Situato tra Pakistan e
Afghanistan il Gandhara fu la regione in cui erano più intensi gli
scambi commerciali, filosofici e culturali tra Occidente e Oriente In
quelle valli si fusero insieme la civiltà portata da Alessandro
Magno e la dottrina di salvezza universale predicata dal Buddha. E
quell'ideale estetico si impresse nella roccia.
John Eskenazi
Il Buddha più bello
La Via Della Seta l'ho
percorsa a tratti anch'io a metà degli anni Settanta in tempi più
tranquilli, partendo dall'Italia come gli antichi romani. Travolto
dalla curiosità, la mente affamata e una sacca vuota da riempire di
emozioni, esperienze, avventure, paure, incontri e conoscenze.
Arrivai nello Swat, la
valle più importante delle regione, un tempo denominata Gandhara
nell'odierno Pakistan nord-occidentale abbarbicato sul tetto di un
pulmino locale, seduto di fronte a un affabile vecchietto con un
fucile poggiato in grembo che a ogni curva e relativo ondeggio di
tutti a bordo mi puntava al petto con un grande sorriso. Alla quinta
curva, vinto il disagio, incominciai a sorridere anch'io.
Lo Swat è una ricca
vallata piena di villaggi di case in legno e calce, di campi, di
mucche, non troppo dissimile a una valle alpina se non fosse per le
basse moschee e le rovine di innumerevoli stupa e annessi monasteri
di cui rimane poca cosa, la ricchezza del passato difficile da
immaginare.
La regione del Gandhara,
celebre già nell'antichità per la sua fertilità e ricchezza, deve
il nome alla parola sanscrita gandha, profumo, in quanto si
coltivavano erbe aromatiche, hashish e alberi da frutto. Collegandosi
all'Afghanistan e all'Occidente attraverso il passo del Khyber e
verso Oriente con il Centro Asia attraverso le montagne dell'Hindu
Kush, era da sempre luogo di sosta e incrocio delle grandi vie
commerciali, in effetti nodo fondamentale della Via della Seta attiva
già dal II secolo a.C.
Dalla Cina all'impero
romano, la Via della Seta era un fiume sempre in piena, dispensatore
di novità, civiltà, idee, mercanzie, lingue, razze, abitudini,
religioni, schiavi, animali, semi e piante, minerali, arte,
invenzioni, ricchezze e speranze. Ma sopratutto confermava i vantaggi
del cosmopolitismo, la familiarità con "l'altro", il
diverso, lo sconosciuto. E tutto ciò avveniva attraverso lo scambio
commerciale, alla base dell'espandersi della civiltà. Dal
Mediterraneo verso oriente, greci e romani raggiungevano sia per mare
che per terra i porti del Levante creando avamposti come Palmira,
spingendosi in Persia, in Battria, arrivando nel Gandhara lungo la
strada si incrociavano con eserciti di carovane di mercanti
provenienti in senso opposto.
Fu per questo
fondamentale vantaggio strategico che la regione del Gandhara e
dintorni furono al centro di innumerevoli invasioni. A cominciare da
Alessandro Magno nel quarto secolo a.C., dopo di lui si
avvicenderanno i Seleucidi di origine persiana, i greco-battriani,
gli indo- greci, gli indiani delle dinastie Maurya, poi Shunga,
seguiti dagli indo parti, gli indo-sciti, fino all'arrivo dei Kushan
dall'India all'inizio della nostra era, sopraffatti dai Gupta, poi
dai Sassanidi dalla Persia e infine annientati dai nomadi eftaliti
provenienti dal Centro Asia. Siamo nel Sesto secolo.
La costante in questi
secoli di lotte fu la presenza del buddismo, sviluppatosi come
cammino verso la realizzazione spirituale in ambito monacale,
sostenuta dalla classe mercantile già dal Terzo secolo a.C.. Con
l'arrivo dei Kushan diventò una religione devozionale con al centro
la figura del Buddha, il grande saggio e mistico Gautama Shakyamuni,
vissuto nel Quinto secolo a. C. Il buddismo si propagò più di altri
movimenti religiosi in quanto proponeva un ascetismo moderato e un
codice di interazione praticabile da tutte le caste. Basilare
l'acquisizione di meriti in cambio di elemosina e opere di bene come
la costruzione di monasteri e stupa contenenti le reliquie del
Buddha. Inoltre era la prima filosofia/religione di vocazione
universalista che promulgava l'idea che la sofferenza accomuni e dia
uguale dignità a tutti gli esseri viventi. Un sistema filosofico
quindi intrinsecamente cosmopolita e aperto al multiculturalismo,
portatore di accettazione delle diversità e quindi pacifica
convivenza culturale.
