ANCORA SULL'ILVA DI TARANTO
[A questo link il capitolo precedente].
“Quelle ciminiere, che pure hanno causato inquinamento, significano anche lavoro, benessere, evoluzione della civiltà in una regione dove, ancora negli anni ‘50, i suoi abitanti erano affetti dalla pellagra”1 (Nichi Vendola agli industriali, febbraio 2008).
“Per anni la Puglia ha subito crimini ambientali e forme di colonialismo economico che l’hanno trasformata in un territorio a perdere; bucato, eroso, avvelenato, spolpato, “celebrato” con i fasti e i nefasti di tanti piccoli e grandi ecomostri”2 (Nichi Vendola ai bambini di Taranto, giugno 2008).
Chissà se il governatore pugliese non soffrisse di un leggero disorientamento nel sostenere tutto o il contrario di tutto in base al tipo di interlocutore.
Nell’attesa che decidesse come pensarla, quell’anno i tarantini (non particolarmente felici di essersi evoluti dalla pellagra al cancro) il monitoraggio biologico avevano cominciato a farselo da soli. Del resto nessuna istituzione aveva ancora provveduto in tal senso, nonostante i risultati dei primi campionamenti ambientali della diossina fossero già noti e non lasciassero presagire niente di buono.
L’Associazione Taranto Viva fece analizzare il sangue a dieci volontari, riscontrando livelli di diossina quattro volte superiori a quelli accettati dalla comunità scientifica internazionale3 «Bambini contro l’inquinamento» rese pubblici i risultati sul latte materno di tre mamme tarantine, che certificavano una presenza di diossina e Pcb trenta volta maggiore dei limiti consentiti negli alimenti4 . Peacelink si occupò delle analisi del formaggio di un caseificio artigianale sotto il raggio di azione dell’Ilva, con una quantità di diossina tre volte superiore alla norma5 .
In febbraio i risultati dell’Arpa sul camino E312 dell’impianto di agglomerazione avevano cominciato a declinare in nanogrammi a metro cubo le dimensioni del disastro. Circa 8 ng/Nm3 di tossicità equivalente alla tetracloro-dibenzo-p-diossina, che potrebbe sembrare una modica quantità, se non fosse che l’ E312 sputa fuori 3 milioni di metri cubi all’ora. Sulla base dei dati Arpa, l’ammontare complessivo di diossine sparse sul territorio venne stimato da Peacelink in 7 chili e mezzo (considerando i 43 anni di funzionamento del siderurgico), da addebitare in parte all’Ilva e in parte alla vecchia Italsider. In pratica, tre volte quanto fuoriuscito ufficialmente dall’Icmesa di Seveso6 . Solo che, a differenza di Seveso, nessuno aveva mai provveduto ad evacuare la zona.
Ad ogni nuova indagine gli effetti collaterali dell’attività dei Riva diventavano sempre più difficili da negare, ma anche difficili da contrastare fintanto che il limite di emissione per le diossine consentito dalla legge nazionale7 rimaneva pari al livello assurdo di 10.000 ng/m3. Su questo terreno, finalmente, la Regione si schierò, praticando l’unica strada che le consentiva di aggirare l’ostacolo: legiferare in proprio sui limiti di emissione.
Era il novembre del 2008 quando il disegno di legge antidiossina, che fissava il limite a 0,4 ngTEQ/Nm3, venne presentato dal governatore a tempo di reggae, sulle note dei Sud Sound System.
Il provvedimento, al centro di un aspro scontro con i padroni del siderurgico e con il Ministero dell’Ambiente (la cui guida nel frattempo era passata alla Prestigiacomo), sembrava aver definitivamente archiviato la politica dei compromessi al ribasso. Vendola si era guadagnato il diritto di sfilare con gli ambientalisti con la credibilità alle stelle, ma per non giocarsela avrebbe dovuto dimostrare la capacità di mantenere dritta la barra del timone, tenendo conto che quello della diossina, per quanto importante, non poteva che essere un primo passo.
Intendiamoci, le diossine sono fra i più potenti veleni conosciuti. Provocano cancro, endometriosi, lesioni cutanee, danni al cuore, ai reni, allo stomaco, al fegato, alla funzionalità respiratoria, al sistema linfatico e a quello nervoso. Interferiscono col metabolismo dei grassi e degli zuccheri, con la biosintesi dell’EME (un legante dell’ossigeno nel sangue), danneggiano lo sviluppo dell’embrione e del feto. Bioaccumulano nell’organismo sciogliendosi nei grassi, e una volta inalate o ingerite non le smaltisci più.
