Vista la drammatica piega che sta prendendo in Spagna il dibattito intorno al Referendum indetto dalla regione catalana per il prossimo 1 ottobre, ci sembra utile riprendere il punto di vista del giovane Pasolini intorno alle radici linguistiche e culturali che hanno da sempre nutrito le ragioni del popolo catalano contro il fascismo franchista di ieri e il governo centrale di Madrid di oggi.(fv)
LE RAGIONI CULTURALI DELL'AUTONOMIA POLITICA CATALANA *
In una delle più importanti interviste rilasciate da Pasolini, tra la fine degli anni 60 e i primi anni 70, a Jean Duflot, il poeta afferma: “I primi anni più importanti della mia vita sono contadini, come lo sono, nel significato letterale della parola, le
mie prime prove poetiche nel periodo friulano”[1].
La testimonianza è illuminante anche perché consente di capire meglio
come la scoperta del mondo contadino in Pasolini è mediata dalla lingua e come
tutto ciò abbia contribuito a creare il primo nucleo del mito della civiltà
contadina nella sua opera.
In questo contesto va
inserita la fondazione della Academiuta di lenga furlana nel febbraio del 1945.
Nell’atto costitutivo si ritrova l’ennesimo rimando alle teorie linguistiche
ascoliane e all’ideologia delle “Piccole Patrie”:
Stabilito
filologicamente (cioè con un volontario ritorno alle teorie ascoliane) che il
nostro friulano non può essere considerato un dialetto […]. Il Friuli si
unisce, con la sua sterile storia e il suo innocente, trepido desiderio di
poesia, alla Provenza, alla Catalogna, ai Grigioni, alla Rumania e a tutte le
Piccole Patrie di lingua romanza.
Nonostante
il nome altisonante dato a questa sua ultima iniziativa, in polemica con il
circolo filologico di Udine, Pasolini si
proponeva di rompere con la tradizione friulana folcloristica, nel senso
deteriore del termine, per favorire la nascita di una nuova coscienza civile e
culturale. Lo spirito è, quindi, quello antiaccademico di sempre. Con il cugino
Naldini, il pittore Zigaina ed altri, continua a registrare le parlate locali
in interminabili uscite in bicicletta, curioso di conoscere culture diverse da
quella piccolo borghese in cui è stato educato. Così lo stesso poeta - iniziato
“per nascita” al “mistero di quella lingua speciale ch’è la lingua letteraria”,[2]
ovvero “il nuovo latino”[3] - s’impegna
attivamente a dare dignità di lingua al dialetto parlato dai contadini di
Casarsa fino ad usarlo, come vedremo tra poco, per comunicare e scrivere, anche
in manifesti murali, le sue nuove convinzioni politiche.
Nonostante il suo
sempre maggiore radicamento nella realtà friulana, Pasolini non perde i
contatti con il suo primo recensore, Gianfranco Contini, e con la cultura
europea. Così nel giugno del 1947 pubblica il Quaderno romanzo che accoglie una antologia di poesia catalana,
inviatagli dal monaco antifranchista Carles Cardò, conosciuto tramite il
Contini. Si tratta di uno dei documenti che meglio spiegano come la giovanile
passione per la filologia avesse in nuce un risvolto politico. Particolarmente
eloquente appare la presentazione che ne fa:
La dittatura fascista di Franco ha
condannato la lingua catalana al più duro ostracismo, espugnandola non solo
dalla scuola e dai tribunali, ma dalla tribuna, dalla radio, dalla stampa, dal
libro e perfino dalla Chiesa. Ciò nonostante, gli scrittori catalani seguitano
a lavorare nelle catacombe in attesa del giorno […] in cui il sole della
libertà splenderà di nuovo su quella lingua, erede della provenzale, che fu la
seconda in importanza – dopo l’italiana – nel Medio Evo e che oggi è parlata in
Spagna, in Francia […] e in Italia […] da non meno di sei milioni di persone.[4]
Come si vede Pasolini, seguendo una tradizione
consolidata, fonda il diritto all’autonomia politica della Catalogna
sull’autonomia della lingua catalana rispetto a quella castigliana. Così come
il diritto all’autonomia politica del suo Friuli - su cui si era già
pronunciato, un anno prima, con diversi articoli pubblicati in giornali e
periodici friulani - si giustifica con la scoperta del ladino fatta dall’Ascoli verso la fine dell’800.
FRANCESCO
VIRGA
* Il
brano di sopra fa parte del saggio Poesia
e mondo contadino nel giovane Pasolini, pubblicato integralmente nel maggio
2014 sul n. 6 della rivista NUOVA BUSAMBRA. (fv)
[1] Pasolini, Il sogno del centauro, Editori Riuniti, Roma 1993, p. 18. Corsivo mio. Vedi pure P.P. Pasolini, Le belle bandiere,
Editori Riuniti, Roma p. 108. Gli anni trascorsi in Friuli, ininterrottamente
dal 1943 al 1949, sono decisivi per la sua formazione. Qui riscopre “il gusto
della vita e del realismo”. Per una
puntuale ricostruzione de quegli anni si rimanda al libro di Nico Naldini, Un paese di temporali e di primule,
Guanda, Parma 1993. Molto utile risulta, inoltre, la lettura dell’epistolario
di Pasolini pubblicato in due volumi da Einaudi a cura dello stesso Naldini.
[2]
Pasolini, Passione e ideologia,
Garzanti, Milano 1960, p. 164.
[3]
Pasolini, Al lettore nuovo, cit. p.
8.
[4] Pasolini, La letteratura catalana, in
Quaderno romanzo, ora in L’Academiuta friulana e le sue riviste,
a cura di N. Naldini, Neri Pozza, Vicenza 1994, p. 31. In questa stessa pagina
si trova un bel profilo storico della lingua Catalana che di seguito
trascriviamo: “La lingua catalana, distaccatasi dalla provenzale verso la metà
del sec. XIII, fu per tre secoli il verbo culturale dell’antica corona
d’Aragona, che signoreggiò tutto il mediterraneo. Il suo contatto con la
cultura italiana fu sì profondo che i migliori
scrittori catalani imitarono i sommi poeti e prosatori italiani di quel tempo:
Ramon Llull fu figlio di San Francesco come poeta, di San Bonaventura come
filosofo, Bernart Metge imitò il Boccaccia, Jordi de Sant Jordi ed il grande
Ausiàs March furono seguaci del Petrarca, e catalana fu la prima traduzione […]
della Divina Commedia. L’unione delle
Corone di Aragona e Pastiglia e la conseguente formazione della Spagna sotto
l’egemonia casigliana, diede alla lingua catalana un colpo che sarebbe stato
mortale se mortali fossero le lingue parlate da popoli forti e coscienti. Il
catalano scese lentamente alla categoria di dialetto, subendo una sorte simile
a quella dei suoi fratelli di oltre Pirenei, i dialetti dell’antica gloriosa
lingua d’Oc”. Per l’approfondimento dell’analisi dei rapporti tra Pasolini e la
cultura spagnola si rimanda alla monografia di Francesca Falchi, EI Juanero.
Pasolini e la cultura spagnola, Atheneum, Firenze 2003.
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