30 settembre 2017

UN PARLAMENTO DI VOLTAGABBANA


Che un Parlamento composto di nominati sarebbe stato il tempio del trasformismo era facile profezia. Senza più una base sociale di riferimento sia nella forma del collegio elettorale che del partito “comunità di pensiero”, i parlamentari si sono scrollati di dosso ogni vincolo di mandato, paralizzando di fatto il Parlamento e svuotandolo del suo fondamentale compito di controllo dell'attività dell''Esecutivo.

Dino Martirano

«Cambio partito» Il record di 526


Negli anni della Prima Repubblica — con i partiti più che granitici e con le preferenze conquistate sul territorio — i «cambi di casacca» dei parlamentari erano una rarità. Clamoroso, nel 1975, fu il voltafaccia del super ministro dc Fiorentino Sullo che, sotto il pressing interessato del conterraneo irpino Ciriaco De Mitra, se ne andò con i socialdemocratici per poi tornare indietro nel 1983. Oggi invece — con i partiti deboli e con gli eletti che non riescono a scrollarsi di dosso l’etichetta di «nominati» — serve il pallottoliere, se non una calcolatrice, per tenere il conto dei deputati e dei senatori che cambiano squadra.

E questa XVII legislatura ha già stracciato tutti i record: un puntiglioso calcolo fatto da Openpolis fissa a quota 526 i «cambi di casacca» (297 alla Camera, 229 al Senato) registrati dal febbraio del 2013 che poi fanno 10 cambi di gruppo al mese. Il doppio della scorsa legislatura.

I parlamentari interessati dalla quella che con termine agropastorale viene definita la «transumanza» sono in totale 337 (il 35,4% degli eletti). Molti di loro hanno abbandonato il partito di origine sull’onda delle scissioni ma ora c’è anche la contro-onda di ritorno. L’ultimo in ordine di tempo si chiama Gianfranco Sammarco che riappare in Forza Italia dopo una parentesi lunga 4 anni trascorsa nel partito di Angelino Alfano. Hanno seguito lo stesso percorso alla Camera Nunzia Di Girolamo e Alberto Giorgetti, i senatori Renato Schifani, Antonio D’Alì, Antonio Azzollini, Massimo Cassano.

E nel flusso di rientri nel partito di Berlusconi, al Senato ci sono anche Mario Mauro, Enrico Piccinelli e Domenico Auricchio. E c’è da domandarsi cosa faranno in questo ultimo scorcio di legislatura i transfughi di Forza Italia che hanno seguito Denis Verdini nell’avventura di Ala.
Il Pd, con la scissione dei bersaniani di Articolo 1 di febbraio scorso, ha perso 22 deputati in un solo colpo e di recente ha pure ceduto Francantonio Genovese (con tutti i suoi guai giudiziari) direttamente a Forza Italia. Ma è pure vero che il partito di Renzi ha attirato nel suo gruppo alla Camera parlamentari da destra e da sinistra con un saldo negativo di appena 8 unità. In casa dem sono finiti molti ex Sel guidati da Gennaro Migliore, gli orfani di Scelta civica di Andrea Romano e pure una pattuglia di grillini (Tommaso Currò, Sebastiano Barbanti e Gessica Rostellato).

Il Movimento Cinque Stelle — che vorrebbe introdurre un vincolo di mandato per i parlamentari, vietato dall’articolo 67 della Costituzione — è l’unico partito che ha perso 21 deputati (tutti confluiti inizialmente nel Misto) senza acquisirne nemmeno uno.

Le porte girevoli attraverso le quali sono passati molti dei transfughi sono quelle del Gruppo Misto. Alla Camera, il presidente Pino Pisicchio, che ci tiene a ricordare di aver rinunciato all’indennità per la carica, ha provato a proporre correttivi in sede di Comitato per la riforma del regolamento: minimo 30 deputati (oggi ne servono 20) per costituire un gruppo e aumento da 3 a 5 per formare una componente nel Misto. Ma il vero nodo, ancora non risolto, sono i 49 mila euro all’anno che il deputato in fuga porta in dote al nuovo gruppo.

Il Corriere della sera – 27 settembre 2017

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