Ma sono solo una delle varie forme di nocività made in Ilva, e anche eliminandole completamente i tarantini continuerebbero ad ammalarsi di Ilva e a morirne lo stesso. Per questo l’approvazione della Legge Regionale 44/08 (“Norme a tutela della salute, dell’ambiente e del territorio: limiti alle emissioni in atmosfera di policlorodibenzodiossina e policlorodibenzofurani”) era il primo banco di prova da cui partire per affrontare le altre fonti di morte chimica. Oltre tutto, la legge non poteva dirsi esaustiva nemmeno del capitolo diossina, visto che considerava solo quella in uscita dai camini, e non le numerose emissioni non convogliate.
La triste storia di questa legge ha già trovato spazio sulle pagine di Carmilla grazie a Girolamo De Michele, che ci racconta come la diossina calò “miracolosa/mente” (leggerequi), e come alla Legge 44/08 seguì, appena tre mesi dopo, “l’interpretazione autentica” che ne snaturava i contenuti8. Cos’era successo di così catastrofico da indurre il governatore a ritornare sui suoi passi ?
Convocato nel febbraio 2009 nelle stanze romane del Ministero dell’Ambiente, sopraffatto da preponderanti forze nemiche (la ministra, la dirigenza Ilva, i sindacati confederali) che paventavano scenari apocalittici per la chiusura dello stabilimento, Vendola aveva accolto il suadente invito di Gianni Letta a trasformare la sua legge migliore in un capolavoro di paraculaggine.
Non doveva abrogarla, né ritoccarne i valori limite, ma semplicemente renderne impossibile la verifica sostituendo i controlli in continuo (da effettuare con un impianto di monitoraggio a spese dell’azienda) con 3 striminzite campagne di misurazione. In pratica il campionamento delle emissioni passava dalle 8.760 ore previste nella prima versione del testo di legge a 72. Dulcis in fundo, “l’interpretazione autentica” avrebbe cammuffato gli sforamenti dei limiti con un artificio aritmetico e consentito la diluizione dei fumi per adduzione di ossigeno.
Il fatto che il direttore dell’Ilva, all’epoca Luigi Capogrosso, uscisse da quell’incontro pienamente soddisfatto avrebbe dovuto indurre qualche perplessità. E Capogrosso, che di ciminiere teneva esperienza (già condannato in giudicato con Emilio Riva nel 2005 per violazione delle norme sulle emissioni in atmosfera9 ) sapeva bene che campionamenti così rarefatti avrebbero permesso all’azienda di creare, in occasione delle analisi, le condizioni ad hoc per truccare i risultati, per esempio riducendo la produzione. Tanto poi si sarebbero rifatti del tempo perduto spingendo gli impianti al massimo nel turno di notte, quando il controlli non si fanno .
Anche volendo, le ispezioni non avrebbero mai potuto essere troppo frequenti, visto che nell’organico dell’Arpa i tecnici incaricati delle rilevazioni sulle ciminiere dell’intero territorio regionale erano solo in due. A detta di Roberto Giua, direttore del Centro Regionale Aria: “dei 252 camini dell’Ilva noi riusciamo a controllarne tre o quattro, quelli più rilevanti. Sarebbe interessante monitorare anche gli altri, ma materialmente come facciamo? Con questo organico possiamo solo andare dietro alle emergenze”10.
Ma in definitiva, il compromesso accettato da Vendola, sia pur sotto le pressioni del ricatto occupazionale e delle minacce governative di ricorso alla Consulta, poteva considerarsi dignitoso ?
Vedete, far compiere i campionamenti dall’Arpa in modo da sottostimare la realtà delle emissioni è peggio che non farli affatto. Fornisce agli inquinatori la possibilità di sostenere in un giudizio la propria conformità alle norme di legge sulla base dei dati “incontrovertibili” prodotti da un organismo pubblico.
Sarebbe dunque questo il risultato finale dei tanti sforzi profusi nella ricostruzione (praticamente da zero) dell’Arpa Puglia, nel suo adeguamento tecnico con le costose apparecchiature per la rilevazione della diossina ? Reggere il gioco ai Riva con misurazioni edulcorate?
Nel 2012, la perizia chimica disposta dal gip di Taranto nell’ambito del procedimento contro l’Ilva, riportava quanto segue: “si evidenzia come questa emissione (del camino E312) viene campionata e misurata secondo quanto previsto dalla norma regionale, in particolare per quanto riguarda le diossine, e risulta conforme ai limite regionali prescritti per le diossine”11 .
Una volta fatta la legge e trovato l’inganno, i rapporti fra Ilva e Regione Puglia si rasserenarono moltissimo. Pure troppo. La retorica del governatore virò dai toni bellicosi contro i biechi inquinatori alla celebrazione della nuova attitudine ecologista dei padroni delle ferriere, convertiti dalla sua opera di apostolato al verbo della green economy.
