Il problema catalano,
oggi su tutte le prime pagine dei giornali, ha radici antiche e
attraversa tutta la storia della giovane democrazia spagnola. Siamo
andati a recuperare un vecchio articolo di Repubblica del 1992 che
offre utilissime indicazioni per comprendere ciò che sta succedendo
a Barcellona.
Maurizio
Ricci
I due sogni di
Barcellona
"Ah, Barcellona. Là
è Europa". Ogni volta che lascia Barcellona, Pepe Carvalho, il
detective più famoso di Spagna, si sente ripetere questa frase come
un ritornello, madrileni, galiziani o andalusi che siano i suoi
interlocutori. A questi sfoghi d' invidia verso una Catalogna lontana
e diversa, neanche iberica, l' eroe dei gialli di Manuel Vazquez
Montalban non risponde mai.
Può anche darsi che si
tratti di un po' di autoironia da parte del catalano oggi più
popolare nel mondo, dopo Salvador Dalì e Joan Mirò. Ma passeggiate
qualche giorno su e giù per la spina dorsale di Barcellona, lungo
quelle che nel castigliano obbligatorio del franchismo erano le
Ramblas e che oggi sono, in catalano, le Rambles, e vi convincerete
che Montalban fa sul serio: Carvalho non risponde perché considera
la frase un complimento scontato, ovvio.
E' vero che Barcellona è
più Europa del resto della Spagna. E' vero, soprattutto, che i
catalani si sentono fortissimamente, irrevocabilmente diversi dagli
altri spagnoli ovvero, per dirla con Montalban, più europei. Ve lo
gridano dai muri i manifesti della Generalitat, il governo autonomo
della Catalogna. Ve lo confida, con qualche sussiego, il professore
universitario. Ve lo mastica contro, mandando serenamente all'
inferno tutti gli spocchiosi catalani con cui convive da quarant'
anni, la tassista nata a Vigo, all' altro lato della penisola.
A Pasqua, mentre a
Siviglia si inaugurava l' Expo, a Barcellona iniziava il conto alla
rovescia degli ultimi 100 giorni che porteranno alle Olimpiadi. Pochi
fenomeni, come le grandi manifestazioni internazionali, sono capaci
di legare a sé l' identità nazionale. Eppure, nella Spagna ' 92
avviene un po' quello che sarebbero in Italia l' Expo a Palermo e,
contemporaneamente, le Olimpiadi a Roma. Ma di spagnolo, in Spagna,
assicurano in Catalogna, c' è solo lo Stato, l' Estado. Le Spagne
sono 17, quante le regioni che lo compongono, con gradi di autonomia
diversissimi: da quelli di Catalogna e Paese Basco - pari ad un Land
tedesco - a quelli delle Asturie, poco più di una ripartizione
burocratica.
La lingua spagnola è il
castigliano, ma, nelle rispettive regioni, sono riconosciute come
lingue ufficiali anche il catalano, il galiziano e il basco. E le
nazioni su cui regna Juan Carlos di Borbone sono almeno altrettante.
Ma le grandi realtà che si confrontano sono due, diverse quanto
possono essere diversi gli altipiani deserti delle due Castiglie e
gli oliveti che su, su, lungo la valle dell' Ebro, arrivano quasi a
sfiorare la costa atlantica.
C' è un Ovest povero,
burocratico e assistito, con un reddito individuale pari a tre quarti
di quello di un Est - Catalogna e Paesi baschi - che è industriale e
sviluppato, meno della media europea, ma più della nostra Puglia, al
livello della tedesca Treviri, della bassa Normandia francese, della
Cornovaglia inglese. Le differenze sono mille. Prima era agricoltura
e commercio in Catalogna, pastorizia e burocrazia in Castiglia. Oggi
è un tessuto storico di piccole e medie imprese intorno a
Barcellona, grande impresa, spesso assistita, nel resto della Spagna.
Il capitale straniero è
dovunque: ma è europeo e giapponese in Catalogna, americano nel
resto della Spagna. Le differenze arrivano fino alle radici della
cultura politica: democratica, repubblicana, anarchica a Barcellona,
assai più che comunista e socialista. All' origine, ci sono due
storie profondamente diverse. Mille anni fa, la Catalogna è una
marca di frontiera dell' impero europeo di Carlo Magno, quando il
resto della penisola è occupato dagli arabi o dai resti degli ultimi
regni visigoti. E, mentre sugli altipiani castigliani infuriano le
battaglie della Reconquista, al di là della sierra, in Catalogna,
mercanti e armatori cercano, con successo, di trovare la loro strada
nel Mediterraneo, fra genovesi e veneziani.
Solo la casualità
dinastica, a fine ' 400, ha accomunato le due storie. Ma per altri
due secoli la Catalogna avrebbe mantenuto la sua autonomia militare,
economica, giuridica. E, mentre il resto della Spagna, drogato dall'
oro delle Americhe - riservato in monopolio a Siviglia - coltivava
sogni imperiali, i catalani dovevano rimettere insieme i cocci di un
ormai inutile successo mediterraneo.
Quanto basta perché le
due anime di Spagna non si incontrino più. Da una parte il culto
della limpieza de sangre, della purezza razziale dei "vecchi
cristiani" che lasciano le fatiche del lavoro dei campi e delle
botteghe ai convertiti ex arabi o ex ebrei. "Iglesia, mar o casa
real", prete, soldato o burocrate sono gli unici orizzonti
possibili di un castigliano bennato. Mentre, dall' altra parte, dice
il proverbio, "il catalano dalle pietre fa il pane". Fino a
poco più di un secolo fa, l' etica dell' hidalgo si contrapponeva,
faccia a faccia, con l' etica del lavoro. La rivoluzione industriale
ha fatto esplodere questo quadro.
