13 settembre 2023

I CENT'ANNI DI ANTONIO CASTELLI

 



Nino Cangemi sul Giornale di Sicilia due giorni fa ha ricordato ANTONIO CASTELLI, il poco noto scrittore di Castelbuono stimato da Leonardo Sciascia, che meritava maggiore fortuna. Salvatore Ferlita oggi, nelle pagine palermitane di Repubblica parla del Convegno che si terrà domani a Cefalù per ricordare  l'autore di Entromondo che, insieme al libro di Stefano Vilardo, Tutti dicono Germania Germania (1975), restano i documenti più importanti e preziosi dell'emigrazione siciliana del 900 nel mondo. (fv)


“Caro Castelli il suo libro è una delizia” Firmato Sciascia

Salvatore Ferlita

«Caro Castelli, Le restituisco il manoscritto: che ho letto con piacere, con diletto. E lei saprà che “non dico per dire”, se aggiungo che amo moltissimo I caratteri di Mario La Cava, cui le notazioni di Dove l’infanzia ha lo stelo lungo somigliano; ma senza pregiudizio della loro originalità, si capisce. Qua e là, qualche piccola cosa da eliminare ( che io eliminerei) . Io penso che Lei dovrebbe aspettare che esca il suo libro di racconti da Lerici…».

Leonardo Sciascia non era facile all’entusiasmo istantaneo: eppure, in questa lettera spedita il 12 febbraio del 1961 ad Antonio Castelli, lo scrittore di Racalmuto svela subito lo slancio suscitato dalla lettura dei testi che poi costituiranno la seconda parte de “Gli ombelichi tenui”, il libro di esordio dello scrittore di Castelbuono, di cui ricorre quest’anno il centenario della nascita. E come spesso accade, l’anniversario tondo, specie se ammonta a un secolo, agevola il recupero della memoria offrendo occasione ghiotta per le celebrazioni. Che si svolgeranno domani pomeriggio alle 18 al Museo Mandralisca di Cefalù ( di cui Castelli fu cittadino onorario), con la presentazione del volume “Antonio Castelli – Leonardo Sciascia. Storia di un sodalizio” ( Sciascia editore) di Giuseppe Saja, studioso di letteratura siciliana del secondo Ottocento e del Novecento, massimo esperto di Castelli, del quale ha curato la pubblicazione, sempre per i tipi di Sciascia editore, dell’opera omnia qualche anno fa.

Tra i due autori intercorse un epistolario piccolo ma intenso che restituisce, come dimostra Saja nell’introduzione, la misura del loro rapporto, l’intensità di un sodalizio sostanziato da stima reciproca e, soprattutto, da una rara discrezione. Castelli, che aveva fatto il suo apprendistato letterario collaborando a due riviste storiche come “ Il Mondo” di Mario Pannunzio e “ Il Caffè politico e letterario” di Giambattista Vicari, farà tesoro dei suggerimenti di Sciascia e il libro uscirà alla fine del 1962 in una collana ormai mitica, i “ Narratori” della casa editrice Lerici, diretta da due pezzi da novanta, Romano Bilenchi e Mario Luzi. Già il titolo, “ Ombelichi tenui”, trasmette l’originalità di Castelli, la quintessenza della sua poetica, legata a doppio filo ai luoghi dell’origine, come spiegherà lo stesso Sciascia recensendo il libro su “ L’Ora”. Quelle pagine stregheranno letteralmente lo scrittore, aprendogli gli occhi sull’importanza dell’assoluto fisiognomico e dell’assoluto cromatico che, calati nel crogiolo della terra natia, modulano il nostro modo di stare al mondo. Per ben due volte Sciascia riprenderà questo passaggio fondamentale della scrittura di Castelli, una volta nel saggio dedicato ad Antonello da Messina, poi nelle chiose di “ Occhio di capra”.

