli permette di separarla psicologicamente dallo sfondo e
appunto perciò di averne coscienza. In tal modo egli se la può quasi mettere di
fronte e considerarla separata da tutto il resto (…) Perciò l’uomo sa della sua
sessualità, mentre le donna non se ne rende cosciente, e la smentisce in buona
fede, non essendo che sessualità, essendo anzi la sessualità stessa”.
“… egli possiede dunque la
capacità di entrare in relazione autonoma con la propria sessualità: può,
volendolo, porle dei limiti o lasciarle libero sfogo, può negarla o asserirla:
a lui si presentano le possibilità di essere un Don Giovanni o un Santo: basta
che scelga. Per dirla trivialmente: l’uomo ha il pene, mentre la donna ha la
vagina…”
“Se le si domanda che
concetto abbia del proprio Io, ella non sa rappresentarsi null’altro che il
proprio corpo. Il loro aspetto esteriore, ecco l’Io delle donne. (…) La vanità
femminile è dunque un eterno tenere conto degli altri, le donne non vivono che
pensando ad altri…”.
“… ella vuole l’uomo qual
mezzo per arrivare al piacere o alla prole; vuole ella stessa venire utilizzata
dall’uomo quale mezzo per uno scopo, vuol venire trattata come una cosa, un
oggetto, una sua proprietà, venire da lui plasmata e trasformata a suo piacere.
(…) Si domanda: come deve l’uomo trattare la donna? Come vuole essere trattata
ella stessa, o come esige l’idea morale? Se la deve trattare come essa vuole,
deve accoppiarsi a lei, ché essa vuole venire posseduta; la deve picchiare, ché
vuol essere percossa; ipnotizzare, ché vuol venire ipnotizzata; deve
dimostrarle con la galanteria quanto poco ne stimi il vero valore, ché essa
vuol sentirsi complimentare, ma non venire stimata per ciò che è…”.
L’ideologia di fondo non è molto diversa: la frase “se l’è cercata”, “è una
puttana”, “diceva che le faceva male, ma era eccitata”, ha il suo corrispettivo
filosofico nell’idea che la donna è la sessualità incarnata dell’uomo, che può
può controllare i suoi impulsi solo se la donna rinuncia alle sue “intenzioni
immorali verso di lui, se rinuncia al coito “interiormente e lealmente di
propria volontà”.
Finché la donna è vista dall’uomo come “mezzo per uno scopo” –
di abbruttimento o di elevazione spirituale, come “puttana” o “madonna” – il
confine tra amore e violenza, tra desiderio e rancore, ritorsione aggressiva
sarà sempre molto esile.
Pensare di prevenire la violenza con misure repressive, censorie, o abbassando addirittura la pena all’età a cui andrebbe fatta la maggiore attenzione formativa – meno di quattordici anni – è un’idea che può venire solo a una visione cieca e ottusa della cultura che abbiamo ereditato da secoli di storia, presente nel maschilismo più volgare da bar, come nelle nostre librerie e biblioteche scolastiche.
Da https://comune-info.net/violenza-senso-comune-e-cultura-alta/
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