Furio Colombo scopre
che la strategia delle aziende di ridurre il personale per aumentare
i profitti peggiora la qualità dei servizi. Forse, nonostante sia un
VIP, gli è successo di trovarsi in coda. Se è così, si
tranquillizzi: gli italiani conoscono benissimo il problema. La
grande scoperta del giornalista è pane quotidiano per la gente
comune che da anni paga questa situazione con la perdita del posto di
lavoro da un lato e un accelerato degrado della vita dall'altro.
Furio Colombo
Abolire il lavoro è
una strategia
Se entrate nella filiale di una banca, in Italia, ai nostri giorni, troverete una stanza gremita di gente che aspetta, ciascuno con il suo numero di turno, che l’unico impiegato dell’unico sportello in servizio, sia disponibile. A suo tempo. Prima deve evadere le pratiche degli altri. E voi, intanto, contribuite al funzionamento agile e snellito della filiale bancaria con il vostro tempo, dunque con il vostro lavoro. Ognuno di noi, quando va in banca, lavora per la banca, che ha licenziato tutti gli “esuberi” (gli altri impiegati che erano disponibili subito) e in questo modo ha spostato il lavoro dall’azienda, che migliora il suo profitto, ai clienti, costretti ad offrire tempo, dunque a lavorare gratis.
La maggior parte delle stazioni ferroviarie offre lo stesso modello di funzionamento a carico di coloro che un tempo erano i clienti da servire. Non sto parlando delle biglietterie, sostituite ormai da anni dalla rete. Sto dicendo che la folla è sola, e fa tutto da sola, osservata da telecamere e rallegrata dalla pubblicità ma senza alcun servizio (salvo che non sia privato e di vendita, e dunque aperto e chiuso secondo proprie regole). Anziani, disabili, bambini, bagaglio impossibile, non fanno differenza. Una volta eliminato per buona politica aziendale, ciascun servizio umano non ritorna mai più. Il problema diventa un incubo (di più, ovviamente, la notte) in stazioni non secondarie attraversate da percorsi importanti. Vi potete trovare di fronte a strutture del tutto vuote. Sono abbastanza complesse, con molti punti di arrivo e partenza, e necessità di incrociare percorsi (cambio di treno) e vi rendete conto che nell’edificio stazione ogni porta o vetrina è chiusa, non esiste né presenza tecnica visibile né polizia, ogni cambio di binario è accessibile solo con non invitanti sottopassaggi. E la voce di un altoparlante che viene da altrove e il monitor televisivo sono l’unico legame col mondo. Non si tratta di un “fai da te” sostenuto da nuova tecnologia. Si tratta di un vuoto e basta.
E qui arriviamo a capire
il senso e la logica di ciò che sta accadendo a Ryanair. La grande
impresa irlandese di viaggi aerei “low cost” ha avuto un’idea
radicale e grandiosa come Facebook di Zuckerberg. Ha inventato i
passeggeri-dipendenti. Pagano poco e fanno tutto da soli (tranne il
decollo, il volo, l’atterraggio, a condizioni che ormai sono
materia di racconto e di cinema, ma anche una grande trovata). Però
i passeggeri sono a disposizione della ditta, che sposta arrivi e
partenze, cancella voli e mette in attesa, accatastando persone a
migliaia nei vari terminal del mondo, fino a quando avrà raggiunto
un punto di convenienza che autorizza a partire. In questo modo il
segreto del “low cost” è svelato. Non è solo l’uso di
aeroporti lontani e la scelta di orari meno costosi (dunque più
scomodi), e basse paghe per gli equipaggi. È anche l’uso dei
passeggeri come dipendenti. Sono a disposizione della ditta, ovvero
rimborsano, con qualche problema di tempo e di luogo e qualche
sacrificio, la parte di costo del biglietto che sembrava regalato.
Queste storie hanno una
loro morale. Spiegano che il lavoro (il posto del lavoro) non è
finito, non è abolito, non è scomparso, non è stato rubato dagli
immigrati o dai robot. E accaduto un drastico cambio di scena in cui
ha prevalso una visione della vita che non ha bisogno del lavoro. È
prevalsa l’idea (raccomandata per decenni, nell’ultima fase della
rivoluzione industriale) secondo cui pagare il lavoro è uno spreco
inutile che sbilancia le imprese. Ci sono state epoche senza donne.
Le donne c’erano, naturalmente, ma non contavano e non dovevano
occupare altro spazio che l’ornamento. Ci sono state epoche senza
bambini.
Persino la grande pittura di periodi memorabili dipingeva pochi bambini, a volte di proporzioni sbagliate, a causa dell’abitudine di non tenerne conto, dunque di non osservarli, nella vita sociale. Ci sono state epoche basate esclusivamente sulla forza e altre sulla speculazione scientifica. Da alcuni decenni l’inclinazione sempre più forte, dettata da un capitalismo selvaggio di ritorno, è stato di ridisegnare il mondo senza il lavoro.
Bisognava finirla di
avere una controparte perennemente seduta dall’altra parte del
tavolo. Molti economisti (e Nobel, e non tutti “liberal”) hanno
messo in guardia dallo squilibrio che si sarebbe creato con
l’abbandono del lavoro umano come coprotagonista del progresso.
L’argomentazione non è “serve-non serve”. L’argomentazione è
che non ci può essere quel necessario e continuo sviluppo alla
ricerca del meglio, saltando su una gamba sola (management e
macchine, senza il lavoro umano). Non ci può essere non perché
mancheranno braccia, ma perché mancheranno teste. Il lavoro umano è
responsabile del periodo di più vasta espansione del progresso
(qualunque progresso) nel mondo. O il lavoro ritorna, come strategia
manageriale, politica e intellettuale, o non ci sarà mai più alcuna
crescita.
Il Fatto – 24 settembre
2017
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