le migrazioni nella storia contemporanea
a cura di Grazia
Messina
prima fase
Tutti
gli studi del fenomeno migratorio contemporaneo ( tra cui Mauro Reginato, Storia digitale Zanichelli) sottolineano che i movimenti migratori non sono soltanto
eventi spesso drammatici dei giorni attuali e non hanno avuto sempre come
protagoniste le popolazioni di paesi in conflitto o in estrema povertà e
sofferenza, come accade oggi per le masse di disperati che cercano la salvezza
imbarcandosi su un mezzo di fortuna per raggiungere le coste europee.
Nel periodo a cavallo tra la fine dell’Ottocento e l’inizio
del Novecento si ebbe infatti un
profondo movimento in uscita dall’ Europa e diretto verso le Americhe,
l’Australia e l’Africa meridionale. Il grande esodo europeo interessò più di
cinquanta milioni di soggetti, come la mappa sottostante evidenzia
differenziando le aree coinvolte.
Le
cause di quel movimento migratorio ebbero caratteri esogeni ed endogeni.
L'Italia,
con particolare presenza del Mezzogiorno, fu tra i Paesi maggiormente
interessati dal processo.
Tra
il 1861 e il 1985 le statistiche parlano di 29.036.000 italiani emigrati
all’estero, di cui 22.253.000 uomini e
6.780.000 donne.
Ne sono
rientrati circa 10.275.000, con un saldo migratorio di 18.761.000 unità.
Oggi vivono all’estero quasi cinque milioni di cittadini
italiani e oltre 60 milioni di oriundi.
In
Sicilia
L’emigrazione
dalla zona ionico-etnea, quasi irrilevante fino al 1875, presentò un
aumento significativo e costante dal 1890: 60 partenze nel primo triennio,
quasi 100 l’anno fino al 1898, per toccare le 2500 unità annuali con l’arrivo
del nuovo secolo. Un autentico fiume umano lascia Piedimonte,
Fiumefreddo, Linguaglossa, Calatabiano, Mascali, Giarre, Randazzo, Riposto e
già nel 1911 la popolazione dell’area registra il primo calo dalla nascita del
Regno. Dalla fine dell’Ottocento da Siracusa si poteva raggiungere
Messina utilizzando la linea ferroviaria che s’inerpicava per il litorale
ionico. Il porto di Messina, utilizzato fino al 1904 per servire gli scali di
Napoli e Palermo, ottenne in seguito la sua linea transoceanica diretta grazie
alla compagnia “La Veloce”. Così gli emigranti della costa, dopo aver raggiunto
con i carretti il più vicino scalo ferroviario, caricavano sogni e bagagli con
minore difficoltà sulla prima nave in partenza dallo stretto.
Il lavoro nelle
miniere, nell’edilizia, nella costruzione della rete ferroviaria, nelle immense
distese agricole americane e nelle piantagioni australiane si presentava
come l’occasione per un rapido guadagno che avrebbe permesso di saldare i
debiti in paese, comprare il fondo espropriato, pensare alla casa, ad un nuovo
pezzo di terra, alla dote delle figlie.
L’isola, fanalino di coda nel registro nazionale delle
partenze di fine Ottocento, passò così decisamente in testa: solo nel
1906 partirono dalla Sicilia 120.000 persone, nel 1913 più di 20.000
lasciarono la provincia di Catania, 146.000 la Sicilia: è il picco della
“grande emigrazione”.
le migrazioni oggi
seconda fase
Dalla seconda metà del XIX secolo la pressione demografica differenziale, dovuta congiuntamente al processo definito “transizione” e ai profondi cambiamenti politici di fine secolo, si è manifestata con un’inversione dei flussi migratori, portando ingenti quantità di persone dei paesi giovani e poveri in via di sviluppo nei paesi anziani e ricchi sviluppati dell’Europa, dell’America e dell’Asia.
Questi flussi di nuova direzione sembrano destinati a perdurare almeno fino alla metà del XXI secolo, favoriti dal progressivo invecchiamento demografico dei paesi sviluppati e dall’elevato tasso di crescita degli altri paesi.
Negli ultimi anni, soprattutto dopo la crisi del 2008,
si è tuttavia contemporaneamente registrato nel nostro Paese un nuovo
significativo processo emigratorio con direzione sia europea che
extraeuropea, soprattutto da parte di una professionalità qualificata che non
trova sbocchi lavorativi in Italia e nel Sud in particolare.
Questo fenomeno comincia ad assumere dimensioni preoccupanti
anche perché riguarda con prevalenza la fascia della popolazione tra i
20-40 anni, la cui prospettiva di permanenza all’estero non è ancora possibile
prevedere né misurare.
Si calcola che oltre 100.000 giovani italiani- spesso
laureati- lasciano il Paese ogni anno, senza avere al momento prospettive di
ritorno.
Contemporaneamente è
aumentato in modo veloce e quantitativamente preoccupante l’afflusso di
popolazioni in fuga dai paesi africani ed asiatici.
Sul piano demografico, le migrazioni fanno diminuire la consistenza della popolazione del luogo di partenza in misura pari al flusso di uscita e fanno aumentare corrispondentemente la consistenza della popolazione del luogo (o dei luoghi) di arrivo. Quale effetto derivato, si produce un cambiamento della struttura per sesso ed età delle due (o più) popolazioni: tra gli emigranti prevalgono i maschi in età produttiva (15-50 anni), il più spesso celibi. Si abbassa, di conseguenza, il rapporto tra maschi e femmine (rapporto di mascolinità) nella popolazione di origine, così come il peso percentuale delle classi di età centrali. L’inverso avviene nella popolazione di arrivo.
Ulteriori conseguenze si osservano nei riguardi della natalità, della mortalità e della nuzialità. Una misura dei movimenti migratori è data dai tassi di immigrazione ed emigrazione e dalla migrazione netta. Il tasso (o quoziente) di immigrazione è dato dal rapporto tra il numero di immigrati in un dato territorio, in un certo intervallo di tempo, e la consistenza media della popolazione del territorio nell’ intervallo considerato. Analogamente vale la definizione di tasso di emigrazione. La migrazione netta, invece, è la misura assoluta del movimento migratorio ed è data dalla differenza tra il numero degli immigrati e il numero degli emigrati, fissato il territorio e il periodo di tempo.
ARTICOLO pubblicato da GraziaMessina in https://150anniinsieme.blogspot.it/2017/09/le-migrazioni-nella-storia-contemporanea.html
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