"La Catalogna - è
la tesi di Jordi Pujol che dal 1980 presiede alle sorti della
Generalitat e, un mese fa, ha vinto per la quarta volta consecutiva
le elezioni - è come la Borgogna, la Provenza, la Lombardia, la
Scozia. Solo che la storia ha via via inghiottito Borgogna, Provenza,
Scozia, all' interno dei rispettivi Stati. Catalogna e Lombardia,
invece, sono le uniche due regioni a sud di Lione che, nell' 800,
hanno conosciuto la rivoluzione industriale. Questo è l' elemento
che ha segnato il divorzio fra noi e il resto della Spagna. La
differenza con la Lombardia è che i milanesi hanno sostanzialmente
egemonizzato il resto d' Italia, mentre da noi è avvenuto il
contrario".
La fine del franchismo ha
ridato al nazionalismo catalano il fiato e lo spazio che cercava per
esprimere la propria differenza. Secondo Eliseo Aja, professore di
diritto costituzionale a Barcellona, la Spagna, che 15 anni fa era
uno dei paesi più centralizzati d' Europa, oggi è uno dei più
decentrati, "appena dietro federazioni tradizionali come
Svizzera e Germania". Probabilmente, non c' era alternativa.
La democrazia ha mostrato
che l' orizzonte politico catalano è quasi totalmente oscurato dal
problema nazionale. Fin dalle prime elezioni, Convergenza e Unione,
il partito dell' autonomia catalana è sempre stata oltre il 40 per
cento dei voti: 46 per cento nel marzo scorso. Il partito socialista
(comunque catalano, anche se collegato con i socialisti di Madrid) ha
il comune di Barcellona, grazie ai voti degli immigrati della cintura
operaia, ma non arriva nella regione al 30 per cento. Un altro 8 per
cento dell' elettorato ha scelto l' Esquerra repubblicana di Angel
Colom, apertamente indipendentista.
A stare ad un sondaggio
del quotidiano El Mundo, comunque, un catalano su 5 è favorevole
all' indipendenza dalla Spagna. Il 20 per cento dell' elettorato
pronto a recidere ogni legame con Madrid, il terzo partito della
regione che si batte per l' indipendenza sono fattori che spingono
prepotentemente sul centrismo di Pujol e lo sollecitano a smentire i
professori e ad affermare, la scorsa settimana, che "il recupero
dell' autogoverno catalano è ancora a mezza strada". Ma la
pasta del nazionalismo catalano non è la stessa di quello basco.
L' intransigenza non è
la stessa e la tentazione della violenza remota: profeta di un
"indipendentismo tranquillo", Angel Colom, leader dell'
Esquerra, ripete ad ogni occasione che "l' indipendenza non vale
mai la violenza". Il nazionalismo catalano, spiega il
vicedirettore di El Pais, Miguel Angel Bastenier, è "gaseiforme",
si adatta alle circostanze e si nutre di compromessi. Una scelta
drammatica E la congiuntura politica dei prossimi due anni sarà
dominata dal tema dell' autonomia regionale: la Spagna deve saltare
il fosso e diventare ufficialmente e apertamente uno Stato federale o
no? Il sasso lo ha lanciato, a metà aprile, il presidente del
governo galiziano, Manuel Fraga Iribarne, ex ministro di Franco e
leader della destra nel decennio successivo alla scomparsa del
dittatore.
Perché tre diversi
livelli di amministrazione: lo Stato centrale, la Regione, il Comune?
Almeno nelle nazioni storiche - Galizia, Catalogna, Paese Basco, che
già amministrano i servizi, l' economia, scuola e università, la tv
regionale - l' amministrazione, secondo Fraga, dovrebbe essere unica,
cioè regionale. In buona sostanza, anche polizia, magistratura e
tasse dovrebbero essere sottratte a Madrid e rientrare sotto le
competenze della Xunta galiziana, della Generalitat catalana o del
Lehendakari basco.
Il dilemma non è nuovo.
La sovranità è di Madrid e viene esercitata, in parte, dalle
regioni storiche? O è delle regioni che ne cedono una parte (difesa,
moneta, politica estera) al centro? Per la Spagna castigliana egemone
è una scelta drammatica. E, infatti, fino a che ne ha parlato solo
Fraga, figura nota e discussa, ma che ora rappresenta la piccola
Galizia e fa parte del partito popolare, all' opposizione, la
proposta è stata ignorata. Quando l' ha rilanciata, alla vigilia di
Pasqua, nel solenne discorso di investitura al governo regionale,
Jordi Pujol, è stato impossibile non accorgersene.
L' "amministrazione
unica" è stata severamente criticata dall' editoriale del Pais
e accolta con insofferenza dal governo. Ma Pujol rappresenta la
potente Catalogna. Soprattutto è l' ancora di salvezza del potere
socialista, quando, nelle elezioni del prossimo anno, la maggioranza
assoluta sfuggirà - dicono - dalle mani del Psoe di Gonzalez e la
soluzione, giurano tutti a Madrid, non potrà che essere un' alleanza
con i deputati catalani di Convergenza e Unione. A quale prezzo? Alto
probabilmente, forse vicino all' "Amministrazione unica" di
Fraga. Ecco perché, José Maria Eguiagaray, ministro delle
Amministrazioni pubbliche e rappresentante di Gonzalez al discorso di
Pujol, a cerimonia conclusa,ha chiamato intorno a sé i giornalisti
per dare sfogo ai nervi: "La Costituzione è del 1978: non si
può avere la pretesa di rifondare tutti i giorni lo Stato".
La Repubblica – 28
aprile 1992
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