L'altra costante era la
preponderanza della cultura ellenista portata da Alessandro Magno e
diffusa dai coloni greci e romani. L'organizzazione sociale delle
città era in prevalenza greca, così come l'impianto urbano, la
presenza di terme e anfiteatri. La koinè greca era la lingua comune,
i caratteri greci vennero in parte adottati per scrivere le numerose
lingue locali, tra le quali il gandhari con il quale vennero
trascritti i primi testi buddisti che propagarono la dottrina in
tutto il Centro Asia e la Cina attraverso le vie commerciali della
Via della Seta.
Numerosi coloni greci
finirono per adottare il buddismo anche per far parte del mondo
autoctono e collegarsi con il sistema socioeconomico. Il risultato
più evidente e straordinario di questa commistione culturale è la
cosiddetta arte elleno-buddista del Gandhara, nella quale la
mitologia e l'estetica greca si innesta nella filosofia buddista,
dando vita ad una iconografia e uno stile che definirà l'arte
buddista dal Centro Asia alla Cina, fino alla Corea e al Giappone e a
tutto il sud-est asiatico. Trasportato lungo la Via della Seta da
artisti itineranti, dai loro schizzi e da rare immagini in bronzo,
dai racconti dei monaci e pellegrini, lo stile Gandhara divenne
rappresentativo della nuova religione panasiatica.
Poco si sa delle origini
di questo stile e la cronologia è ancora da ricostruire con
esattezza. I testi inesistenti, le testimonianze scarse e spesso poco
dettagliate e affidabili, le continue invasioni ed annesse
distruzioni, il degrado dei siti dovuto alla scomparsa del buddismo
in questa regione già a partire dell'Ottavo secolo, gli scavi
archeologici insufficienti e per finire la devastazione degli ultimi
quarant'anni di guerra, hanno reso l'opera di ricostruzione quasi
impossibile.
L'arte del Gandhara si
sviluppò inizialmente attraverso la scultura di fregi descriventi le
storie del Buddha alla base degli stupa. Il Buddha stesso era solo
rappresentato aniconicamente in quanto le sue istruzioni originali
intimavano la sua non divinità dato che la dottrina non necessitava
la sua rappresentazione.
Attorno al Primo/Secondo
secolo però, nasce la figura del Buddha derivata da quella degli
imperatori romani, poiché i Kushan avevano la necessità di
inventare una immagine di re/Dio che potesse accomunare ed essere
punto di riferimento per le numerose e diversissime popolazioni da
loro dominate. Inoltre il buddismo non era più unicamente un
movimento monacale ma grazie alla diffusione dei testi divenne una
religione devozionale. Il Buddha non solo come esempio e
rappresentazione della sua filosofia, ma come salvatore. Il simbolo
della spiritualità si innesta sulla rappresentazione dell'autorità.
L'immagine di bellezza
perfetta viene idealizzata e nasce così un'icona ormai celebre, dal
corpo atletico avvolto in una toga di foggia greco-romana e un viso
perfetto, aristocratico, intenso, compassionevole, addolcito da un
leggero sorriso, la visualizzazione attraente e comprensibile dello
stato di Illuminazione. Ormai tragico simbolo della diffusione del
buddismo lungo la Via della Seta, erano i Buddha giganti della valle
di Bamyan nell'Afghanistan settentrionale, a 500 chilometri a est
dello Swat. Era uno dei centri di attività monacale e di
pellegrinaggio più celebri tra il Sesto e Settimo secolo.
La tradizione di scolpire
immagini del Buddha nelle pareti delle montagne a uso dei pellegrini
era molto diffusa: incoraggiavano e proteggevano il viandante e lo
ispiravano a confrontarsi con tranquillità e fiducia con la propria
sofferenza nel cammino, nei pericoli, nella lontananza da casa. Tutte
emozioni da analizzare e disperdere per il proprio benessere: il
pellegrinaggio come esercizio di disciplina mentale.
La loro distruzione a
opera dei talebani nel 2001 ferisce innanzitutto le popolazioni
locali che da sempre identificavano il loro territorio al di là
della fede religiosa e ferisce l'Occidente che tuttora si considera
custode della storia del pianeta e fornisce al mondo politico e
mediatico un ennesimo motivo per fomentare sentimenti anti-islamici.
Ora le grandi figure,
apparizioni inaspettate e surreali nel mezzo dei monti sono sparite,
ma le nicchie vuote ritengono ancora il ricordo, l'energia e la
presenza del Buddha. Liberate dalla forma stessa, sono la perfetta
incarnazione di due concetti fondamentali del buddismo, anica,
l'impermanenza di tutte le cose e suniata, il vuoto, ovvero la
comprensione profonda della non esistenza del tutto. Se il Buddha li
avesse visti dissolversi in una nuvola di polvere, avrebbe sorriso.
La Repubblica – 29
agosto 2017
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