 Lo scrittore di Castelbuono si era premurato a spedire copia del volume subito dopo l’uscita ( « eccolo qui il libriccino » si legge in un biglietto del 13 febbraio 1963, «spero non La deluda » ), ma Sciascia era stato ancora più tempestivo, come spiegherà lui stesso in una lettera inviata sette giorni dopo: « La settimana scorsa, partendo per Roma, ho acquistato alla stazione di Caltanissetta il tuo libro: e l’ho letto in treno, con vivo piacere, con sottile delizia». Come si può notare, il diletto è maturato sciogliendosi nella delizia: lemma che fa meglio trasudare il godimento scaturito da quelle pagine. In quella stessa epistola, Sciascia annuncia il pezzo che scriverà sugli“ Ombelichi tenui”: « Da lettore, da conterraneo, da amico più che da critico (poiché critico non sono)». Quando l’articolo vede la luce Antonio Castelli non sta più nella pelle: «Mio caro Sciascia, subito, voglio ringraziarti, dirti tutta la mia contentezza per la recensione che hai scritto del mio libro. È assai bella, sottile e acuta, coglie con calzante precisione e grazia finissima il nucleo del libro, è affettuosa, sensibile. Mi aiuterà certo a veder meglio nel mio lavoro, a ricercare nel profondo le radici di quel sentimento di Sicilianità “intensiva” messo a dimora da nostro padre Verga » ( 19 marzo 1963). E Castelli sicuramente vedrà meglio nel suo lavoro componendo di lì a poco il secondo volume, “ Entromondo”, che vedrà la luce anche grazie all’interessamento di Bilenchi, il quale fa recapitare il testo a sua maestà Geno Pampaloni, direttore editoriale della casa editrice Vallecchi: il libro uscirà nel 1967. Sono, queste, le pagine più intime e sofferte di Castelli, prosatore eccezionale, in grado di mettere mano al vocabolario (egli stesso parlò di «manutenzione » delle parole) per dar forma ad affondi imprevedibili e spiazzanti. E così come era ostile nei confronti dell’omologazione stilistica, della scrittura uniformata e piatta, l’autore era maldisposto riguardo all’appiattimento generato dalla società industriale. Per Castelli la letteratura doveva offrire una visione del mondo differente da quella imposta dal pensiero dominante, anche grazie all’uso di un’altra lingua, che di certo non era quella del potere. Nel frattempo, però, lo scrittore inizia ad accusare i colpi del suo “male oscuro”, che lo porta a isolarsi sempre di più, a trincerarsi in casa. Sciascia se ne accorge, palpita per il suo amico: prova in tutti i modi a scuoterlo.

 Come racconta Saja, nel 1968 assieme a Vincenzo Consolo, anch’egli componente della giuria del premio “ Brancati- Zafferana Etnea” , lo scrittore racalmutese propone “Entromondo” come opera da insignire, ma gli altri giurati (Pasolini, Moravia, Dacia Maraini) non sentono ragioni e optano per Elsa Morante. Sciascia riesce a far pubblicare dalla Sellerio nel 1985 una selezione delle prime due opere (“ Passi a piedi passi a memoria”), ma il fragile quadro psichico di Castelli si aggrava: l’ 11 giugno 1988 porrà fine alla sua vita lanciandosi dal tredicesimo piano della sua casa di Palermo.

LA REPUBBLICA Palermo, 14 settembre 2023 © RIPRODUZIONE RISERVATA

Il centenario dello scrittore di Castelbuono: un libro sul sodalizio con l’autore di Racalmuto Un epistolario che restituisce la stima e il rispetto tra i due letterati Il legame con l’Isola Prosatore eccezionale capace di affondi spiazzanti, fu preda della depressione e morì suicida.

Domani alle 18, al Museo Mandralisca di Cefalù,  si presenta “Castelli-Sciascia Storia di un sodalizio” di Giuseppe Saja

 

 

Nessun commento:

Posta un commento