All’inizio del 2010, fra fanfare e taglio di nastri, Vendola fu chiamato a inaugurare non solo il nuovo impianto di depolverazione dell’Acciaieria 2, ma addirittura “una nuova era nei rapporti tra industria e comunità di Taranto”12 . A dire il vero le prospettive della “nuova era” potevano apparire un po’ fumose, a giudicare dalla scarsa efficacia del nuovo impianto, immortalato lo stesso giorno dell’inaugurazione da una foto del Coordinamento Altamarea (qui a fianco). Ma si sa, la propaganda non necessita di riscontri reali, e in questa nuova narrazione, dove il governatore vestiva il ruolo del santo del miracolo, capace di ammansire le belve e cambiare il colore del cielo di Taranto, erano ammessi solo atti di fede.
Ogni dubbio sul nuovo vangelo cominciò a diventare bestemmia, e tale doveva suonare il nuovo allarme dell’Arpa, che nei primi cinque mesi del 2010 aveva registrato nel rione Tamburi un valore di benzo(a)pirene triplo rispetto ai limiti di legge 13 . La blasfemia fu resa ancor più grave dalla diffusione della notizia, che non rimase relegata nelle segrete stanze. Fu così che Giorgio Assennato, l’ordinario dell’Università di Bari fortemente voluto da Vendola alla direzione dell’Arpa Puglia, si ritrovò a ricoprire suo malgrado il ruolo dell’eretico.
C’è da dire che Assennato non è propriamente un pasdaran dell’ecologismo militante. Per intenderci, è quello che, in concorso con altri, sostenne che l’arsenico nel sangue degli operai di Manfredonia era dovuto al consumo di gamberoni, e non all’inquinamento dell’Enichem14 . E’ quello che andò a spiegare agli abitanti di Torchiarolo (con un garbo degno di un lord inglese) che se si ammalavano di tumore la colpa era dei camini a legna, e non della centrale a carbone15 .
Ma questa volta, il benzo(a)pirene del rione Tamburi era veramente troppo anche per lui.(Continua)
- Domenico Palmiotti, Vendola «senza industria si producono solo cartoline», Gazzetta del Mezzogiorno, 11 febbraio 2008 ↩
- Regione Puglia, Presidenza della Giunta Regionale, Sognando nuvole bianche, I bambini di Taranto contro l’inquinamento della città, Giugno 2008, p.6) ↩
- Michele Tursi, Diossina nel sangue. E ora?, Corriere del Giorno, 10 febbraio 2008 ↩
- Maria Rosaria Gigante, «Mamme, continuate ad allattare», Gazzetta del Mezzogiorno, 11 aprile 2008 ↩
- Nazareno Dinoi, Diossina tre volte al di sopra della norma, Corriere del Mezzogiorno, 6 marzo 2008 ↩
- A onor del vero, si mormora ufficiosamente che dall’Icmesa di Seveso di kg di diossina ne siano usciti 18 ↩
- Decreto legislativo 152/06 ↩
- Tribunale di Taranto, Riesame avverso ordinanza emessa dal GIP in data 25 luglio 2012, 7 agosto 2012, p. 17/18 ↩
- Stefano Martella, Due uomini per controllare mille camini. Questa è l’Arpa Puglia, 28/10/13 ↩
- M. Sanna, R. Monguzzi, N. Santili, R. Felici, Conclusioni della perizia chimica sull’Ilva di Taranto, 2012, p. 535 ↩
- Angelo di Leo, Sbuffi sospetti dall’Acciaieria: “veleni” tra Ilva e Altamarea, Corriere del Giorno – 15 gennaio 2010 ↩
- Coordinamento di cittadini e associazioni Altamarea, Quartiere Tamburi, i nuovi dati Arpa: il benzo(a)pirene è 3 volte sopra i valori fissati dalla legge, 15 luglio 2010 ↩
- L. Vimercati, A. Carrus, T. Gagliardi, G. Sciannamblo, F. Caputo, V. Minunni, M.R. Bellotta, G. de Nichilo, L. Bisceglia, V. Corrado, P. De Pasquale, G. Assennato, Monitoraggio biologico dell’esposizione professionale ad as inorganico in lavoratori di un impianto industriale dismesso nell’area di Manfredonia, in “Sicurezzaonline” 12/05/08. Anche sulla base di questo studio nel marzo 2012 vennero assolti in via definitiva gli ex dirigenti Enichem/Anic dall’accusa di omicidio colposo di 17 operai e lesioni gravissime per altri 5 ↩
- Marco Marangio, Assennato contestato a Torchiarolo, 02 marzo 2011 ↩
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