In un mondo dominato dal mercato (misura di tutte le cose), la laicità perde il carattere voltairiano di tolleranza e diventa modalità d'azione contro la dittatura del pensiero unico e del politicamente corretto.
Giancarlo Bosetti
La laicità civile secondo Veca
Al volgere dei settant'anni di Salvatore Veca, che il filosofo porta con l'eleganza e la sobrietà che lo caratterizzano fin da quando di lui si ha notizia, come giovane assistente della cattedra di filosofia teoretica di Enzo Paci, alla Statale di Milano, sarebbe tempo di bilanci, che si cominciano a pubblicare, come vedremo.
Ma si può intanto scegliere una scorciatoia, quella di leggere la sua ultima proposta, un libriccino che si intitola Un'idea di laicità, un testo breve, che ha, come tanti suoi scritti, una dote: quella di essere frammento dal quale si riconosce il tutto, particolare che include l'intero, come nei maestri della pittura e nei filosofi dotati di uno stile. In queste pagine il pensiero di Veca è ben riconoscibile nella ricchezza del suo percorso, anche perché teorizza e non si limita a destreggiarsi tra le teorie degli altri.
Veca è l'autore che, partito da un esordio kantiano, mai tradito come sfondo di riferimento, ha poi introdotto in Italia una sua versione della teoria della giustizia di John Rawls confrontandosi con una varietà di indirizzi; negli ultimi vent'anni ha accentuato la convinzione circa la ineludibilità del pluralismo dei valori e delle culture umane, come "fatto" che sfida le istituzioni della democrazia liberale e che deve metterci perennemente in guardia nei confronti della tentazione "monista". Questa si affaccia continuamente come rischio, come una sorta di equivalente dell'etnocentrismo nella sfera teoretica.
La laicità di Veca è tutt'uno con la democrazia pluralista (simul stabunt, simul cadent), è un carattere delle istituzioni senza il quale la libertà soccombe. Dal momento che dobbiamo convivere con la diversità, la varietà delle credenze è da tutelare, avendo ben chiaro in mente che le credenze religiose sono storicamente un test che apre la strada a tutte le altre. La laicità di Veca non è l'ideologia repubblicana del modello francese, che esclude le differenze religiose, escluse dallo spazio pubblico e le confina nel privato. La sua è una laicità "sotto pressione", che accetta cioè la pressione delle identità che aspirano a emergere in pubblico, non le considera indebite ingerenze, ma pone un termine ad quem, quello dell'eguale rispetto, che è però rispetto non solo per i cittadini ma anche per il loro corredo di storie e differenze: una «comune lealtà civile deve essere compatibile con una distinta e differente identità religiosa o etica o culturale».
Gli individui della democrazia di cui parla Veca non sono gli attori della teoria della scelta razionale («barocca» costruzione), e non sono più neppure gli individui astratti del contratto sociale del primo Rawls, ma sono persone che la democrazia pluralista deve lasciare libere di costituire e ricostituire cerchie di mutuo riconoscimento religioso, politico, sociale, culturale, etico. Veca assume e supera la lezione successiva di Rawls, quella del «liberalismo politico », per addentrarsi in una concezione della libertà e della democrazia arricchite dal più radicale pluralismo di Isaiah Berlin e dall'eredità dell'antropologia.
Ma che teoria democratica sarebbe quella che non riuscisse a tener conto di questa sfida delle diversità? Essa poteva limitarsi alle diversità politiche nell'Europa dei decenni pre-globalizzazione. Non può più farlo oggi in un Europa dove non esistono più società monoreligiose o monoculturali e di fronte alla crescente rivendicazione di libertà di scelta, da parte delle persone, tra le molte identità possibili e tra le varie comunità di riconoscimento: la comunità di provenienza, quella di arrivo, la fede, la professione, le preferenze politiche, sessuali, quelle di consumatore. Si tratta di una terribile complicazione: la «geografia del noi» diventa variabile, ma il «noi» non rinuncia a farsi visibile e riconoscibile nello spazio pubblico.
L'eterogeneità delle domande deve metterci perennemente in guardia nei confronti delle manovre illiberali di poteri pubblici o religiosi o culturali che cerchino di ridurre questa varietà. Valga dunque l'idea di laicità come promemoria del crescente deficit dei regimi democratici.
Se la scorciatoia di questo libriccino apparirà insufficiente ai lettori più esigenti, allora potranno approfondire la conoscenza del laboratorio pluralista di Veca con l'Idea di incompletezza (Feltrinelli 2012) o con il volume che gli dedica una dozzina di colleghi, amici e allievi, per la cura di Elisabetta Galeotti e Antonella Besussi: Ragione, giustizia, filosofia. Scritti in onore di Salvatore Veca (Feltrinelli 2013). Omaggi che provengono da variegati orientamenti filosofici a dimostrazione che si tratta di un maestro che non ha cercato «di riprodurre se stesso e le sue preferenze teoriche in chi lo seguiva» e di una apertura liberale e pluralista non solo negli enunciati. La conferma di uno stile.
la Repubblica | 07 Dicembre 2013
Salvatore Veca
Un'idea di laicità
Il Mulino, 2013
euro 10
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